Pasta, grandi incertezze per la filiera del grano duro, tra scorte ai minimi storici, costi aumentati e preoccupazioni per la prossima raccolta
Pasta, grandi incertezze per la filiera del grano duro, tra scorte ai minimi storici, costi aumentati e preoccupazioni per la prossima raccolta
Giulia Crepaldi 10 Giugno 2020È stato uno dei prodotti più acquistati durante gli assalti ai supermercati delle prime settimane di emergenza coronavirus: ovviamente stiamo parlando della pasta, alimento base della dieta italiana, a lunga conservazione ed economico. Ma mentre i carrelli si riempivano e gli scaffali si svuotavano, la filiera del grano duro si è trovata improvvisamente ad affrontare un picco anomalo di domanda, in un periodo di difficoltà nei trasporti, aumenti dei costi e continui cali delle scorte della materia prima. Come riferisce Agricultura, se ne è parlato durante i Durum Days 2020, evento annuale della filiera, che quest’anno si è tenuto interamente online.
Secondo un’indagine dell’istituto di ricerca Areté, la filiera del grano duro sta affrontando una situazione difficile e imprevedibile: da un lato per mesi si è praticamente azzerata la domanda della ristorazione, dall’altro le vendite di pasta attraverso la grande distribuzione sono aumentate del 24% tra marzo e aprile, che però non sono state sufficienti a compensare il crollo degli ordini di ristoranti e mense. Il picco più alto (+40%) si è registrato proprio a marzo, mese in cui gli italiani hanno preso d’assalto i supermercati, ma una volta riempite le dispense di tutta la penisola, le vendite sono rapidamente diminuite, fino a segnare, ad aprile, cali del 10% rispetto alla stessa settimana dell’anno precedente.
Per far fronte al boom di acquisti, la produzione di semola negli scorsi mesi è aumentata del 15% e alcuni pastifici sono arrivati a superare il 100% della capacità produttiva, riducendo i formati e riorganizzando i turni di lavoro. Allo stesso tempo sono aumentati i costi per le imprese, a causa delle misure di prevenzione del contagio sui luoghi di lavoro che hanno causato rallentamenti lungo la catena di approvvigionamento e produzione ed “episodi di pronunciata ritenzione da parte dei detentori della materia prima, – ha spiegato durante i Durum Days Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa, l’associazione dei mugnai italiani – fortunatamente superati grazie alla fluidità dei flussi di importazione e alle giacenze di frumento duro presenti nei silos delle industrie molitorie”. E questi maggiori costi sono stati in gran parte assorbiti dalle aziende stesse, che hanno visto i propri margini di guadagno assottigliarsi.
Già prima dell’inizio dell’emergenza i prezzi del grano duro erano più alti del 25% rispetto al 2019 e mentre le scorte hanno raggiunto il punto più basso dell’ultimo decennio, e potrebbero calare di un ulteriore 27% durante la prossima raccolta, secondo stime realizzate da Areté. Quindi, anche se in Italia la superficie coltivata a grano duro aumenta (+6%), non c’è molto ottimismo per la prossima raccolta, che anzi potrebbe subire un calo di qualità a causa della siccità prolungata che ha colpito alcune zone. Un problema che rischia di ostacolare i sempre più numerosi pastifici che, in risposta alla crescente domanda dei consumatori, hanno deciso di usare solo grano 100% italiano.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Il de sortis è di parte. Parla di un 25% di aumento Ok. Ma partiamo da un prezzo irrisirio che nn copre i costi di produzione. Prezzo fermo da 10 anni! Per questo tanti terreni abbandonati. Il grano adesso è a 30€ dovrebbe salire almeno a 35-38. Cioè 38 cent’s al kg. 500g di pasta di vende a 1,30
Io non semino più grano, tanto poi si compra il frumento all’estero e si vende pasta e pane a prezzi altissimi. Quando eravamo piccoli con un quintale di grano ricavano 70 kg di farina, si ricavava 100-120 kg di pane, ci si sfamava una famiglia di tre persone per 2 mesi. Oggi per avere lo stesso pane al prezzo di 4,00 kg sì spendono circa 400-480 . Quindi mettetevi una mano sulla coscienza, chi lavora deve come una volta fare la fame. Poi nella mia azienda abbiamo avuto danni da fauna selvatica, il tecnico ha detto: non sai come funziona non devi più seminare nulla, sottinteso per non avere rotture di scatole.
non mi tornano i conti. Facciamo i conti con cifre tonde: 5 euro al kilo per il pane, 100 kg di pane…sono 500 euro. Giusto? Ecco con questa quantità giornaliera non ci scampa un forno , ne deve fare almeno il doppio.
Come era possibile sfamarci una famiglia per 2 mesi? non capisco …Se è cos,ì il pane dovremmo farlo pagare 20 euro al kilo.
Semplicemente dovremo tornare a fare il pane con grano importato, come facevano gli antichi romani che ricevevano l’80% del grano dall’Egitto (e noi più di recente dal Canada).
Pensare di sfamare una nazione con un prodotto di nicchia come il pane “di solo grano italiano” ricorda molto la battuta di Rousseau (eh sì, non è di Maria Antonietta) “Se non hanno pane, che mangino brioches!”.
Già della pasta ne mangio poca , se poi dovessi sapere per certo che è fatta da grano canadese allora credo che ne farei a meno più spesso. Posizione personale naturalmente.
Per inciso vivo in una zona in cui ci sono campi sterminati di grano da mietere e le notizie di tendenza mi fanno pensare a grandi manovre opache.
Be’, allora è tempo che passi al riso o alla polenta, perché se dovessimo fare conto solo sulla produzione italiana di grano duro troveremmo la pasta in vendita solo quattro mesi all’anno.
Sono cifre 2018 disponibili in rete con una ricerchina di 0.56 secondi, e dato che la tendenza è in aumento costante (produrre grano continua a essere poco remunerativo, mentre le superfici disponibili sono in continuo calo) dopo due anni ne importiamo sicuramente di più.