Per ora non ci sarebbero rischi immediati di spillover all’uomo, ma ciò che è successo nell’ultimo anno con l’influenza aviaria non può non preoccupare, e ha già causato ingenti danni economici al settore. L’epidemia che ha colpito volatili selvatici e domestici in tutta l’Europa è stata la più vasta mai registrata, per estensione e numero di capi, e ha provocato l’abbattimento di quasi 50 milioni di capi in 37 paesi. Come se non bastasse, non si è mai davvero interrotta, ponendo le basi per una nuova, grande diffusione invernale, agevolata dalle migrazioni degli uccelli selvatici e dall’arrivo della stagione fredda.
Lo spiega l’ultimo rapporto dell’EFSA e dell’ECDC (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) sul periodo compreso tra giugno e settembre, che segnala una permanenza dell’infezione in una stagione in cui, negli anni precedenti, si è sempre registrata la pressoché totale scomparsa del virus. Quest’anno, invece, l’influenza aviaria, definita virus ad alta patogenicità (HPAI), non se ne è mai andata: tra l’11 giugno e il 9 settembre 2022 sono stati segnalati 788 casi in 16 paesi dell’UE e nel Regno Unito: 56, 22 e 710 rispettivamente nel pollame, nei volatili in cattività e in quelli selvatici. In un anno, i focolai sono stati poco meno di 2.500, con 187 segnalazioni in animali in cattività e oltre 3.500 casi in uccelli selvatici. Impressionante anche l’areale di diffusione, anch’esso senza precedenti: dalle isole Svalbard in Norvegia al Portogallo meridionale fino all’Ucraina, per un totale di 37 Paesi europei, per poi passare al di là dell’Atlantico, in Canada e Stati Uniti.
In estate, poi, il virus ha raggiunto le colonie di riproduzione di uccelli marini sulle coste atlantiche settentrionali e del Mare del Nord, causando una massiccia mortalità, in particolare in Germania, Francia, Paesi Bassi e Regno Unito. E questo ha avuto ripercussioni anche sugli allevamenti, come sempre accade.
In generale, anche se i focolai estivi sono diminuiti rispetto all’inverno precedente, sono risultati comunque cinque volte più numerosi rispetto a quelli dello stesso periodo dell’anno scorso.
Per tale motivo secondo Guilhem de Seze, responsabile del dipartimento EFSA che si occupa dell’elaborazione di valutazioni del rischio, “l’epidemia è tuttora in corso”.
L’EFSA raccomanda quindi l’adozione di una rapida strategia preventiva, che si basi su una vigilanza serrata e capillare e sull’adozione di misure di biocontenimento anche a medio e lungo termine, soprattutto nelle zone dove si concentrano gli allevamenti.
Per quanto riguarda i rischi per le persone, secondo l’ECDC non ci sarebbero rischi immediati (anche se è necessario prestare particolare attenzione a coloro che lavorano negli allevamenti), ma è noto che i virus influenzali sono estremamente variabili, e la sorveglianza deve restare quindi elevata. Il rischio di trasmissione attraverso il consumo di carni infette è invece definito “trascurabile”.
Come prevedono molti studi, il riscaldamento globale e il deterioramento progressivo degli habitat non potrà che far peggiorare le epidemie nei prossimi anni, soprattutto di virus impossibili da fermare come quelli che viaggiano nel corpo di animali migratori: sarebbe opportuno prepararsi per tempo.
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Giornalista scientifica
Come giustamente si sottolinea in questo articolo scritto dalla giornalista scientifica Agnese Codignola ,i cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale ,insieme al progressivo deterioramento degli habitat ci porteranno inevitabilmente ad andare incontro verso virus difficili da debellare grazie anche alla migrazione dei volatili ….Ciò si verificherà sempre di più anno dopo anno e quindi sempre con maggior frequenza ..Prepararsi in tempo risulta quindi essere e divenire un ottimo suggerimento da prendere in seria considerazione già nell’ immediato. .!!!.. L essere umano dovrebbe avere il coraggio nonché la grande forza di ripristinare l equilibro naturale che ha totalmente perso e distrutto con la natura….!!!? ,
Concordo, ma senza politiche demografiche serie e condivise ciò non sarà possibile: abbiamo antropizzato un ambiente (la Terra) per di più pure con uno stile di vita incompatibile con l’equilibrio naturale e senza rispetto per le altre specie.
Ricordo che, già nella seconda metà del secolo scorso, autorevoli studiosi indicavano nella soglia dei tre miliardi di umani un limite oltre il quale la vita del/sul nostro pianeta sarebbe stata difficile (e a quell’epoca, sia Cina che India, erano aree ampiamente distanti “anni-luce” dal loro sviluppo attuale – secondo il nostro standard occidentale consumistico, ovviamente).
Purtroppo, da decenni il tema demografico è scomparso dal dibattito …
Io credo che gli allevamenti intensivi così come sono concepiti, con le abberrazioni genetiche tipo i polli Broiler facciano la loro parte in questa pandemia di aviaria, nn solo il cambiamento climatico..Auspico una maggiore informazione e presa di coscienza in questo senso, con controlli e leggi più incisive.