Secondo il dizionario, è ‘antico’ qualcosa che è “Accaduto o attuato in un’età remota (per lo più oggetto di sottinteso apprezzamento), e per questo qualitativamente dissimile rispetto alla corrispondente realtà moderna o contemporanea; Di epoca remota (per l’Occidente, convenzionalmente, ca. dal 2.000 a.C. al 476 d.C.) (…)”. Siamo un po’ lontani dal 1915 della varietà di frumento Cappelli e dal 1952 del Verna, che comunemente vengono definiti grani antichi. Ma se ‘vecchio’ – come sono effettivamente Cappelli e Verna – oggi più che mai suona come insulto, allora il termine esatto per definire le varietà di grano di 50-100 anni fa è ‘vintage’: “si dice di capo di vestiario, accessorio, mobile ecc. di moda nel passato, che viene recuperato o imitato nella moda moderna (…)”. Sarà la nostalgia verso un passato recente in cui eravamo “un po’ più giovani”, sarà la voglia di rivivere certe situazioni, il desiderio di ritornare a momenti che non torneranno più. Sarà perché sarà, ma che il vintage sia “la moda delle mode”, è un dato di fatto. Quindi, per precisione e corretta lingua italiana, parliamo di varietà ‘vintage’ di grano.
Il frumento Cappelli (o Senatore Cappelli), rilasciato nel 1915, non è un incrocio di varietà, ma una selezione genealogica (o meglio, per linea pura) dei migliori genotipi presenti nella variegata popolazione del sottogruppo nordafricano (Algeria-Tunisia) del grano duro. Il successo è dovuto alla grande capacità e pionerismo di Strampelli di individuare i genotipi migliori dal punto di vista agronomico-adattativo. Una sorta di selezione accelerata di quello che sarebbe stato comunque un processo naturale, di certo più lento.
Strampelli usò invece pesantemente incroci e reincroci sul grano tenero, dove ottenne i più grandi successi (e contribuì ad affrancare l’Italia dalla miseria e dalla fame) cercando e fissando caratteri favorevoli provenienti da genotipi provenienti da tutto il mondo: abbassamento della taglia senza nessuna radiazione, resistenza alle malattie e, soprattutto, miglioramento dell’harvest index (indice di raccolto), con meno paglia e più granella, da varietà giapponesi, olandesi, inglesi, italiane. Con la varietà Ardito si è ottenuto già negli anni ’20-’30 un aumento esponenziale della produttività, della salubrità e della qualità. Modernissimo e geniale benefattore dell’umanità, non riceverà il Nobel solo per motivi politici (fascismo in Italia) che invece andrà a Borlaug, padre della “rivoluzione verde” negli anni ’60-’70, che però riconoscerà onestamente come i suoi metodi erano già stati applicati 40 anni prima dal misconosciuto collega italiano (una sorta di nuovo caso Bell-Meucci). Se rinascesse oggi, Strampelli sarebbe lapidato dai discepoli del ‘Cialtronevo’ e i suoi grani, anche il Cappelli, passati direttamente all’esorcista.
La taglia bassa non è stata introdotta con il grano Creso, ma esisteva già da tempo, fissata da varietà basse da secoli (Akagoumuchi e Norin 10). La riduzione dell’altezza non è del resto un sadismo degli scienziati al servizio delle malefiche multinazionali, ma una ben precisa espressione morfologica tipica di alcuni gruppi (o “sottospecie” o “sezioni”) di frumenti, nel caso del duro, in particolare, del gruppo Syriacum con le varietà Aziziah, Tripolino ed Eiti 6, che, malgrado il nome e il reperimento a inizio ‘900 in terra nordafricana, erano chiaramente di comune origine siro-palestinese (alla faccia del grano autoctono e locale). È proprio cercando di fissare queste preziose caratteristiche che, attraverso l’incrocio con il grano Cappelli (alto, allettabile e tardivo) di una sottospecie mediterranea nord-africana, il grande genetista Casale negli anni ’50-’60 creò le straordinarie varietà Capeiti 8 e Patrizio 6, vera svolta produttiva, moderna ed efficiente della granicoltura italiana. E non a caso il Re di grani degli ultimi 20-30 anni è stato il grano Simeto, che discende dalla varietà Capeiti 8.
Una volta ricostruita la storia dei grani, possiamo passare alla questione degli allergeni: i cosiddetti grani antichi, o meglio vintage, sono meno allergenici di quelli moderni? Alcuni gruppi di ricercatori hanno provato a rispondere a questa domanda.
Da uno studio sulle varietà italiane di grano prodotte nel Novecento (1) emerge come siano principalmente le gliadine le proteine a dare problemi sia per gli allergici che per i celiaci, e queste, oltre a non essere state modificate dal miglioramento genetico, nei grani moderni sono presenti in una proporzione minore. “È noto come le gliadine alpha e gamma contengano molti epitopi tossici per i celiaci. In questo studio non si è trovato un effetto significativo del miglioramento genetico sull’espressione di queste proteine […] In più la gliadina omega-5, che dà particolari problemi agli allergici, è particolarmente presente nei grani antichi.” affermano i ricercatori e concludono dicendo che “non sono state trovate differenze significative tra varietà vecchie e nuove per quel che riguarda le alpha e gamma gliadine, considerate le maggiori responsabili della tossicità per i celiaci. In più nei grani moderni si è assistito a una riduzione della gliadina omega-5, un allergene importante.” Quindi, non solo i cosiddetti grani antichi non sono migliori di quelli moderni da questo punto di vista, ma rischiano anche di essere più allergenici. È interessante che alcune delle varietà studiate sono proprio quelle che ora vanno per la maggiore: Cappelli, Timilia, Russello, Saragolla. Queste di sicuro non sono meglio.
Un altro studio (2) parte ricordando che gli articoli precedenti hanno dimostrato come il miglioramento genetico non ne ha alterato la composizione e che i grani antichi non sono “più sani e salutari” di quelli moderni. Spiegano i ricercatori che “secondo i dati pubblicati, le vecchie varietà di frumento, sebbene precedentemente credute a bassa tossicità per i celiaci, dovrebbero essere evitate dai celiaci e non dovrebbero essere considerate ‘sicure’”. Una sequenza tossica è particolarmente presente e persistente nei grani antichi, come Cappelli e Timilia. “Vi è la credenza che le vecchie varietà di grano siano “più sicure” e “più salutari” confrontate con i grani moderni. Al contrario in questo studio mostriamo che le vecchie varietà generano una quantità più elevata di peptidi immunogenici e tossici.” affermano gli scienziati, che continuano “È improbabile che le varietà moderne di grano siano responsabili dell’aumento della celiachia”. Anzi, “le vecchie varietà producono una quantità più elevata di peptidi con sequenze immunotossiche, dopo la digestione, dei grani moderni…”
In un’altra ricerca (3) si legge poi che “le vecchie popolazioni di frumento tenero, non soggette a miglioramento genetico, mostrano un contenuto di epitopi tossici più elevato delle varietà moderne. Possiamo quindi concludere che il miglioramento genetico non ha contribuito alla prevalenza degli epitopi immunostimolanti per la celiachia”. Certo, notano gli autori riferendosi al grano tenero, non hanno potuto analizzare tutti gli epitopi tossici noti, ma non si stupiscono del risultato perché “i programmi di miglioramento genetico si sono focalizzati sulle glutenine, mentre le gliadine, che hanno rilevanza clinica, sono rimaste più o meno invariate.” Passando al grano duro i ricercatori trovano la stessa quantità di epitopi tossici nelle vecchie e nelle nuove varietà. E per curiosità il record della tossicità spetta, in questo studio, al farro spelta.
Concludono così: “Poiché le varietà e popolazioni antiche presentano quantità uguali (grano duro) o superiori (grano tenero) di epitopi tossici, possiamo dedurre che il miglioramento genetico non ha contribuito all’incremento della celiachia durante la seconda metà del XX secolo”. Insomma, non solo non vi sono prove che il miglioramento genetico abbia contribuito all’aumento della celiachia, ma addirittura le varietà e popolazioni di grani antichi analizzati presentano una maggior quantità di epitopi tossici confrontate con le varietà moderne.
Infine, uno studio appena pubblicato (giugno 2019) da un gruppo di ricercatori italiani ha comparato i peptidi glutinici e l’effetto prebiotico (cioè la capacità di stimolare positivamente il microbiota intestinale) dei grani antichi e moderni, concludendo che “questo studio fa luce sulle caratteristiche delle farine integrali che possono essere associate a proprietà salutistiche, rivelando che le proprietà benefiche vantate per i vecchi genotipi non sono sempre sostenute da evidenze scientifiche, mentre le varietà moderne non sembrano peggiori in termini di caratteristiche associate alla salute”. In particolare, i ricercatori notano che i grani ‘antichi’ “non possono determinare una minore esposizione ai peptidi glutinici e, in molti casi, producono una quantità maggiore di peptidi tossici e immunogenici delle varietà moderne”.
Note:
- De Santis, M. A., Giuliani, M. M., Giuzio, L., De Vita, P., Lovegrove, A., Shewry, P. R., & Flagella, Z. (2017). Differences in gluten protein composition between old and modern durum wheat genotypes in relation to 20th century breeding in Italy. European Journal of Agronomy, [87, 19-29.]
- Prandi, B., Tedeschi, T., Folloni, S., Galaverna, G., & Sforza, S. (2017). Peptides from gluten digestion: A comparison between old and modern wheat varieties. Food Research International, [91, 92-102.]
- Ribeiro, M., Rodriguez-Quijano, M., Nunes, F. M., Carrillo, J. M., Branlard, G., & Igrejas, G. (2016). New insights into wheat toxicity: breeding did not seem to contribute to a prevalence of potential celiac disease’s immunostimulatory epitopes. Food Chemistry, [213, 8-18.]
- Bianca, D., Ficco, M., Prandi, B., Amaretti, A., Anfelli, I., Leonardi, A., Raimondi, S., Pecchionia, N., De Vita, P., Faccini, A., Sforza, S., Rossi, M. (2019) Comparison of gluten peptides and potential prebiotic carbohydrates in old and modern Triticum turgidum ssp. genotypes. Food Research International [120, 568-576]
Fabrizio Caiofabricius, laureato in Scienze agrarie
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Ho controllato attentamente: no, l’articolo non l’ho scritto io… 🙂
Grazie dott. Fabrizio per questa ventata di verità.
Preciserei una cosa: quando scrive “abbassamento della taglia senza nessuna radiazione”, lei si riferisce a mutazioni genetiche indotte artificialmente attraverso radiazioni (per lo più raggi gamma credo), tecnica usata negli anni 60-70. Bene, non credo sia da colpevolizzarla: intanto è quello che succede tutti i giorni in natura, ed inoltre le varietà/i semi ottenute con tali metodologie non sono né dei mostri, né tantomeno radioattivi… vengono selezionati come i semi “normali” ed ovviamente se le radiazioni ne hanno danneggiato il DNA, semplicemente non si riprodurranno.
Nella sostanza, quella dei grani “antichi” è una moda. Certo, può servire ai nostri coltivatori per spuntare prezzi un po’ più alti, ma d’altra parte non si può pensare che le mode non vengano col tempo “svelate”: nel corso degli anni è stato tutto un continuo di alimenti miracoliosi (dal the verde, alle bacche di goji, la quinoa, lo zenzero, decine di altre, i prodotti senza questo, quelli senza quello…) che alla fine dei conti mi pare abbiano sempre lasciato il tempo che trovano. Salvo il loro prezzo (è ovvio che i venditori cercano di vendere prodotti a migliore margine).
Interessante analisi che contrasta il tam tam pubblicitario su grani e cereali
Quello che mi viene da pensare è che forse non è il grano antico in sé ad essere migliore, ma tutto il processo che chi non produce in maniera industriale… Lasciamo stare i grandi produttori, ma chi conosco direttamente che semina alcune varietà, in realtà appartiene a circuiti virtuosi di coltivazione e lavorazione più rispettosi e forse la minore tossicità (non parlo di celiachia!) deriva da questo insieme di fattori? La scienza ha solo questo grande difetto: scompone tutto in parti, scordandosi l’insieme. So di sembrare naif, ma in realtà a questa conclusione sono arrivata proprio perché mi vado a leggere le ricerche e gli studi! Esempio banale: la mia intolleranza, chiamamola così. Non so cosa sia, ma mi aveva debilitato le difese immunitarie: eternamente con la goccia al naso, spesso malata. Dopo una bella “pulizia” da glutine, adesso lo rimangio abbastanza bene. Il farro non mi dà alcun fastidio, i cosiddetti grani antichi (che però prendo dai suddetti circuiti) nemmeno, una pizza (o una pasta) “convenzionale” si. Come si spiega? Non è una domada retorica, vorrei capirlo.
Articolo che più capzioso non si può, davvero esagerato. Tutto quello che pare confermare la tesi preconcetta dello scrivente viene dato per scontato come esatto e inequivocabile, tutto quello che la smentisce viene tranquillamente taciuto o non considerato con grande nonchalance. Come sempre si dimentica che le ricerche sono ancora in corso e che quello che si è capito finora è assolutamente parziale e incompleto.
Non possono mancare le solite ironie arroganti e fuori luogo, al limite dell’insulto, nei confronti di chiunque si permetta di essere di idea diversa, cercando di metterlo in ridicolo (ma come si permette?).
Giusta la definizione di grani vintage per i grani nati grazie agli incroci realizzati da Nazareno Strampelli, che, anche per il Senatore Cappelli, è comunque partito dal grano Rieti incrociato con un grano nordafricano e uno giapponese. Strampelli non era solo un selezionatore, ma selezionava per incrociare e ottenere grani meglio rispondenti alle esigenze dei produttori del tempo, col fusto più basso e più produttivi (Non va dimenticato che fu l’artefice operativo della cosiddetta “battaglia del grano” di mussoliniana memoria, poi premiato con la nomina a senatore del regno e presidente della confederazione nazionale sindacati fascisti dell’agricoltura). Strampelli diede vita a numerose varietà e i suoi seguaci e successori continuarono, modificando ulteriormente diverse varietà, fra cui il Senatore Cappelli, da cui sono derivati altri grani “italiani”.
Ma se questi sono grani vintage, cioè del secolo scorso, ci sono anche i grani antichi, in particolare in Sicilia il Timilia e nell’area tra Puglia e Basilicata – tra Altamura e Matera, il Khorasan italiana, lì coltivato da oltre due millenni e che quest’ultimo sia ottimo, dia una splendida e sana farina, della pasta e del pane meravigliosi ben lo sanno coloro che li consumano. Sia i grani Strampelli che il Timilia, il Khorasan e altri pochi dello stesso tempo hanno il pregio si non essere nati e manipolati nei laboratori della Monsanto & C. per cui sono fidabili e non danno assolutamente intolleranze (salvo i celiaci). Comunque apprezzo molto che .”Il fatto alimentare” tratti il tema del grano e della farina, anche per far capire che in Italia la gran parte delle farine impiegate nei forni per fare il pane, nelle fabbriche di pasta, nelle pizzerie viene dall’estero – adeguatamente controllata e sicura sotto il profilo igienico-sanitario – ma sono convinto che se fossimo più legati alle farine di grani italiani sia antichi che vintage avremo meno intolleranze, valorizzeremo la nostra agricoltura, aiuteremo e miglioreremo la nostra economia.
“Grano vintage” mi sa un po di libero sfotto
Forse la parola giusta e di chiamarli “Grani Locali” visto che le varie varietà si collocano più o meno ognuno nel proprio territorio. Personalmente non ho nessuna competenza di genetica e di quant’altro, ma di sicuro come operatore nel mondo della pizza noto personalmente che gli impasti delle farine dei grani locali e cosiddetti moderni, utilizzate a pari processo si comportano in maniera diversa. Gli impasti di grani locali dopo la formazione del glutine restano meno plastici e meno elastiche, restando un po fragile allo strappo, mentre gli impasti di grani cosiddetti moderni il glutine e molto plastico ed elastico restando resistente agli strappi. questa sua fragilità del glutine che si forma negli impasti di grani locali comporta una maggiore assimilazione e digeribilità molto apprezzata dai clienti tutti, ritornando a chiedere pizze con impasti di farine grani locali.
Penso che ci sia ancora molta ricerca da fare prima di arrivare alle conclusioni espresse in questo articolo. Certo sbaglia chi per ignoranza o interesse di bottega magnifica i grani antichi e meno antichi raccomandandoli a chi è “intollerante” al grano o al glutine. Ma sbaglia anche chi, basandosi su pochi lavori scientifici, arrivi a conclusioni affrettate. Ha scritto, a mio avviso giustamente, Peter R. Shewry, un ricercatore che di grano se ne intende, (Do ancient types of wheat have health benefits compared with modern bread wheat? Journal of Cereal Science Volume 79, January 2018, Pages 469-476) “sono urgentemente richiesti ulteriori studi, particolarmente da un più ampio spettro di gruppi di ricerche, ma anche su una più ampia gamma di genotipi di specie di grano antichi e moderni. Inoltre, sebbene molti studi pubblicati abbiano fatto sforzi per assicurare la comparabilità del materiale in termini di condizioni di crescita e di trasformazione, è essenziale che questi studi siano standardizzati in studi futuri e ciò dovrebbe forse essere una condizione per la pubblicazione. A mio avviso è anche importante che chi studia gli effetti del consumo di grani antichi e moderni in caso di “intolleranza” al grano o al glutine inquadri perfettamente il tipo di intolleranza che si vuole studiare. Di intolleranze al grano ce ne sono tante: celiachia, gluten sensitivity, allergia da proteine solubili del grano, allergia da frazioni omega-5 del glutine, poi ci sono le allergie al grano non mediate da IGE. Inoltre non va dimenticato che il glutine è tra le proteine più difficili da digerire e quindi va anche fatto un approfondito studio di comparazione, per la digeribilità, tra le varietà antiche e moderne.
Analisi parziale e mirata che tiene conto di modifiche strutturali positive e non considera: l’adattamento delle colture locali al microclima, l’adattamento al corredo genetico di chi consuma, il rispetto delle tecniche colturali, il gusto ed i profumi che ogni biotipo in una nicchia ecologica è capace di sviluppare, le tecniche di lavorazione dei grani rispettose della digeribilità più che dello standard industriale, l’incidenza e la prevalenza di alcune patologie o disturbi rispetto al periodo in cui non erano presenti i nuovi grani ed il corredo di micro e nanoresidui chimici e loro metaboliti che portano dentro di noi.