Gli insetti impollinatori, a cominciare dalle api, sono in drastico calo in tutto il mondo, principalmente a causa dell’utilizzo dei fitofarmaci e del riscaldamento globale. Ma che conseguenze ha o potrebbe avere questa vera e propria estinzione di massa sulle piante che l’uomo utilizza per nutrirsi? La domanda, cruciale per cercare di programmare efficaci strategie di contenimento del fenomeno, è stata oggetto di uno studio internazionale che per la prima volta ha cercato di inquadrare la situazione globale. La ricerca ha coinvolto una ventina di scienziati di altrettanti centri di ricerca sparsi in cinque continenti, e i cui risultati sono stati appena pubblicati su Science Advances.
I ricercatori, coordinati dall’università tedesca di Stellenbosch, hanno voluto raccogliere i dati contenuti in modo frammentario in numerosissimi studi, e razionalizzare quanto emerso finora in merito alle differenze nella qualità e quantità dei semi associate alla presenza o meno di impollinatori. Nello specifico, hanno riunito oltre 1.500 esperimenti presenti in tre grandi database internazionali, che hanno avuto come oggetto poco meno di 1.400 popolazioni di piante e circa 1.100 specie appartenenti a 143 famiglie di tutto il mondo, con la sola eccezione dell’Antartide. Sono così riusciti a realizzare un unico archivio omogeneo, dal quale è stato possibile trarre conclusioni su larga scala.
Il risultato è stato che un terzo delle piante che producono fiori, in assenza di impollinatori, non produrrebbe più semi, mentre circa la metà di esse avrebbe una riduzione dell’80% della fertilità. Infatti l’autoimpollinazione, possibile per molte piante, è molto meno efficiente rispetto all’intervento degli insetti. E oltretutto ha una conseguenza che, a sua volta, alimenta un circolo vizioso: le piante che si autoimpollinano producono meno polline e meno nettare, e contribuiscono così al decremento delle popolazioni di insetti. E non è tutto. Se c’è un calo di impollinatori, oltre a diminuire la biodiversità, evento sempre nefasto, si creano le condizioni ideali affinché le piante che riescono ad autoimpollinarsi prevalgano sulle altre, favorendo ulteriormente la scomparsa degli insetti.
Secondo gli autori purtroppo siamo già in una situazione nella quale gli impollinatori, quando presenti, non riescono a compensare le perdite di altre zone, e per questo è quanto mai urgente agire, se si vogliono evitare vere e proprie catastrofi alimentari. La razionalizzazione dei dati ha messo in evidenza il primo fronte su cui intervenire: ci sono ampie aree delle quali non si sa quasi nulla, perché non esistono sistemi di rilevamento della presenza di impollinatori, o dell’andamento delle piante. Poiché nessun intervento può prescindere dai numeri, si dovrebbero finanziare reti di monitoraggio e ricerche per esempio in buona parte dell’Africa, in Russia e nell’Asia centrale, in Canada, in Australia, in Medio Oriente e in parte del Sud America. E, contemporaneamente, si dovrebbero varare leggi a tutela degli impollinatori, per esempio finalizzate a limitare molto più di quanto non accada oggi l’impiego delle sostanze più nocive.
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Giornalista scientifica