Il Green Deal europeo sta perdendo un pezzo dopo l’altro. Lo scorso 11 luglio, il Parlamento europeo ha votato per esentare gli allevamenti bovini e gran parte di quelli di pollame e suini dai nuovi limiti alle emissioni industriali imposti dall’omonima direttiva. Le misure proposte in origine dalla Commissione europea sono state bocciate da un’alleanza tra partiti di destra e centro-destra, con il sostegno di una parte dei liberali. Tra di essi c’è anche il Partito Popolare Europeo, che, come spiega Politico, in vista delle elezioni europee del 2024 vuole presentarsi a elettori ed elettrici come difensore degli interessi di agricoltori e allevatori, facendo strenua opposizione a importanti misure in campo ambientale.
Secondo i dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, il settore zootecnico, allevamento bovino in testa, è responsabile di più della metà (54%) delle emissioni di metano generate dalle attività umane. L’allevamento intensivo, inoltre, è responsabile del 94% di tutte le emissioni di ammoniaca e del 73% dell’inquinamento idrico legato alle attività agricole. Nonostante questi dati preoccupanti, il Parlamento ha respinto il tentativo di ampliare le restrizioni alle emissioni inquinanti al settore zootecnico, abbassando addirittura i requisiti anche per gli allevamenti intensivi di suini e pollame soggetti alla direttiva dal 1996, spiega Greenpeace. Gli allevamenti con meno di 2mila suini e/o 750 scrofe o 40mila polli e galline, oltre a tutti gli allevamenti bovini, saranno esenti dai limiti posti dalla direttiva sulle emissioni industriali, mentre quelli più grandi potranno usufruire di una procedura di registrazione semplificata.
Mentre le associazioni di categoria come Filiera Italia e Assocarni plaudono alla bocciatura delle norme più restrittive, le organizzazioni ambientaliste sono sul piede di guerra. “L’influenza delle lobby della zootecnia intensiva ha portato a un voto paradossale: – dichiara Simona Savini di Greenpeace Italia. – consentendo ai più grandi allevamenti intensivi europei di continuare a inquinare, li ha messi sullo stesso piano degli allevamenti più piccoli. Questo è un voto contro l’ambiente, contro la salute e contro le stesse aziende a conduzione familiare che si dice di voler difendere, comprese quelle del Made in Italy”.
Come spiega la Coalizione #Cambiamoagricoltura, che riunisce tutte le organizzazioni e le persone che chiedono una riforma della Politica agricola comune (Pac): “Per influenzare il voto dei parlamentari, le lobby hanno utilizzato come principale argomento il fatto che venissero messe in difficoltà piccole aziende familiari. In realtà, il testo in votazione estendeva gli obblighi autorizzativi alle sole grandi aziende con più di 300 bovini allevati (meno del 3% del totale), in cui però si concentrano gran parte dei capi allevati. Stiamo dunque parlando di allevamenti di taglia industriale responsabili del 60% delle emissioni del settore sia climalteranti che inquinanti per acqua, suolo e aria. Le aziende a conduzione familiare non sarebbero state interessate dal provvedimento.” Le ricadute per l’Italia sono molto rilevanti, in particolare per la Pianura Padana: qui si concentra il 70% degli allevamenti zootecnici del Paese, le cui emissioni di ammoniaca rappresentano la seconda causa di formazione di polveri sottili. “Ha vinto il partito dell’inquinamento, ha perso quello della salute umana e del benessere animale” è l’amaro commento della Coalizione.
La bocciatura dei limiti stringenti alle emissioni inquinanti degli allevamenti non è l’unico colpo che ha subito il Green Deal. All’indomani del voto sulla direttiva emissioni industriali, il 12 luglio, con un voto sul filo del rasoio (336 sì, 300 no e 13 astenuti), il Parlamento europeo ha espresso opinione favorevole alla legge sul ripristino della natura, uno dei pilastri del Green Deal, ma non prima di averne annacquato alcuni punti fondamentali riguardanti l’agricoltura.
La normativa imporrà l’istituzione di misure di recupero per il 20% delle terre e dei mari dell’Unione Europea entro il 2030, con l’obiettivo di estendere, entro il 2050, gli interventi a tutti gli ecosistemi degradati, che secondo l’Agenzia europea dell’ambiente sono l’81% del totale. Nonostante l’approvazione della legge sia stata accolta, letteralmente, dagli applausi degli europarlamentari di area ambientalista e di sinistra, nel testo votato sono stati inseriti alcuni emendamenti che, ad esempio, escludono gli ecosistemi agricoli dal campo di applicazione della normativa, eliminano l’obiettivo di riduzione della superficie agricola del 10%. Inoltre, è stata inserita una clausola che rimanda l’implementazione delle misure a una valutazione del loro impatto sull’approvvigionamento alimentare.
Anche questi emendamenti sono il risultato dell’opposizione aggressiva dei partiti di destra e centro-destra, che hanno ripreso le posizioni delle associazioni di categoria secondo cui la legge avrebbe messo a repentaglio l’approvvigionamento alimentare europeo, i posti di lavoro e sarebbe stata addirittura controproducente per la stessa natura. Argomentazioni simili a quelle usate per bocciare l’inclusione degli allevamenti nella normativa emissioni industriali.
Tuttavia, come riporta il quotidiano The Guardian, la scienza dice esattamente il contrario. Una lettera aperta firmata da 6mila scienziati mostra come le ricerca indichi che il ripristino degli ecosistemi naturali migliorerebbe le rese alimentari, aiuterebbe le attività della pesca, creerebbe posti di lavoro e consentirebbe di risparmiare denaro. “Stiamo sistematicamente sentendo disinformazione,” ha affermato Guy Pe’er, biologo conservazionista presso l’Helmholtz-Centre for Environmental Research. Michael Bloss, europarlamentare tedesco dei Verdi, ha detto al Guardian: “Più forte urli e più informazioni false diffondi – il che a volte è una strategia vincente. Ma il perdente, alla fine, è il dibattito democratico”. Insieme all’ambiente.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
finché il pensiero dominante sarà la difesa delle attuali attività produttive, come misura per non perdere consensi (e certamente non per difendere un futuro vivibile per le generazioni di oggi e domani), dovremo imparare sempre più e meglio a saper incassare gli eventi estremi che i cambiamenti climatici comporteranno, logica conseguenza di cecità, inerzie e spavaldi egoismi.
Verrebbe la tentazione di fare un amaro commento nel vedere come uno slogan altisonante e accattivante si svuota di reale contenuto e si riempie di eccezioni, malintesi e false promesse.
La stessa tentazione che ho provato leggendo il commento del sig. Altieri ad un recentissimo articolo sul glifosato, articolo e commento per me condivisibili.
Appellarsi alle leggi esistenti sarebbe però poco utile, anzi quasi inutile perchè le regole vengono da un luogo indefinito, fatte da entità altrettanto indefinite e opache dove non si capisce chi fa cosa, il perchè è l’unica cosa abbastanza chiara.
Non conta lo scarso numero di sostenitori veramente convinti e fedeli, la mancanza di coerenza politica con numerosi ed eclatanti voltafaccia e le infinite deroghe anche di fronte alle certezze scientifiche, e lo scarso contrasto al vastissimo marcato parallelo di veleni anche prodotti legalmente in casa nostra, alla luce del sole.
Quello che sostiene il mondo del bio è la certezza che i nostri sistemi funzionano e danno prodotti sani, che fanno bene alla salute, certezza che non teme confronti.
Le sicurezze degli altri hanno sempre una data di scadenza su cui si sbizzarriscono tanti truccatori giocando con limiti, date e negazioni anche all’evidenza.
Essendo poi la politica l’arte del compromesso il gioco è fatto, eccovi il recente passato, il presente e forse il futuro della produzione e consumo alimentare.
Per cui pur avendo la tentazione di indulgere sui difetti altrui meglio è parlare di quello che di buono e giusto possiamo offrire.
Basta piantare alberi in proporzione a emissioni CO2
e piantarla di dire sciocchezze..
Veramente ma ci credono tutti scemi?
Un po’ come per la plastica..
Inquina? Si torni al vetro..
Le pile usa e getta da 1,5v Stop!!
E solo voltaggi da 1,2V con ricaricabili.
Come le restrizioni assurde acqua che volevano imporci (doccia in due ecc.) Acqua che poi.. ciclicamente causa caldo evapora dal mare ritornando a terra.. e in ogni caso, prima di chiedere agli Italiani di non lavarsi..
Si chiudano prima i campi da golf (9 miliardi di litri al gg) e poi ne parliamo..
e potrei andare avanti all’infinito!!!
cioè davvero.. se avete Eco Ansia
Accendete il cervello.. e se ci arrivo io con la terza media, non vedo perché non voi. (Punto)
La Nature restoration law prevede il ripristino del 20% degli ecosistemi naturali europei entro il 2030. Un obiettivo ambizioso a cui si sono opposti diversi paesi membri della UE, tra cui l’Italia (https://www.lifegate.it/nature-restoration-law)