Bovini o mucche da latte mangiano fieno in un allevamento

Dopo quelli del Politecnico, anche i ricercatori dell’Università Bocconi di Milano e di quella di Verona, insieme a quelli dello RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment (EIEE) e del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici confermano: tra le cause principali dell’inquinamento atmosferico che attanaglia la Lombardia soprattutto in inverno ci sono gli allevamenti intensivi, presenti ai massimi livelli di concentrazione europei tanto per i suini quanto per i bovini.

Le emissioni animali, associate a quelle provenienti dalle pratiche agricole e dai fertilizzanti, rilasciano nell’aria grandi quantità di ammoniaca che, combinandosi con altri gas nocivi, danno luogo a enormi quantità di polveri sottili, le PM10 e PM2,5. Queste, grazie anche alla conformazione orografica della zona, e ai venti che percorrono la valle del Po, si sommano con le emissioni degli stabilimenti industriali e con quelle del trasporto su gomma (anch’esso ai massimi livelli europei), e tutto spiega perché spesso la Pianura Padana si trasformi spesso in una zona dove sarebbe meglio non respirare affatto, con sistematici e ampi sforamenti dei limiti di sicurezza.

Lo studio sull’inquinamento in Lombardia

Come lo studio del Politecnico pubblicato pochi giorni prima, anche questa ricerca, che rientra nel progetto della Bocconi chiamato INHALE (da Impact on humaN Health of Agriculture and Livestock Emissions), è stato finanziato dalla Fondazione Cariplo, e condotto insieme a Legambiente. I risultati sono stati pubblicati in un lavoro molto dettagliato su Environmental Impact Assessment Review. Nello studio si ricorda innanzitutto che, secondo Eurostat, in Lombardia sono allevati più di un milione di bovini e quattro di suini, numeri che la rendono quattordicesima, in Europa, per densità di bovini, e ottava per suini.

Per avere un quadro il più possibile completo dell’impatto di quest’enorme numero di animali sull’aria, i ricercatori hanno sfruttato diversi tipi di dati. Per quanto riguarda le polveri sottili, in particolare, hanno analizzato quelli di 75 punti di raccolta quotidiana delle PM10. Tre di essi, contenendo i dati dei singoli composti chimici presenti nelle PM10, hanno permesso di quantificare anche il solfato e il nitrato d’ammonio, due sali strettamente associati alle pratiche agricole, considerati PM secondari e a loro volta fonti di ammoniaca. Inoltre hanno incluso i dati di 12 stazioni di monitoraggio quotidiano dell’ammoniaca.

I dettagli dell’inquinamento

I dati sulle fluttuazioni e gli spostamenti degli animali sono pubblici, e sono stati inclusi insieme a quelli sulle variazioni atmosferiche. Il risultato è stato una stima che mostra che, per ogni mille capi in più, si verifica un aumento dell’1 o dello 0,3% di PM10 a seconda che si tratti di bovini o di suini, rispettivamente. In termini assoluti, si ha incremento della concentrazione quotidiana di ammoniaca e PM10 pari a 0,26 e 0,29 microgrammi per metro cubo di aria, rispettivamente, per i bovini, mentre per i suini gli aumenti sono, di 0,01 microgrammi per metro cubo di ammoniaca, e di 0,004 microgrammi per le PM10. Si vede poi chiaramente un aumento delle concentrazioni in presenza di alcune condizioni meteo e soprattutto di venti di bolina da nord, che minimizzano le altre fonti di inquinanti e massimizzano l’effetto di quelle provenienti dagli allevamenti.

Molto chiaro, infine, il dato generale: gli allevamenti intensivi contribuiscono per il 25% all’inquinamento in particolare alle PM10 in Lombardia.

Le considerazioni

Di fronte a dati come questi e come i precedenti, focalizzati sulle PM2,5, che ponevano il ruolo degli allevamenti al pari con quello delle altre fonti principali, l’appello diventa ancora più stringente: se si vuole davvero modificare stabilmente la qualità dell’aria, è indispensabile intervenire su questo settore, quasi sempre trascurato dalle politiche specifiche che, finora, hanno puntato prevalentemente sui trasporti e sul riscaldamento domestico. Bisogna razionalizzare e modernizzare le pratiche, ridurre la produzione di rifiuti organici. Accanto a ciò, ha concluso Maurizio Malpede, uno degli autori, è indispensabile che in consumatori siano più consapevoli dell’impatto di ciò che mangiano.

In un paese dove l’unico argomento che arriva dal governo è quello della protezione del cosiddetto made in Italy, non sono in programma iniziative per la crescita di consapevolezza della popolazione, né sono alle viste provvedimenti volti a limitare la continua espansione degli allevamenti intensivi. Non ha molta importanza, evidentemente, il fatto che l’Italia detenga il triste record europeo di decessi associati all’inquinamento, e che in Lombardia solo per le PM 2,5 vi siano 35 decessi al giorno, pari a 13.000 all’anno.

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cesare
cesare
30 Marzo 2024 17:56

molto interessante

Alberto Rutili
Alberto Rutili
2 Aprile 2024 19:29

Brava, ben approfondito, assolutamente condivisibile.

Pinuccio
Pinuccio
2 Aprile 2024 21:03

Chissà perché quando c’era il Covid e tutto era bloccato, gli allevamenti hanno sempre lavorato e prodotto ma dei PM10 non c’è mai stata traccia.
Forse perché sono le attività umane e l’abuso dei combustibili fossili la vera causa dell’inquinamento?
Queste analisi lasciano il tempo che trovano: dipende da come si misurano i parametri.
Mentre l’ISPRA, l’ente che svolge attività di monitoraggio dell’ambiente (sempre) non sembra avvalorare le stesse tesi.

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