Il 22 ottobre – nell’ampio dibattito sul regolamento per l’informazione al consumatore relativa ai prodotti alimentari – i rappresentanti dei governi dei 27 Stati membri Ue hanno trovato un accordo circa l’indicazione d’origine in etichetta dei prodotti alimentari.

La questione è una delle più controverse: da un lato, la maggior parte delle confederazioni agricole (Coldiretti in testa) chiede di imporre la citazione dell’origine delle materie prime sulle confezioni di tutti i cibi. Viceversa, altre organizzazioni agricole (Confagricoltura in Italia) e le rappresentanze dell’industria alimentare ritengono sia meglio mantenere lo status quo: l’indicazione è volontaria per la generalità dei prodotti, obbligatoria per alcune categorie (Dop, Igp, Stg, vini a denominazione protetta, prodotti biologici, carni bovine, prodotti ittici freschi, ortofrutta, oli vergini d’oliva, miele).

 

Il compromesso, in quanto tale, ambisce a conciliare le esigenze degli uni con quelle degli altri. L’accordo è così articolato:

– è obbligatorio indicare in etichetta il paese d’origine o il luogo di provenienza se la mancanza di questa indicazione possa confondere il consumatore circa l’effettiva provenienza dell’alimento. Per esempio, se su una confezione è raffigurata la bandiera italiana o c’è una denominazione di vendita caratteristica di una nostra specialità ma si tratta invece di un prodotto realizzato all’estero, bisogna riportare il paese di produzione.

– si introduce l’obbligo di indicare l’origine delle carni suine, ovine e avicole (affidando alla Commissione europea il compito di definire le modalità di tali comunicazioni nei 2 anni successivi all’entrata in vigore del regolamento).

– quando si indica il paese di origine o luogo di provenienza di un alimento, e questo non coincide con quello dell’ingrediente primario, è obbligatorio indicare anche l’origine dell’ingrediente primario o, più semplicemente, dichiarare che l’ingrediente primario ha un’origine diversa da quella dell’alimento. Questo obbligo vale nei casi di un ingrediente primario generalmente non coltivato nel paese di origine o di trasformazione dell’alimento. Per esempio, non sarà obbligatorio indicare l’origine del cacao, né precisare che la sua provenienza è diversa da quella della barretta di cioccolato italiana perché prodotta in Italia.

– entro 5 anni, la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’opportunità di estendere l’indicazione obbligatoria d’origine:

a) alle etichette di altri alimenti (latte, prodotti alimentari non trasformati, prodotti mono-ingrediente)

b) ad alcuni ingredienti dei prodotti alimentari. In particolare si valuteranno i pro e i contro dell’obbligo di indicare le origini del latte utilizzato nei prodotti lattiero-caseari, della carne usata nella preparazione di altri cibi (es. pasta ripiena) e in generale degli ingredienti che rappresentino più del 50 per cento dell’alimento (es. farina nel pane).

La Commissione dovrebbe perciò stimare, caso per caso, se l’indicazione dell’origine è possibile, quanto costa agli operatori della filiera e quali vantaggi potrebbe comportare.

Prendiamo per esempio l’olio di semi vegetali (soia, mais, colza, girasole, arachide, etc.). Gli approvvigionamenti variano a seconda di stagioni, raccolti e condizioni di mercato, mentre i semi sono stivati in enormi silos che riforniscono gli impianti di triturazione a ciclo continuo. Per indicare l’origine dei semi bisognerebbe demolire i silos, segregare le singole partite di semi in contenitori più piccoli, interrompere i cicli di produzione e sostituire i rotoli delle etichette ogni volta cambi l’origine delle materie prime.

I costi aumenterebbero a dismisura: i consumatori potrebbero non essere disposti a sopportare gli aumenti dei prezzi per sapere se l’arachide era senegalese o ivoriana, e gli agricoltori europei non avrebbero alcun vantaggio competitivo. Anzi: i dati mostrano come neppure l’indicazione obbligatoria dell’origine delle olive (oltre al luogo di molitura) sulle etichette degli oli vergine ed extra-vergine abbia apportato vantaggio ai nostri olivicoltori.

La Commissione dovrebbe quindi realizzare valutazioni economiche oggettive, al di là delle aspirazioni e degli umori delle varie parti interessate, e, se necessario, presentare proposte di regolamenti specifici, settore per settore.

L’accordo degli Stati membri andrà ora al Parlamento europeo che, nei prossimi mesi, tornerà a esaminare il progetto di regolamento “informazione al consumatore”, in seconda lettura.

Dario Dongo

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