Polli in un allevamento intensivo

L’influenza aviaria è una malattia virale che colpisce prevalentemente gli uccelli selvatici, che fungono da serbatoio e possono eliminare il virus attraverso le feci. Solitamente gli uccelli non si ammalano, ma diventano soggetti in grado di contagiare i polli, le anatre e i tacchini allevati in modo intensivo nei capannoni industriali e anche quelli cresciuti in strutture rurali di piccole e medie dimensioni. I virus appartenenti ai ceppi attualmente circolanti in diverse parti del mondo sono i discendenti di un virus identificato per la prima volta in un allevamento di oche nel Guangdong, in Cina, nel 1996, da allora ha continuato a diffondersi e ad evolvere. La differenza è che prima gli uccelli selvatici nella maggior parte dei casi morivano perché il livello di patogenicità era elevato, adesso la resistenza in diverse specie di volatili selvatici è aumentata e in molte aree la presenza del virus risulta endemica, favorendo così la diffusione dell’influenza aviaria. Il problema è che gli uccelli migratori si muovono su distanze incredibilmente lunghe, e per questo motivo l’aviaria si è diffusa in località molto distanti fra loro in poco tempo. Negli ultimi 15 anni si stima che siano stati abbattuti 300 milioni di animali colpiti dal virus, e purtroppo in questi ultimi mesi si registra un’impennata di casi a livello mondiale e, soprattutto, in Europa.

Il problema non riguarda solo polli e tacchini. L’anno scorso sono stati segnalati casi di contagio fra carnivori terrestri come volpi, orsi, linci, ma anche foche, balene, leoni marini e, di recente, l’influenza ha colpito gli allevamenti di visoni creando una certa preoccupazione perché il passaggio dagli uccelli ai mammiferi indica un’evoluzione del virus preoccupante. Data l’elevata frequenza con cui questi virus vanno incontro a fenomeni di mutazione, c’è la possibilità che dopo il contagio dei mammiferi il virus possa mutare ulteriormente e coinvolgere l’uomo, dando il via a una malattia potenzialmente in grado di diventare una pandemia.

Polli allevamento influenza aviaria
In Italia le misure per gestire l’influenza aviaria negli allevamenti di polli sono piuttosto efficaci

Gli esperti fanno notare che fra il 2003 e l’ottobre del 2022, il virus dell’influenza aviaria del sottotipoH5N1 si è manifestato in 865 esseri umani in 21 paesi, provocando 456 morti. La maggior parte dei casi in Asia e Africa erano correlati alla manipolazione di pollame vivo infetto piuttosto che alla trasmissione da uomo a uomo, anche se si registra un alto tasso di letalità fra le persone che vengono infettate. L’influenza aviaria nel pollame si presenta regolarmente anche in Italia, con il virus nella forma a bassa ed alta patogenicità. La situazione critica del 2021/2022 con 317 casi e 15 milioni circa di animali abbattuti sembra superata, visto che nella stagione successiva 2022/23 i casi sono stati sino ad ora solo 30 e gli animali coinvolti decisamente meno, anche perché una parte degli allevamenti interessati erano dislocati in strutture rurali di medie e piccole dimensioni.

“In Italia le misure per gestire gli effetti dell’influenza aviaria mettendo in sicurezza gli allevamenti e facendo un lavoro di prevenzione sono state piuttosto efficaci – precisa Calogero Terregino responsabile del centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria e la malattia di Newcastle e direttore del Laboratorio di referenza europeo (Eurl) per queste patologie. – L’anno scorso, dopo avere individuato negli allevamenti di tacchini la specie più critica per il rischio d’introduzione e di diffusione dei virus influenzali, in alcune zone ad alto rischio è stato programmato un periodo di fermo biologico per diverse aziende e il sistema sembra aver funzionato. Non così sono andate le cose in Francia dove l’anno scorso si sono registrati più di 1.300 focolai di influenza aviaria continuati ininterrottamente anche quest’anno con l’abbattimento di milioni di animali”. In queste condizioni la prevenzione è fondamentale e deve prevedere oltre al monitoraggio degli animali, anche quello degli addetti ai lavori come  gli operatori avicoli, per intercettare tempestivamente i soggetti venuti a contatto con  il virus, come il caso dell’allevatore di anatre che nel Regno Unito è risultato positivo alla fine del 2021.

influenza aviaria
Uno dei problemi della diffusione dell’influenza aviaria è la dislocazione dei capannoni troppo vicini fra loro

Ma c’è una correlazione fra la diffusione del virus e la densità degli allevamenti intensivi concentrati in alcune aree dove all’interno dei capannoni crescono polli e tacchini con una forte somiglianza genetica? “Il problema della sensibilità all’infezione da virus ad alta patogenicità – continua Terregino – non riguarda il numero di volatili allevati all’interno di un capannone o la somiglianza genetica. La numerosità è importante soprattutto per quanto riguarda il benessere animale. In caso di influenza aviaria in un allevamento con alti numeri di animali risulta difficile la gestione del focolaio, perché l’abbattimento di centinaia di migliaia di volatili è difficoltosa e comporta un dispendio di risorse notevoli. Per quanto riguarda la somiglianza genetica delle specie allevate in modo intensivo, le posso dire che quest’anno sono stati colpiti tanti allevanti rurali multispecie, o con uccelli ornamentali con tassi di mortalità superiori a quelli riscontrati nei focolai dove ci sono polli commerciali da carne.”

Il vero problema è la dislocazione dei capannoni posizionati troppo vicini fra loro. Per rendere più difficile il contagio del virus la distanza fra un capannone e l’altro dovrebbe essere di almeno 1,1 km, in questo modo una volta entrato il virus in un allevamento il contagio diventa più difficile e si possono mettere in atto più facilmente le strategie per eradicare l’epidemia. “Un altro aspetto importante – conclude Terregino – è quello degli allevamenti dislocati in vicinanza di aree umide, come il delta del Po, dove transitano migliaia di uccelli migratori potenziali veicoli del virus dell’influenza aviaria. Le statistiche hanno rilevato una maggiore criticità in questi allevamenti perché sono più esposti a contatti a rischio. Detto ciò – conclude Terregino – la preoccupazione del mondo scientifico rimane quella del salto di specie del virus che potrebbe coinvolgere l’uomo molto più di quanto registrato sino ad oggi e, nel caso peggiore, diffondersi nella popolazione umana. Non bisogna essere allarmisti ma la questione merita attenzione e un monitoraggio costante.”

© Riproduzione riservata – Foto: Depositphotos, AdobeStock

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Antonio Pratesi
Antonio Pratesi
13 Febbraio 2023 17:04

“Il virus dell’influenza aviaria del sottotipo H5N1 si è manifestato in 865 esseri umani in 21 paesi, provocando 456 morti” ciò significa che ha un 50 % di mortalità. Che non sia il caso di chiudere tutti gli allevamenti intensivi di polli?

Prima o dopo il virus si perfezionerà e acquisterà la capacità di trasmissione tra uomo ed uomo come hanno già anticipato gli esperti. Ne avevamo già parlato 2 anni fa nel silenzio più totale: https://ilfattoalimentare.it/prossima-pandemia-libro.html

Andrea Zanchi
Andrea Zanchi
Reply to  Antonio Pratesi
2 Marzo 2023 10:38

..456 morti in circa 20 anni…

gianni
gianni
14 Febbraio 2023 21:01

Condivido l’allarme dell’articolo e del commento del dott.Pratesi.
Ricordavo l’articolo precedente perchè vi era citato giustamente il dottor M.Greger che fa parte con i suoi scritti della mia libreria preferita.
Se non sbaglio però l’esperto intervistato mi è sembrato un pompiere che ha come scopo principale non l’atto di rivoluzionare l’apparato ma di gestire il tran-tran, teniamo d’occhio le cose ( per continuare comunque il business as usual ), informato sulle meraviglie della genetica ma assai ipnotizzante sui rischi connessi, piccole mosse per risolvere i maggiori rischi……..
Il signor Luigi R si chiedeva se i politici conoscono queste cose…………forse si forse no ma non importa, a maggior ragione se gli esperti del settore sono così tranquillizzanti e concilianti, cherchez l’argent che è quello che regola le umane faccende.
Avete così ulteriore dimostrazione che sapere le cose non serve a molto, ma ho esagerato perchè dire che sappiamo qualcosa di definitivo sui virus è un esercizio rischioso, a mio parere.

Gina
Gina
15 Febbraio 2023 19:05

Non posso che concordare con entrambi i commenti ….!!!