I burger vegetali non sono più salutari di quelli di bovino, inoltre sono più processati a livello industriale. È il risultato di un confronto presentato come La sfida definitiva dal sito NutriMi, basato su di un’elaborazione di Oplà, app che permette di valutare i prodotti alimentari considerando sia l’aspetto nutrizionale che il processo produttivo. Il confronto si basa sui valori nutrizionali medi di un burger di puro bovino contro un ‘metaprodotto’ con le caratteristiche medie di 10 burger vegetali scelti fra quelli leader di mercato. Le polpette di sola carne bovina sarebbero preferibili perché meno grasse e più naturali, in quanto non prevedono aggiunte di zucchero, sale, né altri ingredienti.
È vero che si tratta di un alimento semplice, non ultra-processato, come sono invece gli analoghi vegetali, infatti trasformare soia, piselli o altri vegetali in un prodotto simile alla carne, per sapore e consistenza, richiede diversi ingredienti e processi industriali complessi. Non si può dire però che il burger di bovino sia sempre preferibile a quello veg, perché esistono prodotti a base vegetale molto diversi fra loro, con ingredienti e tabelle nutrizionali differenti. La media fra 10 burger non risulta quindi interessante per il consumatore, che deve fare una scelta fra prodotti sempre più numerosi e differenziati.
Burger vegetali contro hamburger di bovino
Abbiamo confrontato l’hamburger di bovino adulto, 100% carne, a marchio Coop Origine, con alcuni burger vegetali che troviamo sugli scaffali dei supermercati (vedi tabella). Cento grammi di hamburger di bovino forniscono 181 kcal, 11 g di grassi, di cui 5,5 di grassi saturi e 20 g di proteine. Il prodotto non contiene carboidrati, né fibra e pochissimo sale.
La maggior parte delle alternative vegetali è prodotta a partire da soia (tofu, farina di soia, proteine di soia o altro), ma anche da ceci oppure piselli, quest’ultimo è un ingrediente più sostenibile della soia e sempre più utilizzato. Come grasso si trova spesso olio di girasole, ma anche di colza, di cocco (più ricco di grassi saturi) e, raramente, il più salutare extravergine d’oliva. Molte ricette prevedono cipolla, pomodoro o altre verdure e sono sempre presenti spezie per insaporire la miscela. In alcuni casi compaiono additivi come stabilizzanti (metilcellulosa), aromi o conservanti (come il sorbato di potassio).
Aspetti nutrizionali
La composizione nutrizionale dei prodotti considerati varia notevolmente: 100 g forniscono in media circa 200 kcal, un valore vicino a quello dell’hamburger di bovino, ma si va da 154 per il burger di soia Conad a 329 per il prodotto di ceci Pam Panorama in cui i grassi arrivano addirittura al 23%, un valore esagerato se pensiamo che in media siamo intorno al 10-12%. I grassi saturi, quelli a cui dobbiamo fare più attenzione, perché correlati alle patologie cardiovascolari, rimangono di solito intorno all’1% nei prodotti vegetali, contro il 5,5% del bovino che abbiamo preso a confronto. Attenzione, però, perché la quantità può salire in base al grasso utilizzato: si arriva al 6,5% nell’Unconventional burger, che vede fra gli ingredienti olio di cocco.
I prodotti vegetali contengono poi una certa quantità di carboidrati complessi (assente nella carne) e fibra vegetale. Mancano invece micronutrienti importanti come il ferro e le vitamine, che troviamo nella carne. Attenzione al sale: assente negli hamburger di sola carne, può superare 1,5 g in una polpetta veg. Un burger, nel pasto, è di solito il piatto più ricco di proteine e il prodotto bovino, con una quota del 20%, ha un ottimo contenuto proteico.
Questa quota invece varia notevolmente nei prodotti vegetali: da circa 7 g nei burger Coop e Zerbinati a 21 g del prodotto Garden gourmet, con diversi burger che si attestano intorno a 15 g. Quest’aspetto non ci deve preoccupare, perché difficilmente la nostra alimentazione risulta carente di proteine, in ogni caso è opportuno considerarlo perché, dal punto di vista nutrizionale, un burger con il 7% di proteine non si può considerare analogo a una pietanza a base di carne.
Gli additivi nei burger vegetali
È chiaro quindi che bisogna sempre leggere le etichette con attenzione, considerando grassi, proteine, sale e anche la presenza di additivi come conservanti, presenti per esempio nel burger Kioene, o aromi, nell’Unconventional burger e nel prodotto Valsoia, di cui possiamo fare a meno. Questo tipo di considerazioni vale comunque anche per il prodotti di carne bovina, perché gli hamburger di carne 100% sono una piccola parte, mentre spesso prevedono aggiunte, come pangrattato, fiocchi di patate, erbe aromatiche e sale. Inoltre, il tenore di grassi saturi varia notevolmente a seconda del taglio utilizzato.
Il parere di Enzo Spisni, fisiolo della nutrizone
Abbiamo chiesto un parere a Enzo Spisni, fisiologo della nutrizione presso l’Università di Bologna. “Non direi proprio che l’hamburger di bovino sia un alimento preferibile in generale ai burger vegetali – dice Spisni –. Si tratta di prodotti completamente diversi: quelli a base vegetale possono essere di scarsa oppure di ottima qualità, in base alle materie prime e agli additivi utilizzati. Nelle scuole primarie si insegna che non si possono sommare pere a patate, nei corsi universitari di statistica che non si possono fare medie di prodotti non omogenei. Fare medie di composizione di prodotti così diversi è scientificamente sbagliato.”
“La carne bovina, d’altra parte, – continua Spisni – è una carne rossa e il suo consumo deve essere saltuario, perché correlata a patologie come quelle cardiovascolari e il cancro al colon. Per evitare questi rischi è opportuno seguire le frequenze di consumo suggerite dalla piramide alimentare della dieta mediterranea, per cui la carne rossa non andrebbe consumata più di alcune volte al mese. Non dimentichiamo poi la sostenibilità ambientale: anche se i burger vegetali hanno un packaging più complesso rispetto a quelli di carne bovina, che possiamo acquistare dal macellaio, quella della carne bovina rimane la filiera agroalimentare con il più elevato impatto ambientale”.
I prezzi dei burger vegetali
Sul fronte dei prezzi la situazione è variegata. Un hamburger di bovino costa 11 €/kg all’Esselunga e 13 alla Coop e i burger vegetali con il marchio delle stesse catene hanno prezzi analoghi. Per i prodotti vegetali ‘firmati’, invece, si va dai circa 13 €/kg per il burger Zerbinati agli oltre 23 €/kg per quello a marchio Garden Gourmet. La carne è sicuramente un ingrediente più costoso della soia e dei ceci, come si spiegano allora questi prezzi? In parte sono dovuti alla complessità dei processi produttivi, che richiede notevoli investimenti nella ricerca, poi incide il marketing, necessario per lanciare sul mercato prodotti sempre nuovi.
Bisogna comunque notare che i prezzi sono diventati più accessibili, rispetto anche a pochi anni fa, in particolare per i prodotti con il marchio dei supermercati. Per questo i burger vegetali si stanno rapidamente affermando, non tanto sulle tavole dei vegetariani, ma su quelle di tutti coloro che vogliono ridurre il consumo di carne, sia per questioni di salute sia con l’intento di ridurre l’impatto ambientale delle proprie scelte alimentari, aspetto che sta a cuore a un numero crescente di consumatori.
L’impatto ambientale
La produzione delle lenticchie, per esempio, ha un impatto sul clima 43 volte inferiore a quello della carne bovina. Gli ingredienti e i processi utilizzati per produrrre i burger vegetali richiedono comunque materie prime ed energia. La scelta più efficace, da questo punto di vista, sarebbe quindi quella di consumare cereali e legumi tal quali, oppure preparare a casa burger e crocchette partendo da ceci e lenticchie. In ogni caso, facendo attenzione alle etichette, i prodotti pronti possono essere un’alternativa interessante per un pasto già pronto.
* Prezzi rilevati sui siti delle catene e sulle principali piattaforme di vendita online.
** Il Nutriscore valuta gli aspetti nutrizionali ed è basato su cinque categorie (dalla A alla E, per alimenti da consumare via via meno di frequente). La valutazione Yuka tiene conto sia della composizione nutrizionale che degli additivi ed è basata su un punteggio in centesimi che permette di suddividere i prodotti in quattro categorie.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.