Il segnale è forte e chiaro: la luna di miele tra i consumatori e i surrogati vegetali della carne non è finita, ma di certo è più tiepida, se il marchio più conosciuto e di maggiore successo, Impossible Foods, riformula i suoi prodotti. Questi ultimi iniziavano infatti a vendere di meno (cioè ad aumentare meno freneticamente le vendite), principalmente a causa di una reputazione non più perfetta. A pesare sono state le analisi che, negli ultimi mesi, hanno messo in evidenza come si tratti, a tutti gli effetti, di alimenti ultra-trasformati con molti ingredienti, tra i quali abbondavano sale, esaltatori di sapidità (per esempio glutammato di sodio), aromi, coloranti e grassi. E allora si è deciso di cambiare, andando incontro alle richieste del mercato.
A raccontare i burger vegetali 2.0 è FoodNavigator, con un’intervista al CEO Peter McGuinness, che ha esposto le motivazioni della scelta dell’azienda, e i dettagli del cambiamento. Le modifiche più importanti sono due: il taglio netto ai grassi saturi del 25%, cui corrisponde un aumento delle proteine, che passano dal 33 al 38%. In generale, ci sono 6 grammi di grassi al posto di 8 in ogni portata, e 19 di proteine, che sono state anche migliorate dal punto di vista nutrizionale, e ora vantano la stessa assimilabilità di quelle della carne di manzo.
La soia (leggermente aumentata) resta l’ingrediente principale, mentre non ci sono più le patate. Inoltre viene aggiunto un amminoacido, il triptofano, che migliora la digeribilità, mentre sono invariati il ferro e altri micronutrienti. Il colesterolo è sempre assente, e la leghemoglobina di soia, il discusso ingrediente che conferisce il colore rosso-sangue, è sempre presente. Stando a quanto dice l’azienda, non cambiano né la consistenza, né il gusto, né la resa alla cottura. Il tutto, rispetto al manzo, con un taglio del 20% delle calorie, del 33% dei grassi saturi e un impatto ambientale decisamente inferiore. Il prezzo per ora, non aumenta, perché la crescita dell’azienda ha permesso di assorbire i rincari delle prime quattro materie prime, e la differenza con la carne animale ormai è minima.
Ciò che invece cambia è il nome del prodotto leader (la ‘mattonella’ di trita vegetale), che dovrebbe diventare Impossible Beef, anche perché l’azienda inizierà a vendere separatamente i burger già pronti, che invece manterranno il nome Impossible Burger.
McGuinness spiega la riformulazione come strategia commerciale, più che come scelta che tiene conto della salute. La crescita certificata, negli ultimi anni, è stata del 65% ogni anno sul precedente, spiega, pur non avendo raggiunto capillarmente il mercato, e il tasso di conferma è stato del 45%. Quindi per ogni persona che prova un sostituto della carne di Impossible Foods, circa la metà lo compra di nuovo. Ma ora c’è molta più concorrenza. In effetti, quando si è presentata al mercato, Impossible Foods era quasi monopolista (e nel frattempo ha guadagnato circa due miliardi di dollari), ma nel giro di un tempo molto breve, il numero di aziende che propongono prodotti simili è salito vertiginosamente. Lo spazio sugli scaffali dei supermercati e nei menu, però, è sempre lo stesso.
Molto, ricorda il CEO, dipende anche dalla collocazione di prodotti, che ogni rivenditore posiziona dove ritiene opportuno, insieme alla carne, tra gli alimenti per vegani, tra i surgelati e così via: un aspetto che sarà seguito con maggiore attenzione. Quanto alle stime sul futuro, anche se non si spinge a dire, come hanno fatto altri, che la carne di animali allevati è destinata a scomparire (qualcuno ha usato il termine ‘eradicata’) entro il 2035, McGuinness pensa che i surrogati vegetali siano destinati a essere sempre più prodotti di massa, se la GDO farà la sua parte meglio di come non abbia fatto finora e se lo sforzo comunicativo di queste aziende riuscirà a essere ancora più efficace.
© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, AdobeStock, Impossible Foods
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Giornalista scientifica