Proponiamo ai lettori un articolo pubblicato sul sito dell’Accademia dei Georgofili sui sistemi di agricoltura da usare sulla Luna per produrre il cibo degli astronauti impegnati in missioni di lunga durata. La nota è basata su un’intervista a Paola Adamo, ordinaria di Chimica agraria all’Università di Napoli Federico II, ed è stata realizzata da Giulia Bartalozzi dell’Accademia dei Georgofili.
Professoressa Adamo, è di questi giorni la notizia che sono germogliati per la prima volta dei semi sul terreno lunare portato sulla Terra dagli astronauti di alcune missioni Apollo. Lo studio, finanziato dalla Nasa, è stato pubblicato sulla rivista Communication Biology (vedi foto sotto). Perché è importante condurre questo tipo di ricerche?
Coltivare piante superiori di interesse alimentare in ambienti extraterrestri utilizzando le risorse disponibili in situ, ed in particolare il suolo lunare e marziano, è un obiettivo fondamentale per rendere possibile e sostenibile in futuro l’esplorazione umana dello spazio. La produzione di cibo fresco in situ garantirebbe, infatti, l’autonomia e la sopravvivenza degli astronauti nelle missioni di lungo termine. Tuttavia, il suolo ‘extraterrestre’ è molto diverso da quello terrestre. In particolare, è completamente privo di materiale organico e quindi di elementi nutritivi essenziali alla vita delle piante quali azoto, fosforo e zolfo, e manca di una struttura capace di trattenere e contenere acqua e aria, elementi indispensabili per lo sviluppo radicale. La preparazione di un substrato chimicamente e fisicamente fertile per la crescita di piante ad uso alimentare a partire da suolo, o più precisamente, da regolite lunare e marziana rappresenta pertanto una delle principali sfide della ricerca scientifica in campo spaziale.
La produzione di cibo fresco attraverso un approccio di utilizzo in-situ delle risorse è di fondamentale importanza per garantire l’autonomia e la sopravvivenza dell’equipaggio nelle missioni spaziali di lungo termine. L’uso della regolite marziana come suolo per la crescita delle piante sarebbe una pratica sostenibile per ottenere cibo, anche se il ‘suolo extraterrestre’ è di gran lunga diverso dal suolo vitale e fertile che abbiamo sulla Terra. All’interno di un sistema bio-rigenerativo di supporto alla vita (Blss) extraterrestre, per trasformare la regolite (da intendersi come una roccia amminutata) in un substrato idoneo alla crescita delle piante si potrebbe aggiungere un materiale organico compostato derivante dai rifiuti dell’equipaggio e dagli scarti vegetali. Ciò consentirebbe di fornire nutrienti alle piante, assenti nella regolite, e di favorire la formazione della struttura del ‘suolo’, con la sua rete di pori, adatti ad ospitare acqua ed aria, elementi indispensabili per lo sviluppo radicale. Considerando che la regolite marziana non è disponibile sulla Terra, gli studi di ricerca spaziale vengono comunemente condotti su simulanti di regolite, che tendono a replicare le proprietà
Lei lavora in un team che conduce studi analoghi, a che punto siamo in Italia e come è organizzata la ricerca?
Attualmente stiamo conducendo attività di ricerca nell’ambito del progetto Rebus ideato da un consorzio di Università, enti di ricerca ed aziende aerospaziali italiane in risposta al bando di ricerca per Missioni future di esplorazione umana dello spazio emesso dall’Agenzia Spaziale Italiana a fine 2017. Rebus è un progetto il cui obiettivo generale è capire come coltivare piante superiori in ambienti extraterrestri utilizzando le risorse disponibili in situ. Poiché le regoliti lunare e marziana non sono disponibili sulla Terra, o nel caso della lunare non lo sono in quantità tali da poter essere utilizzata in esperimenti di crescita di piante superiori, gli studi di ricerca spaziale, inclusi i nostri, vengono comunemente condotti su simulanti di regolite, che tendono a replicare le proprietà mineralogiche, fisiche e chimiche delle regoliti extraterrestri analizzate durante le missioni spaziali.
Gli studi tutt’ora in corso condotti dai ricercatori del Dipartimento di Agraria dell’Università di Napoli Federico II da me coordinati si sono focalizzati su tre obiettivi principali: 1) caratterizzazione fisico-chimica e idraulica di simulanti di regolite lunare (LHS-1, Exolith Lab, University of Central Florida, Orlando, FL, USA) e marziana (MMS-1, The Martian Garden, Austin, Texas, USA) in purezza e mescolati in diverse proporzioni con matrici organiche ottenute da scarti vegetali, da deiezioni di animali monogastrici e da residui della razione alimentare degli astronauti; 2) valutazione del potenziale utilizzo di tali materiali come substrato di coltura di lattuga, patata, soia e più recentemente microgreens; 3) definizione della qualità e del valore nutrizionale del cibo prodotto. I risultati sono stati oggetto di diverse pubblicazioni su riviste internazionali (i link sono riportati alla fine dell’intervista). In particolare, è stato dimostrato che l’aggiunta di ammendanti organici ai simulanti può mitigarne l’elevata alcalinità e, soprattutto, incrementarne il contenuto di acqua e nutrienti biodisponibili. Tutte le piante sono cresciute sulle miscele per periodi variabili con e senza l’ausilio della fertirrigazione. Le piante di patata hanno prodotto un discreto numero di tuberi anche se di piccole dimensioni. La miscela composta dal 70% di simulante e dal 30% di compost si è rivelata il miglior substrato in termini di disponibilità di acqua alla pianta e il miglior compromesso tra performance agronomiche e uso sostenibile delle matrici organiche. Ancora molti i temi da indagare tra i quali i processi produttivi di compost durante le missioni spaziali, la rappresentatività dei simulanti nei confronti della regolite presente sulla superficie di Luna e Marte e l’effetto della gravità e delle condizioni ambientali (es. radiazioni) extraterrestri sulla crescita delle piante.
Secondo Lei è possibile sfruttare suoli così lontani per poter produrre cibo a sufficienza per gli abitanti sempre più numerosi della Terra o piuttosto nutrire gli astronauti nelle future missioni?
Ad oggi, non è immaginabile che la coltivazione delle piante nello spazio possa avere come obiettivo la produzione di cibo per gli abitanti del pianeta Terra. I costi di tale produzione sarebbero non sostenibili. Al contrario, la produzione di cibo utilizzando le risorse in-situ (regoliti e scarti) è fondamentale per garantire l’autonomia e la sopravvivenza degli astronauti nelle missioni di lungo periodo. In tale contesto, il progetto Rebus, si pone appunto nel filone dello studio dei sistemi bio-rigenerativi, sistemi che, nelle future missioni di esplorazione spaziale, dovranno essere capaci di produrre risorse (ossigeno, acqua e cibo) per gli astronauti a partire da regoliti e rifiuti (residui di cibo, reflui umani, CO2, etc) generati dagli stessi ed opportunamente trattati.
Com’è il suolo lunare?
Come dicevo, gli studi di ricerca spaziale vengono comunemente condotti su simulanti di regolite lunare e marziana, che tendono a replicare le proprietà delle regoliti extraterrestri analizzate durante le missioni spaziali. Non esiste un simulante universale così completo da rappresentare in toto la mineralogia del suolo lunare e marziano. In analogia con quanto si osserva sulla crosta terrestre, i suoli presenti sulla superfice della Luna e di altri pianeti sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità e variabilità spaziale. Per sviluppare un simulante è fondamentale identificare rocce terrestri con composizioni mineralogiche quanti-qualitative simili a quelle delle regoliti lunari e marziane. Possono essere addizionati minerali specifici per riprodurre la variabilità generale di Luna e Marte. Tuttavia, anche con queste aggiunte, è difficile replicare tutte le caratteristiche delle regoliti in un unico simulante. Di conseguenza, nel corso degli anni, molti gruppi di ricerca hanno prodotto i loro propri simulanti. In ogni caso, nessun simulante esistente contiene acqua o componenti organiche
Quali ostacoli presenta la superficie lunare per coltivare il cibo degli astronauti?
La morfologia superficiale della Luna è costellata di siti di impatto di meteoriti e micrometeoriti. Campioni portati sulla Terra dalle missioni Apollo alla fine degli anni ’70 hanno rivelato che la regolite lunare era un misto di quantità variabili di due rocce primarie: 1) il basalto scuro dei mari lunari (Lunar Mare) e 2) l’anortosite degli altopiani lunari (Lunar Highlands) di colore più chiaro e ricca di feldspati. Questi sono mescolati in un’approssimativamente costante proporzione con componenti vetrose. I simulanti di regolite lunare sono costituiti principalmente da plagioclasi, minerali mafici (nesosilicati e inosilicati come olivina e pirosseno) e vetro. Rispetto ai simulanti delle regoliti Lunar Highlands, i simulanti delle regoliti Lunar Mare sono più ricchi di minerali mafici (7 vs. 35%, rispettivamente) e ossidi (rispettivamente 0,2 vs 2,9%). Tuttavia, i simulanti delle regoliti Lunar Highlands contengono livelli più elevati di plagioclasi anortitici rispetto ai simulanti delle regoliti Lunar Mare (59 vs. 34%, rispettivamente).
Durante il periodo delle missioni Apollo, l’esplorazione della superficie lunare fu seriamente ostacolata dalla presenza di polveri. Di conseguenza, un ulteriore tipo di simulante proposto è quello definito come Lunar Dust. I dati disponibili sulle caratteristiche petrografiche di questo simulante indicano una vasta gamma di tipi di roccia, che vanno da gabbro ad anortosite. I simulanti di polvere lunare sono arricchiti in vetro rispetto ai simulanti delle regoliti Lunar Mare e Lunar Highlands (53 contro 25% e 33%, rispettivamente) e mostrano livelli più bassi di neosilicati, inosilicati e tectosilicati.
Intervista realizzata da Giulia Bartalozzi dell’Accademia dei Georgofili
APPROFONDIMENTI
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fspas.2021.747821/full
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0048969720310548
https://www.mdpi.com/2223-7747/9/5/628
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fnut.2022.890786/full
https://www.mdpi.com/2673-9976/3/1/15
© Riproduzione riservata Foto: Nasa, Communication Biology
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