Primo piano di pollo in allevamento

Si allarga l’epidemia di influenza aviaria tra gli uccelli selvatici e allevati e suscita un allarme crescente per l’impossibilità di contenerla efficacemente con gli strumenti che in tutto il mondo si stanno mettendo in campo. Gli ultimi Paesi a dichiarare un’emergenza sanitaria sono stati quelli del Sud America, tra i quali l’Argentina, il Peru, l’Ecuador, la Bolivia e l’Uruguay, con conseguente innalzamento record dei prezzi delle uova in Paesi dove costituiscono una delle principali fonti proteiche accessibili proprio perché, finora, a prezzi contenuti. Si teme che presto il virus raggiungerà anche il Brasile, uno dei maggiori esportatori di carne di pollo, dove finora non ci sono stati casi. Ma la situazione è critica anche in altri continenti e in Paesi a reddito più alto: negli Stati Uniti, Rose Acre Farms, il secondo produttore di uova del Paese, ha dovuto sopprimere 1,5 milioni di galline in uno dei suoi stabilimenti in Iowa, nonostante le rigide misure igieniche adottate da tempo, mentre un altro produttore, colpito due volte negli ultimi sei mesi (si pensa da virus trasmessi dalle feci di uccelli migratori, sulle cui rotte si trova lo stabilimento), ne ha eliminate tre milioni. Secondo le ultime stime, nell’ultimo anno sono morti, per l’infezione o perché soppressi preventivamente, 58 milioni di volatili, cifra che ha superato il precedente del 2015, finora considerato un anno eccezionale. Crisi di grandi dimensioni hanno colpito anche altri paesi come Giappone, Francia e Regno Unito, con focolai che si sono diffusi rapidamente anche in allevamenti dove galline, anatre, polli e tacchini sono tenuti interamente al chiuso.

Anche se i rischi per gli esseri umani al momento sono considerati bassi, molti governi si stanno organizzando per procedere a vaccinazioni di massa: secondo l’Oms, sono ormai una trentina quelli che, dal 2005, hanno dato il via a campagne estese, nonostante sia evidente che questo strumento può attenuare la virulenza delle epidemie, ma non riesce a eliminarle del tutto, e comporta rischi di inefficacia derivanti dai diversi ceppi in circolazione e dal fatto che ormai i virus dell’aviaria stanno diventando endemici (mentre fino a poco tempo fa erano tipicamente stagionali). D’altro canto, non ci sono molte alternative. Di recente, ha intrapreso questa strada il Messico, che alleva oltre 550 milioni di polli e ne ha dovuti sopprimere quasi sei: a metà febbraio ne aveva vaccinati quasi 170 milioni contro H5N1. In passato Il Messico aveva già intrapreso campagne di vaccinazione contro H5N2, ceppo responsabile dell’epidemia del 1994, e contro H7N3, all’origine di quella del 2012. Gli stessi vaccini stanno arrivando anche in Guatemala, El Salvador e Honduras.

aviaria, polli allevamento
Molti Paesi hanno deciso di provare a contrastare l’epidemia di influenza aviaria H5N1 intraprendendo campagne di vaccinazione

La Cina, primo produttore mondiale di uova e secondo di carne di pollame dopo gli Stati Uniti, ha iniziato a vaccinare nel 2004, ma le campagne vaccinali hanno ricevuto un nuovo impulso dopo il decesso di oltre 100 persone avvenuto nell’inverno 2016-2017, a causa di un’epidemia di H7N9, ceppo scoperto inizialmente nel 2013. Anche l’Egitto ha iniziato a vaccinare nel 2006, ma vaccinazioni poco accurate hanno causato la selezione di diversi ceppi resistenti, e il Paese è stato costretto a rivedere la propria strategia con vaccini aggiornati.

Per quanto riguarda l’Europa, tutta l’Unione ha dichiarato guerra all’aviaria nello scorso mese di maggio, ma per ora i vaccini sono ancora in fase di sperimentazione. Per esempio, la Francia, il Paese europeo che ha affrontato le crisi peggiori con oltre 20 milioni di volatili soppressi, sta conducendo test sulle anatre, mentre i Paesi Bassi sulle galline ovaiole, l’Italia sui tacchini e l’Ungheria sulle anatre Pechino. Nel prossimo mese di marzo saranno ufficializzate le linee guida comunitarie, stilate nel tentativo di rendere omogenee le campagne vaccinali, allo scopo di favorire, all’interno dell’Unione, il commercio di individui vaccinati e avviati rapidamente alla macellazione. Gli Stati Uniti sono invece restii alla vaccinazione estesa, perché la considerano un danno per il commercio: preferiscono ricorrere all’immunizzazione solo nei casi di estrema necessità, pur avendo acquistato grandi scorte di vaccini.

Tacchini in allevamento
L’Italia sta partecipando alla sperimentazione europea dei vaccini contro l’influenza aviaria testandoli sui tacchini

Per quanto riguarda l’Italia, l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie, Centro di riferimento europeo per l’influenza aviaria, ha appena diffuso un comunicato in cui segnala un aumento dei casi tra gli uccelli selvatici, che nel 2022 sono stati 79, di cui 19 tra i gabbiani, 13 tra le alzavole e 10 tra i germani: numeri che confermano la permanenza della circolazione virale nella fauna selvatica. Negli uccelli domestici – si legge – la situazione è più favorevole, dopo la drammatica ondata epidemica di H5N1 ad alta infettività (HPAI) che ha investito prevalentemente il Nordest nell’inverno 2021-2022, con 317 focolai negli allevamenti. L’ultimo focolaio nel pollame risale infatti al 23 dicembre 2022 e ha portato a 30 il numero dei casi confermati da settembre 2022, riscontrati principalmente in Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. “La situazione negli allevamenti è migliorata rispetto a un anno fa – ha sottolineato Calogero Terregino, direttore del Centro di riferimento per l’influenza aviaria – grazie anche all’intenso lavoro portato avanti dal ministero della Salute in collaborazione con le Regioni e le Asl coinvolte, il Centro di riferimento e i rappresentanti del mondo produttivo. La collaborazione fra le parti ha permesso di affrontare e migliorare le principali criticità riscontrate, rafforzando in particolare la sorveglianza negli uccelli selvatici e rendendo più efficaci le strategie di prevenzione e la gestione dei focolai negli allevamenti”.

Resta infine elevata la sorveglianza tra i mammiferi, con attività di monitoraggio anche in queste specie, in particolare nelle aree umide frequentate da uccelli selvatici potenzialmente infetti, così come sono in corso studi per approfondire le caratteristiche genetiche e biologiche del ceppo identificato nei visoni in Spagna.

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Gabriella
Gabriella
16 Marzo 2023 09:08

Quello che mi lascia sbigottita è che si parla ovunque di campagne vaccinali, di abbattimenti. Addirittura l’esperto italiano dice che ‘La collaborazione fra le parti ha permesso di affrontare e migliorare le principali criticità riscontrate ‘rafforzando in particolare la sorveglianza negli uccelli selvatici..’ mai si parla di cambiare sistema di allevamento.
Mi chiedo se non sia ancora sufficientemente chiaro che gli allevamenti intensivi porteranno sempre al rischio di insorgenza di patologie pericolose

Carlo
Carlo
Reply to  Gabriella
1 Aprile 2023 13:38

Mi associo a Gabriella . Ribadisco che mi meraviglio come i veterinari delle Asl permettano certi allevamenti intensivi che fanno soffrire gli animali e facilitano le malattie, con conseguente uso di farmaci tra cui antibiotici che creano ceppi resistenti agli antibiotici a danno infine anche di noi umani