Spighe di grano al tramonto

La questione dei grani antichi e della sensibilità al glutine fa molto discutere. Non sorprende quindi, che l’articolo “Pasta con grano antico o moderno: il problema dell’intolleranza al glutine è lo stesso? Spisni risponde a Bressanini” abbia scatenato un acceso dibattito. Ecco le risposte di Enzo Spisni, docente di Fisiologia della Nutrizione all’Università di Bologna, ai tanti commenti dei lettori del Fatto Alimentare.

Prima l’incipit. Ho sottolineato che tutti possono fare divulgazione scientifica, ma solo tre figure hanno le competenze e possono (per la legge italiana) modificare il modo di alimentarsi e la dieta delle persone. In un paese in cui troppi parlano di diete senza avere competenze e in cui famosi farmacisti vanno in televisione a suggerire diete e dichiarano di avere migliaia di “pazienti”, mi sembra quantomeno un appunto doveroso.

Veniamo alle definizioni. Si definiscono antichi o tradizionali le cultivar presenti prima della cosiddetta “Rivoluzione Verde”. Le differenze sostanziali tra i grani pre-rivoluzione e quelli post-rivoluzione possiamo riassumerle in quattro punti:

  1. La forza del glutine. Si parte da grani che hanno un valore W di forza del glutine di 10-50 e si arriva ai moderni che hanno una forza intorno ai 300-400. È evidente che la struttura del glutine cambia per venire incontro alle necessità dell’industrializzazione degli alimenti.
  2. La taglia. I grani pre-rivoluzione sono a taglia alta (diciamo oltre il metro e trenta), mentre i post sono a taglia bassa (molto al di sotto del metro).
  3. La produttività per ettaro, che aumenta molto nei moderni a fronte però dell’aumento dell’input di azoto attraverso la concimazione. Lascio il discorso su quanto azoto per ettaro agli agronomi, ma chi in campo è passato dal coltivare moderni in convenzionale a grani antichi in biologico si è reso ben conto del risparmio in denaro generato dalla minore concimazione e dal minore uso di chimica.
  4. La minore variabilità genetica, nel senso che le cultivar antiche erano un insieme di genotipi con una biodiversità complessivamente elevata, mentre post-rivoluzione si è andati verso la selezione di grani “in purezza”, fatta di piante tutte geneticamente identiche, con una perdità netta di biodiversità non trascurabile. In altre parole è cambiato il concetto di adttamento: mentre una variabilità genetica ampia è in grado di adattarsi ai mutamenti ambientali, una variabilità genetica ridotta richiede un maggior intervento dell’uomo nel tentativo di meglio adattare il campo al tipo di grano coltivato. E l’intervento dell’uomo molto spesso si traduce in utilizzo di prodotti chimici.
In Emilia Romagna è partito il progetto Virgo, che mette in campo cinque cultivar antiche contemporaneamente

Un esempio pratico di questa biodiversità nei campi di grano è rappresentato dal progetto “Virgo”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna e non dagli interessi di marketing di qualche multinazionale. Il grano Virgo è un insieme di cinque diverse cultivar pre-rivoluzione verde, seminate contemporaneamente proprio con lo scopo di amplificare la biodiversità in campo. È evidente che ad una maggiore biodiversità vegetale, corrisponda anche una maggiore biodiversità animale nel territorio. E questo è un valore universalmente riconosciuto, che spero nessuno vorrà mettere in dubbio. È altrettanto evidente che il grano non è l’unica monocultura ad avere problemi di scarsa biodiversità.

Chi sostiene che il “breeding, cioè il miglioramento genetico, si è sempre fatto anche in passato e molto prima della rivoluzione verde non tiene conto del drastico cambiamento delle modalità di selezione e di induzione delle mutazioni. Durante la rivoluzione verde si arriva perfino all’utilizzo di radiazioni ionizzanti, cosa che oggi per legge non potrebbe essere fatta in Italia né nella maggior parte dei paesi industrializzati.

Sul fatto che non esisterebbero grani pre-rivoluzione verde di provenienza certa, posso tranquillizzare chi sospetta che sia tutta una questione di marketing: da quest’anno il Cappelli è passato ufficialmente alla Società Italiana Sementi. Quanto alle altre cultivar siciliane e non, hanno caratteristiche morfologiche così diverse che è molto difficile per esperti del settore confonderle con grani post-rivoluzione.

Veniamo alla celiachia. Tutte le società scientifiche internazionali che si occupano della celiachia sono concordi nell’affermare che stiamo assistendo ad un aumento dell’incidenza, perlomeno nelle popolazioni dei paesi in cui le statistiche sono attendibili. E questo non solo per merito delle metodiche più accurate o per il maggior controllo medico. Ricerche scientifiche effettuate con i medesimi strumenti disgnostici su banche di sangue congelato, dimostrano chiaramente che questo aumento di prevalenza esiste, soprattutto dagli anni ’50 in poi. Quale sia la causa non è facile definirlo, e probabilmente si tratta di molti fattori concorrenti. Di certo però gli affetti da celiachia non possono assumere nessun tipo di glutine, nemmeno grani antichi o antichissimi. Da questo punto di vista non ci sono differenze tra i grani. Questo bisogna dirlo con chiarezza, ma i celiaci in genere lo sanno bene e acquistano solo prodotti certificati gluten free. Le mie critiche a Bressanini non riguardano certamente questo punto!

Uno studio recente ha osservato reazioni diverse ai grani antichi e moderni in bambini con diagnosi di sensibilità al glutine

Sulla sensibilità al glutine (o al grano) non celiaca, invece, o più in generale sulle caratteristiche pro-infiammatorie dei grani, il discorso è molto più articolato. È vero che secondo i criteri delle conferenze scientifiche la diagnosi va fatta da un gastroenterologo dopo un challenge con glutine in doppio cieco, ma è altrettanto vero che nella pratica clinica questo test non si fa quasi mai, sia per motivi di costi che di tempi. Pur con tutti questi limiti, ci sono pochi dubbi sul fatto che questa patologia esista (vedasi le conclusioni delle diverse consensus conference di esperti mondiali, tenutesi dal 2011 ad oggi).

Gli articoli scientifici citati, che sono solo una piccola parte della letteratura scientifica sui grani pre-rivoluzione verde, mettono in evidenza che ci sono differenze nelle caratteristiche pro-infiammatorie tra alcuni grani antichi e alcuni moderni. Nessuno studio potrebbe mai mettere a confronto tutti i grani pre-rivoluzione con tutti quelli post, perché sono troppi. E quindi questi studi si limitano a confrontare solo alcuni grani tra loro. Il fatto che siano studi fatti con pochi pazienti (quello di Whittaker con 21 diabetici e due differenti tipi di grano, quello di Valerii con 48 pazienti sensibili al glutine e 4 tipi di grano) si spiega facilmente con i costi elevati dei trial clinici. Chi li sostiene? La maggior parte delle aziende che commercializzano grani pre-rivoluzione sono piccole o molto piccole e non possono permetterselo. Quindi non trovo scandaloso che alcuni di questi studi (quello di Whittaker si, ma quello di Valerii no) siano stati finanziati dall’azienda più grande che fa business su questi prodotti. A chi demonizza i trial clinici in doppio cieco sponsorizzati da aziende multinazionali ricordo che tutti i farmaci che acquistiamo in farmacia hanno seguito esattamente questo iter: dall’aspirina agli antibiotici. Certo, la Bayer può permettersi studi multicentrici con centinaia di pazienti, mentre altri si debbono fermare a numeri più contenuti. Resta il fatto che uno studio svolto in doppio cieco su 20 pazienti ha comunque una sua validità, ed infatti è stato pubblicato su di una rivista scientifica molto importante. Nell’articolo di Alvisi del 2017 che ho citato (finanziato principalmente dall’Università di Bologna), su un piccolo gruppo molto ben selezionato e seguito di bambini sensibili al glutine, si è osservato che la reintroduzione di grani moderni faceva riapparire i sintomi gastrointestinali in poche ore, mentre la reintroduzione di due diversi grani antichi (quelli che più facilmente le mamme potevano trovare al supermercato) li faceva riapparire in modo più graduale e moderato e solo dopo parecchi giorni, a sottolineare che differenze tra i diversi grani ci sono e si possono osservare clinicamente.

Il frumento khorasan è considerato un grano turanico pre-rivoluzione verde

Dal mio punto di vista, il grano khorasan è un turanico pre-rivoluzione verde. Viene commercializzato principalmente da una multinazionale americana con un nome registrato ma, non lo dimentichiamo, anche da piccoli produttori italiani con nomi commerciali diversi (ad esempio Graziella Ra). A chi sospetta un mio “conflitto di interessi” posso certificare che non ho mai firmato contratti di ricerca sponsorizzata da aziende con business centrato sui grani, pur avendo partecipato come ricercatore a diversi progetti sui grani pre-rivoluzione finanziati sia da enti (Regione Emilia Romagna) che da aziende (piccole e grandi).

Veniamo ad azoto, pesticidi e glifosato. In Emilia Romagna l’azoto veicolato in agricoltura ammonta a circa 141 milioni di kg di cui il 38% proveniente da allevamenti, il 60% da fertilizzanti e il 2% da fanghi di depurazione, distribuiti su una superficie agricola utile di circa 1 milione di ettari (dati Regione Emilia Romagna, documento Programma d’azione nitrati). Quindi anche in una regione dove gli allevamenti animali sono molti, la maggior parte dell’azoto non industriale che finisce nelle acque è dovuto ai fertilizzanti. Un programma analogo esiste in Lombardia. Se regioni importanti e all’avanguardia elaborano dei “Programmi d’azione nitrati” ritengo che un problema nitrati sia evidente. Nei documenti della regione Emilia Romagna si legge chiaramente che almeno fino al 2014 è stato necessario adottare deroghe ai regolamenti in diverse situazioni particolari.

Sui pesticidi, chi sostiene l’uso di un solo trattamento all’anno con un solo pesticida sul grano in convenzionale sembra avere una visione un po’ romantica. Basta sfogliare monografie sul grano edite dalle aziende produttrici di questi prodotti per scoprire l’esistenza di decine e decine di pesticidi pensati in modo specifico per il grano, che molto raramente si utilizzano singolarmente o una sola volta nell’arco del ciclo colturale.

Sul glifosato rimando i lettori ad un bellissimo articolo uscito recentemente su Internazionale (Monsanto Papers: il gigante dei pesticidi sotto accusa) che riprende un articolo apparso su Le Monde. Anche se fosse vero che in Italia non si usa più il glifosato, oggi il 30% del grano duro che mangiamo nella pasta è di origine nordamericana o canadese, e in questi paesi il clima è più umido e freddo rispetto al nostro meridione ed il glifosato è ampiamente utilizzato. Conosco aziende che misurano il glifosato nei grani duri importati e sono ben a conoscenza di questa presenza. È vero che nei prodotti venduti i valori sono sempre entro i limiti di legge, ma è pur vero che sui limiti di legge c’è ampio dibattito scientifico e grosse pressioni da parte di associazioni di multinazionali.

grani antichi
I grani antichi si coltivano prevalentemente in modo biologico, sono macinati a pietra e vengono essiccati a basse temperature

In conclusione quello che ho cercato di chiarire nel mio articolo è che per il consumatore i grani non sono tutti uguali. E questo è ancora più evidente se si osserva l’intera filiera produttiva: i grani antichi si coltivano esclusivamente in regime di agricoltura biologica o biodinamica, non vengono miscelati con grani nordamericani o dell’est-Europa, vengono macinati quasi esclusivamente a pietra e, nel caso della pasta, vengono essiccati a basse temperature. Queste non sono solo questioni di marketing: i grani antichi rappresentano certamente una nicchia di mercato in crescita, che permette di sostenere costi produttivi più elevati (e forse per questo la Società Italiana Sementi in accordo con Confagricoltura ha deciso di riprendersi il Cappelli).

Per quanto riguarda la salute invece, probabilmente il 90% delle persone, che non hanno problemi di sensibilità al glutine o di infiammazione cronica, possono mangiare qualsiasi grano senza percepire differenze di alcun tipo. Ma per una parte certamente minoritaria di persone, la scelta di quale grano mangiare può contribuire a stare meglio. E prima di decidere di abbandonare totalmente il glutine pur in assenza di celiachia, pratica assai di moda negli USA e che per gli amanti della dietrologia ha anche risvolti di marketing non trascurabili, suggerisco di provare con i grani pre-rivoluzione verde (antichi, tradizionali o anziani che siano).

Da ricercatore, sono convinto che sia importante andare avanti. Quindi tutto questo non deve essere letto come un tentativo di ritornare all’antico e cancellare i progressi fatti fino ad ora. Credo sia tempo di ricominciare nuovi progetti di breeding sul grano che siano di ampia scala e tengano in considerazione l’esperienza passata, le necessità industriali ma anche quelle del territorio e della salute dei consumatori.

Enzo Spisni, docente di Fisiologia della nutrizione Università di Bologna e responsabile scientifico del master in Alimentazione ed educazione alla salute

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fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
11 Agosto 2017 13:11

Purtroppo (per fortuna in effetti) ho molto da lavorare per la sintesi dei risultati grano duro di quest’anno e non ho al momento tempo di risponderle.
Sugli aspetti nutrizionali non mi pronuncerò, ma vedo che continua a sentenziare di agronomia e screditando con nonchalance il più nobile prodotto dell’agricoltura italiana, e quindi almeno al volo:
-basta per carità con le balle deprimenti del Creso irradiato, le lasci al web talebano e forcaiolo, non ad un ricercatore stimato come lei
-basta per carità con le balle deprimenti dell’abuso di pesticidi e concimi sul grano duro. Non siamo in Emilia, dove è purtroppo un po’ fuori ambiente vocato su qualche migliaio di ettari, nel resto di oltre 1 milione di ettari dell’Italia centro e SOPRATTUTTO MERIDIONALE il grano duro è coltura aridoresistente oggi insostituibile e non va denigrato in quanto i trattamenti, soprattutto, ma non solo, per motivi economici sono solo 1 diserbante lontanissimi dalla raccolta. Nessun fungicida, non servono, non siamo in Emilia; TANTOMENO IL GLIPHOSATE a giu-lug ci sono 50° in campo, bastano, mi creda a disseccare anche BUFALE più grosse.

Poi approfondiremo, buon ferragosto…

gabriele
11 Agosto 2017 16:54

Grazie al dott. Spisni per lo sforzo di riportare in luce la verità dei fatti con equilibrio e con la conoscenza degli aspetti clinici. Attorno al grano ci sono interessi enormi, mistificazioni e omissioni clamorose. Diversi genetisti delle nostre università oggi sono impegnati nel rivedere quello che abbiamo chiamato il “miglioramento genetico del grano”. Come primi consumatori mondiali di pasta e di pane abbiamo il dovere di essere informati. Bisognerebbe poi approfondire anche sui metodi di trasformazione. Per chi fosse interessato sull’argomento, dalla biodiversità agli aspetti nutrizionali alle nuove filiere del grano, Rimando alla lettura del mio libro Grani Antichi. Una rivoluzione dal campo alla tavola…

Sandro kensan
13 Agosto 2017 23:37

Molto d’accordo con l’articolo. Io mangio molto pane e pasta per cui mi sono orientato verso il khorasan che mi permette di stare lontano dai grani post rivoluzione verde (o rivoluzione nera visto che è la rivoluzione basata sul petrolio) e lontano da molti agenti chimici tra cui il glifosato ma non solo. Poi una pizza normale la mangio pure io ma faccio attenzione alla mia dieta abituale. Ho il sospetto che grandi quantitativi di grano industriale possano essere un rischio soprattutto per la celiachia ma ovviamente non ho prove e mi pare che non ci siano studi definitivi.

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
30 Agosto 2017 01:24

Ma perchè per promuovere le proprie convinzioni più o meno valide bisogna demonizzare e portare la guerra laddove si intravvede con invidia e fastidio il successo altrui (nel caso della Pasta, l’intero Paese Italia) , e pretendere addirittura che chi viene attaccato non reagisca e anzi gaio si prostri neo-proselita al sedicente nuovo verbo ?
Il grano duro (evoluzione naturale già di alcuni millenni dei farri che hanno caratterizzato la domesticazione delle specie selvatiche sin dai tempi della fine della glaciazione di Wurm nella cd. mezzaluna Fertile) ne è ingrediente unico. Coltura principe e identitaria dei migliori territori della Penisola dove occupa circa 1 milione e 300 000 ha (ma ne ha persi almeno 400 000 negli ultimi anni, alla faccia dell”incolmabile” deficit di produzione nazionale) e assolutamente priva di alternative colturali negli ambienti caldo-aridi del Sud-Isole.
All’estero è difficile cogliere le sfumature di un polemismo cronico tutto locale e le reiterate bufale allarmistiche rischiano di danneggiare seriamente la filiera granoduro-pasta, il più importante prodotto e passaporto del Made in Italy e della dieta mediterranea nel mondo e che il mondo apprezza sempre più per le pluridimostrate qualità nutrizionali e salutistiche. Ma che le mai sopite polemiche eufemisticamente fantasiose stanno pian piano assurdamente ridimensionando.

Sul significato di “ANTICO”
Va bene pensare che solo per le proprie specializzazioni in lindo camice bianco occorra un ordine che controlli e sanzioni gli alieni che osino discettarne.
Va bene pure pensare che in fondo a far crescere ddù piante de grano non serva poi l’agronomo (lo sanno fare tutti, no? Figuriamoci i grandi scienziati di cui sopra).
Ma addirittura azzittire i sopravvissuti italianisti Accademici della Crusca mi sembra sia veramente troppo…
Insomma nel disperato tentativo di nobilitare una banale operazione di marketing, si pretende di scempiare anche l’Italiano
“Antico” è qualcosa ante 1950??

Vocabolario – Accaduto o attuato in un’età remota (per lo più oggetto di sottinteso apprezzamento), e per questo qualitativamente dissimile rispetto alla corrispondente realtà moderna o contemporanea
agg.
1 Di epoca remota (per l’Occidente, convenzionalmente, ca. dal 2000 a.C. al 476 d.C.): storia, età a.; gli a. popoli, Romani, Greci ( mmmmm SIAMO UN PO’ LONTANUCCI)
2 Di un passato lontano inteso genericamente
del lontano passato, risalente a tempi remoti: leggi, scritture antiche |storia, età, arte antica, per consuetudine, dalle origini della civiltà greca e romana fino alla caduta dell’impero romano d’Occidente

Antico vs VECCHIO –
E’ degno che qui si riporti tutto il bell’articolo del Grassi.

«Queste due voci ritengono ancora nell’italiano quella stessa differenza che le partiva nella lingua loro originale, perchè i Latini adoperavano antiquus in stile nobile e vetulus (1) in istil familiare: antiquus era sempre presso di essi in senso di rispetto, e vetulus veniva per lo più usato a disprezzo. Urbs antiqua fuit, cantava Virgilio della prima Cartagine; Orazio chiamava vetula la cornacchia. Non isfuggì questa distinzione al gusto
Venendo ai particolari, antico è propriamente ciò che è passato da più secoli; vecchio è pur ciò che è passato, ma in tempi più vicini a noi; con questo vocabolo si determina la età; con quello si cessa dal misurarla; antico si oppone a Moderno; vecchio a Giovane; il primo è sempre posto ad onore, onde un uomo di austeri costumi è chiamato antico, una buona scrittura si paragona colle antiche, i grandi artisti studiano l’antico, e diciamo antica repubblica, antico Stato, famiglia antica; così l’Alfieri salutava Asti sua patria col nome di antica città. Per lo contrario chiamiamo vecchio uno Stato prossimo alla sua rovina; vecchie quelle leggi che più non si convengono colla presente civiltà; vecchie le istituzioni tarlate dalle male usanze; mentre quelle che il tempo conferma, sono chiamate antiche. Vecchio si adopera poi con maggior proprietà parlando di cose materiali, come vecchi cenci, casa vecchia, vestito vecchio, vino vecchio e simili, dove sarebbe grande improprietà il porre antico.

«Dicasi lo stesso d’antichità e di vecchiezza; questa concerne più particolarmente all’età delle persone, quella sale all’origine delle famiglie. La vecchiezza scema la forza dei corpi; l’antichità accresce il lustro delle cose e le fa venerande; quindi si apprende ai giovani a rispettar la vecchiezza, perchè il debole sta sotto l’ombra del forte; ma l’antichità è raccomandata all’universale cittadinanza delle genti e si chiamano barbare quelle nazioni che non l’hanno in grandissima venerazione.»

Ma se vecchio oggi più che mai suona come insulto, allora il termine esatto per definire le varietà di 50-100 anni fa è
VINTAGE
si dice di capo di vestiario, accessorio, mobile ecc. di moda nel passato, che viene recuperato o imitato nella moda moderna
Possono essere vintage abiti, accessori, bijoux, mobili, dischi, chitarre, computer, videogiochi; ma anche biciclette, automobili (Fiat 500, Renault 4), motociclette (Vespa, Lambretta) generalmente prodotti tra il 1920 e il 1980 (dai che ci siamo…).
Sarà la nostalgia verso il passato, un passato recente, in cui eravamo “un po’ più giovani”, sarà la voglia di rivivere certe situazioni, il desiderio di ritornare a momenti che non torneranno più…Sarà perchè sarà, ma che il vintage sia “la moda delle mode“, è un dato di fatto

Nella moda, nel costume, nel gusto, oggetto che appartiene a un’epoca andata, d’altri tempi, con un particolare sapore evocativo di un’atmosfera vissuta con nostalgia.

Per la precisione

VARIETA’ VINTAGE TAUMATURGICHE

Strampelli creando nel 1915 il venerato Cappelli (considerato erroneamente e strumentalizzato ogni dove come un grano antico, ma ha solo 100 anni, al massimo “vintage”) ci andò giù con la selezione molto più dei cd grani moderni che sono semplici miglioramenti da incrocio proprio partendo da quel Cappelli. Ma agronomicamente e qualitativamente direi di stendere un velo pietoso…
(oltretutto Simeto, da 30 anni il grano più diffuso in Italia è nipote proprio del Cappelli)
Qualche sopravvissuto grano siciliano o sardo o la Saragolla lucana, vero turanico MADE IN ITALY e senza marchietto né favole faraoniche , ma si tratta appunto di “sopravvivenze” storiche locali , forse nemmeno così “antiche”, certamente ottime per valorizzare finalmente le agricolture e le tipicità locali, ma assolutamente inadatte alla trasformazione di prodotti di larghissimo consumo su scala nazionale come la pasta di uso quotidiano.
Farro piccolo monococco; medio Dicocco o farro grande Spelta
Questi sì, sono FINALMENTE antichi Triticum progenitori dei grani duri e teneri attuali , sostituzione avvenuta già DAI TEMPI DELL’IMPERO ROMANO (siligo di grano duro sostituì il puls di farro)
Grazie alla loro rusticità e minori esigenze, farro medio e grande hanno però continuato ad essere estesamente coltivati in Italia almeno fino al Medio Evo, quando grazie al ritrovato controllo del territorio e alla ripresa di tecniche colturali abbandonate e per i sopravvenuti, crescenti fabbisogni alimentari delle popolazioni urbane la loro sostituzione da parte di frumenti nudi e orzo divenne sempre più massiccia. . Dalle “Giornate” (1579) di Agostino Gallo risulta che in pianura padana nel XVI secolo i farri erano di fatto scomparsi e sostituiti dal grano tenero.

Sulla demonizzazione delle varietà moderne
Le Varietà moderne frutto dell’impegno della migliore ricerca scientifica degli ultimi 150 anni sono migliori non solo perché più produttive, ma perché si adattano meglio agli ambienti di coltivazione, hanno cicli biologici più brevi che permettono riempimenti del granello tempestive prima di andamenti caldo-aridi di fine primavera soprattutto al sud (le varietà di Strampelli salvarono migliaia di braccianti dalla malaria ); sono più basse e hanno un rapporto paglia/granella più favorevole cosicché la pianta è più efficiente, producendo più semi e meno strutture vegetative; sono più resistenti alle avversità climatiche (in particolare freddi invernali e stretta da caldo di fine primavera) alle malattie di origine fungina, responsabili di vere e proprie distruzioni dei raccolti (feste “Rubigalia” per esorcizzare le ruggini nell’antica Roma) e relative millenarie carestie, troppo presto dimenticate, e quindi anche alle micotossine che non sono altro che metaboliti secondari di quei funghi. Quindi minore o nulla (al Sud più secco) necessità di trattamenti fungicidi in convenzionale e soprattutto in biologico. Nelle varietà moderne in genere è più accentuata la capacità di estrarre azoto dal terreno e quindi se è vero che si giovano maggiormente di concimazioni (se razionali non dovrebbero essere chissà quale peccato inconfessabile,) nello stesso tempo comunque una migliore valorizzazione delle disponibilità naturali e residuali del terreno tanto che varietà come Aureo e Svevo permettono buoni contenuti proteici anche in biologico. La minore allettabilità dei culmi è conquista poi non secondaria sia per le corrette operazioni di raccolta ma anche per non decurtare troppo resa e reddito e non operare tra fango e paglia ed erbacce resistenti e relative pericolose conseguenze sull’innalzamento dell’umidità e delle impurità.
Risultati della 42° sperimentazione nazionale 2014-15. Le varietà di grano duro per le semine 2015
https://air.crea.gov.it/handle/11698/128095

Grano duro e semina su sodo: le varietà più adatte
G Carboni, M Dettori, L Mameli, A Belocchi… – L’INFORMATORE …, 2014 – air.crea.gov.it
https://air.crea.gov.it/handle/11698/39653

Varietà di frumento duro per l’agricoltura biologica
F Quaranta, G Aureli, A Iori, F Nocente, M Pasquini… – Dal Seme, 2014 – scs.entecra.it
http://scs.entecra.it/materiale-convegni/PSNB/2-var-appropriate-Frumento-duro.pdf

Risultati produttivi e qualitativi di 41 varietà di grano duro nell’areale Sud peninsulare
P Codianni, V Menga, S Paone, C Fares… – L’INFORMATORE …, 2014 – air.crea.gov.it
https://air.crea.gov.it/handle/11698/59144

Varietà di grano duro resistenti al virus del mosaico comune; comportamento di 143 varietà in 12 anni di prove
https://air.crea.gov.it/handle/11698/38911

Grano duro e qualità. Frumento duro: rete di confronto varietale. Caratteristiche qualitative delle varietà in prova nel 2012-2013
https://air.crea.gov.it/handle/11698/59461

Grano duro: risultati in bio e convenzionale. Varietà provate nella collina interna e nella pianura litoranea
M Camerini, V Mazzon, C Cecchini, F Quaranta – MOLINI MAGAZINE, 2012 – air.crea.gov.it
https://air.crea.gov.it/handle/11698/38596

Grano duro biologico: le varietà più adatte. Risultati del 13° anno di sperimentazione varietale nazionale
F Quaranta, P Codianni, M Fornara… – L’INFORMATORE …, 2015 – air.crea.gov.it
https://air.crea.gov.it/handle/11698/128188

Grano duro: 18 nuove varietà per una pasta sempre più buona
G Galterio, G Aureli, H Boiocchi, MT Cantone… – MOLINI D’ …, 2003 – air.crea.gov.it
https://air.crea.gov.it/handle/11698/69881

Vecchie e nuove varietà di grano duro: dati preliminari sui fattori fisiologici limitanti la produzione
G Wittmer, A Iannucci, GEB De Santis – ANNALI DELL ISTITUTO …, 1981 – air.crea.gov.it
https://air.crea.gov.it/handle/11698/42421

Evoluzione varietale e qualità in frumento duro (Triticum turgidum subsp. durum): dalle vecchie popolazioni alle attuali cultivar
Coordinatore Prof. Mauro Deidda a cura di Rosella Motzo, Francesco Giunta, Simonetta Fois
Università degli Studi di Sassari- Facoltà di Agraria Dip. Scienze agronomiche e Genetica vegetale agraria
http://www.anisn.it/workgroup/Progetto%20Biodiversita/materiali%20didattici%20secondo%20ciclo_2011/SASSARI_14%20MARZO%202011/Biodiversit%E0%20nelle%20specie%20coltivate/Evoluzione%20varietale%20del%20frumento%20duro.pdf

…Le varietà usate nella “Rivoluzione Verde” rappresentano probabilmente i risultati più clamorosi del Miglioramento Genetico tradizionale (TRADIZIONALE …) e Norman Bourlag, responsabile del miglioramento genetico del grano presso il CIMMYT, ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace (quello per l’Agricoltura non esiste!) per i risultati ottenuti. La chiave del successo delle nuove varietà di grano e riso risiede nel maggiore potenziale produttivo dovuto alla maggiore capacità di sfruttare i nutrienti ed al più alto “harvest index” ed accumulo di biomassa; nella rapida crescita, nell’habitus di crescita della parte vegetativa più ridotto e nel fusto più robusto, con effetti positivi sulla resistenza all’”allettamento” (cioè la piegatura delle piante sul terreno, con conseguenti perdite della produzione); nella resistenza alle malattie; nell’adattabilità alle condizioni ambientali locali. Molti di questi caratteri avevano già caratterizzato, nei decenni precedenti, il miglioramento genetico nei Paesi industrializzati, incluso l’Italia, principalmente con il lavoro di Nazareno Strampelli con il grano……
LA GENETICA VEGETALE DALLA “GREEN REVOLUTION” ALLA “GENE REVOLUTION” di Teodoro Cardi, Stefania Grillo, Antonietta Leone
ANALYSIS Rivista di cultura e politica scientifica N. 3/2004
http://www.analysis-online.net/wp-content/uploads/2013/03/cardigrilloleone_genetica.pdf

https://agrariansciences.blogspot.it/2017/03/grani-antichi-capolinea-in-arrivo_20.html
https://agrariansciences.blogspot.it/2015/12/grani-antichi-e-moderni-un-paradigma-o.html?showComment=1503736526006

Sulla mancanza di pudore nel reiterare la stanca bufala delle micotossine rivelatrici di provenienze estere.

Le Micotossine sono purtroppo presenze NATURALI come la polvere, i virus, i batteri ecc.
E’ banale, lo sapevano bene le nostre nonne, pur senza titoli di studio ma il polemismo cronico anti establishment lo ha fatto dimenticare, che è impossibile vivere in assenza assoluta come in una cappa sterile da triste principessa sulla torre d’avorio.
Le micotossine (DON) sono un veleno…peccato che le producano dei naturalissimi funghi (FUSARIUM) e si trovino anche nei prodotti biologici. La quantità dipende SOPRATTUTTO dall’andamento climatico stagionale, in particolare dall’umidità e dalla temperatura durante la spigatura-fioritura del grano .
LA PASTA NON HA DON o meglio ne ha in quantità infinitesimali perchè è impossibile sterilizzare e uccidere tutti i microrganismi (si troverebbero ben altri contaminanti) e soprattutto perchè sono aumentate le capacità di indagine diagnostica che permettono di rilevarne la positività già a PPB (parti per miliardo).
Ma avere <100 ppb di DON è come dire di avere la febbre con 36.51 solo perchè quel termometro è così sensibile che legge (gli inutili) centesimi di grado
Si tratta ovviamente di stabilirne LIMITI PRUDENZIALi, altamente prudenziali, tramite lunghi studi seri e validati con metodo scientifico internazionale dai più preparati conoscitori della materia non certo da acclamazione populistica e televoto per sentito dire e come “suona” meglio ..
Ebbene il DON, la micotossina più frequente nei cereali vernini (ma ce ne sono decine di altre) ESISTE DA SEMPRE (e in quantità mostruosamente superiori nel “bel tempo antico”).
Solo che non c’erano conoscenza, consapevolezza e, soprattutto, metodi d’indagine incisivi per rilevarne la presenza già a pochissimi, irrisorie PPB = Parti per Bilione = miliardo.
DON<100 PPB è sicuramente un campione positivo (la rilevazione avviene già a 18 PPB) ma è di assoluta tranquillità COME QUANDO SI HA UN'ARIA CON PM10 < 5. Impossibile arrivare a 0 semplicissimo, funghi e particelle micropolverose ci saranno sempre: solo il fanatismo webete allarmistico-ignorante-presuntuoso potrà distorcere l'informazione e blaterare che l'aria e la pasta sono "contaminati", mentre ci si troverà in un parco di alta montagna nel più sperduto paradiso terrestre mangiando un meraviglioso piatto di pasta dell'eccellenza italiana.
Sono stati messi nel calderone dell’allegra denigrazione anche prodotti di altissima qualità e frutto del migliore grano 100% italiano come Voiello monovarietale Aureo caratterizzata da altissimi livelli proteico-glutinici coltivato solo in Italia, Granoro dedicato e Fior Fiore Coop che finalmente invece avevano già intrapreso la strada di valorizzare le produzioni delle incantevoli (ma a rischio abbandono) campagne Lucane, Sicule, Pugliesi, Molisane, Maremmane, Marchigiane. Il rischio DON in questi ambienti sul grano duro E’ BASSO, bassissimo: non è un'”opinione” ma l’inconfutabile sintesi di RISULTATI SCIENTIFICI PLURIENNALI di cui esiste ampia letteratura facilmente consultabile, migliaia di analisi di istituti di ricerca e laboratori seri accreditati lo confermano
L’eventuale presenza di micotossine, di DON in effetti, non rivelano però nessuna provenienza estera truffaldina: è proprio questa la pacchiana mistificazione.
I funghi micotossigeni Fusarium sono presenti in ogni parte del mondo, purtroppo anche in Italia, ma, quel che conta non è la positività all’analisi (facilissima perché le metodiche HPLC ed ELISA rivelano il DON già a quantitativi irrisori – 18 ppb) ma la quantità, che infatti è normata severamente in UE.
Dipende molto dall’andamento climatico in fase di spigatura-fioritura la virulenza dell’attacco e soprattutto la reazione del fungo (la micotossina è metabolita secondario) . Il Canada ha una stagione colturale più breve dell’Italia ed è effettivamente più esposto ma analoghe situazioni troviamo nelle pur vocate regioni dell’Emilia ( 60 000 ha di grano duro) e Marche ( 100-150 000ha). Il VIAGGIO IN NAVE NON INCIDE sullo sviluppo di DON, eventualmente se mal conservate possono aversi OCRATOSSINE. Ma tutto è controllato dall’ ARPA alle dogane e nessun grosso molino o pastificio, per quanto visti come untori dal forcaiolo popolo web, si sognerebbe di produrre pasta con valori elevati di micotossine (controanalisi in sede propria).
Del resto certe tabelle presentate come prova-scandalo sarebbero già una evidente dimostrazione della ampia tranquillità di quelle paste, visti i valori bassi e molto al di sotto dei limiti altamente prudenziali stabiliti da staff di ricercatori internazionali con metodi scientifici validati e ripetibili senza che nessun sibilato dubbio di pacchiana sfiducia populistica orgogliosamente ignorante possa ribaltarne le conclusioni.
La tranquillità igienico sanitaria dei grani italiani è poi da riferirsi come media, ma non bisogna mai abbassare la guardia perchè purtroppo, in prove ufficiali svolte in Toscana, Emilia e Marche in aziende sperimentali pubbliche certificate e nel monitoraggio regionale CREA qualche anomalia stagionale può far aumentare i valori anche vicino 1000 (bastano poche spighe fusariate). Ricordo bene sequenze di 300-500 con picchi massimi anche di 1000 e oltre, in convenzionale e biologico, nelle aziende più serie ed attente, su varietà precoci e tardive, moderne o anche nelle VINTAGE TAUMATURGICHE.

Screening del deossinivalenolo su frumento duro in coltura biologica
G Aureli, MG D Egidio, F Quaranta, A Belocchi, C Pilo – RAPPORTI ISTISAN, 2007 – iss.it

http://www.iss.it/binary/ogmm/cont/Rapporti_ISTISAN_07_37.pdf#page=190

PROGETTO MICOCER MONITORAGGIO DEI LIVELLI DI DEOSSINIVALENOLO (DON) NELLA GRANELLA DI FRUMENTO DURO (TRITICUM DURUM DESF.)
G Aureli, A Belocchi, M Pascale, T Amoriello… – 2010 – iss.it
http://www.iss.it/binary/ogmm/cont/29Aureli_MonitoraggioDON.pdf

Studio triennale sulla contaminazione da deossinivalenolo (DON) nel frumento duro in coltivazione biologica e convenzionale
G Aureli, F Quaranta, T Amoriello, S Melloni… – LA RIVISTA DI SCIENZA …, 2009 – fosan.it
http://www.fosan.it/system/files/Anno38_2_1.pdf

http://www.ilfattoalimentare.it/granosalus-decco-granoro-qualita-past.html

http://www.ilfattoalimentare.it/grano-canadese-micotossine-pasta.html
http://www.ilfattoalimentare.it/grano-duro-contaminato-fake-news.html
http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-granosalus-barilla-voiello-micotossine.html

http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-barilla-grano-importato-coldiretti.html

http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-italiana-grano-voiello-granoro.html

E poi L’Ucraina

non produce grano duro non lo ha mai prodotto, mi spiace ma anche questa calda bufala di rassicurante postverità attesa di pregiudizi del sentito dire da micuggino
non è vera
http://www.openfields.it/sito/wp-content/uploads/2016/01/PASTARIA2015_N06_it-artOF.pdf
http://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/mercati/2017/05/18/news/grano_duro_previsto_un_calo_di_semine_e_produzione-165736164/
http://www.colturaecultura.it/content/grano-nel-mondo pag 5 e 6
http://www.arsial.it/arsial/wp-content/uploads/SINTESI-2017-ROMACEREALI.pdf pag 11
SIC et SIMPLICITER.

SEGUE domani per la BUFALA REGINA.

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
3 Settembre 2017 22:57

La bufala regina: “Il glutine aumentato nelle varietà moderne è tossico per tutti”

1. https://agrariansciences.blogspot.it/2017/01/a-me-gli-occhi-e-lintestino-non-e-piu.html
2.

https://agrariansciences.blogspot.it/2016/11/nel-ginepraio-dellintolleranza-al.html
3. http://www.ilfattoalimentare.it/gluten-free-celiachia.html
4. http://www.ilfattoalimentare.it/gluten-free-no-grazie.html

https://www.youtube.com/watch?v=OXWQ2r7PK_E
Sempre più forte ipotesi virus scatenante celiachia

http://science.sciencemag.org/content/356/6333/44.abstract
Reovirus infection triggers inflammatory responses to dietary antigens and development of celiac disease
R Bouziat, R Hinterleitner, JJ Brown… – …, 2017 – science.sciencemag.org

Che sia provocata da un virus o meno, comunque la Celiachia NON E’ AUMENTATA (stabile all’1%) mentre sono aumentati enormemente gli acquisti per modaioli pastrocchi insalubri e costosi gluten-free

http://jamanetwork.com/journals/jamainternalmedicine/fullarticle/2547202
(Time Trends in the Prevalence of Celiac Disease and Gluten-Free Diet in the US Population: Results From the National Health and Nutrition Examination Surveys 2009-2014
JAMA Internal Medicine Published online September 6, 2016)

Nessun prodotto derivante dal “grano” (gen. Triticum”) può essere ingerito dai celiaci in quanto contenente glutine. Non importa se antico, vecchio (quale poi sarà l’unità di misura per decretare il passaggio da un nobile aggettivo ad altro più malinconico non è dato sapere), più attinente la definizione VINTAGE TAUMATURGICO, né “colpevolmente” (??!!!) moderno o proveniente da lontane nel tempo e nella storia regioni Iraniche con passaggio o meno dal Faraone registrato nel nuovo mondo.
Pochi, dubbi e controversi sono ancora i riscontri scientifici seri e documentati dalla letteratura internazionale relativi alla Gluten Sensitivity che è tutt’altra cosa, fortunatamente.
Sì perché della serietà , ripetibilità e trasparenza del procedimento scientifico dobbiamo fidarci anche in tempi di crescente successo mediatico di prezzolati cialtroni arringapopolo.
La scienza è disciplina figlia dell’Illuminismo laico e democratico che più benessere condiviso ha portato all’uomo strappandolo dalle morse della paura e della superstizione manipolata da pochi santoni che però puntuali si riaffacciano nei balconi della Storia.
Informarsi, leggere, conoscere anche per mangiare e vivere meglio , tutti.
E la ottima pasta italiana è una dei protagonisti.
Non ce lo deve ricordare solo Michelle Obama da oltre Oceano…

La tanto sbandierata “gluten sensitivity” o meglio NCGS (sensibilità al glutine non celiaca) è argomento assolutamente non definito in ambito scientifico internazionale…. ( Gibson et al 2012, Biesiekierski et al. 2011). Da studi recenti inoltre emerge che ad incidere in maniera importante sullo sviluppo dei sintomi sembrano essere anche i conservanti e gli addittivi alimentari come glutammato, benzoato, solfiti, nitrati e i coloranti. Recente è anche l’ipotesi che trova sempre più riscontri che a scatenare i disturbi gastrointestinali non sia il glutine ma un gruppo di carboidrati, i cosiddetti FODMAPS ossia «Oligosaccaridi, Disaccaridi, Monosaccaridi e Polioli Fermentabili», presenti si nei cereali, ma anche in alimenti come il latte, le mele, le cipolle e molti altri. “Graditi” alla flora intestinale, con conseguente fermentazione, produzione di gas e di acidi grassi. Una dieta che escluda questi carboidrati, sviluppata per la prima volta nel 2008 (Shepherd, Susan J., et al., Dietary Triggers of Abdominal Symptoms in Patients With Irritable Bowel Syndrome: Randomized Placebo-Controlled Evidence, in «Clinical Gastroenterology and Hepatology», 6.7, 2008, pp. 765-771.) , riesce ad alleviare i sintomi di chi soffre di sindrome del colon irritabile, cosa che invece non può fare totalmente una dieta senza glutine perché non esclude altre possibili fonti che scatenano la reazione.

Uno dei problemi è che se un paziente ha un miglioramento, anche parziale, a seguito di una dieta senza glutine, non è necessariamente detto che il problema sia proprio il glutine, dato che nel frumento sono presenti molte altre sostanze. Concentrarsi troppo sul glutine e accusarlo definitivamente in questa fase ancora esplorativa potrebbe essere controproducente, ma se la ricerca scientifica ha i suoi tempi, in questo regno di incertezza il marketing alimentare è invece entrato a gamba tesa, grazie agli enormi interessi economici in gioco ( Da Bressanini http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/05/08/vade-retro-glutine/?refresh_ce

• Capitolo a parte, ma di analoga pericolosa e sfruttabile indeterminatezza, e come tale fonte di fantasie del web, sfruttate da laboratori diagnostici a dir poco “faciloni” è LA CERTEZZA DELLA DIAGNOSI DI NCGS o GLUTEN SENSITIVITY, a meno di un challenge con il glutine in doppio cieco con placebo. Dal 15° simposio internazionale sulla celiachia (Chicago , 2013) è emerso che NON ESISTONO MARKER DIAGNOSTICI che consentano di identificare con certezza questa condizione( anche l’Ordine dei Medici italiani ha recentemente fatta propria questa conclusione), che preoccupa più per le crescenti AUTODIAGNOSI e relative conseguenze di cattiva alimentazione in larga fetta della popolazione giovane adulta occidentale affetta soprattutto da insicurezze e paure esistenziali che nessun modaiolo FREE-FROM pseudo-salutistico potrà risolvere veramente.

https://www.youtube.com/watch?v=-lRhOvhJMVA&feature=youtu.be
Esiste davvero la sensibilità al Glutine?

http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0016508513007026
No effects of gluten in patients with self-reported non-celiac gluten sensitivity after dietary reduction of fermentable, poorly absorbed, short-chain carbohydrates
JR Biesiekierski, SL Peters, ED Newnham, O Rosella… – Gastroenterology, 2013 – Elsevier

http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1542356515001536
Small amounts of gluten in subjects with suspected nonceliac gluten sensitivity: a randomized, double-blind, placebo-controlled, cross-over trial
A Di Sabatino, U Volta, C Salvatore, P Biancheri… – Clinical …, 2015 – Elsevier (univ Pavia, Gastroenterologia)

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/apt.13372/full

Randomised clinical study: gluten challenge induces symptom recurrence in only a minority of patients who meet clinical criteria for non‐coeliac gluten …
B Zanini, R Baschè, A Ferraresi, C Ricci… – Alimentary …, 2015 – Wiley Online Library

Bene, continuiamo a farci del male…
La paventata diminuzione della sanissima pasta con proteine naturali, primo cibo dell’uomo neolitico che smise per questo di essere cacciatore ( leggi GLUTINE , ajoòòò) a favore di costosi pastrocchi modaioli è ormai un tristissimo dato statistico

http://www.ilfattoalimentare.it/consumo-di-pasta-analisi-mintel.html

che ridurrà le opportunità di uno dei pochi vanti dell’agricoltura meridionale e dell’ immagine internazionale dell’agroalimentare italiano

Però, ma sottovoce prego, resistono i Legumi…
Eh si, ancora nessuna star hollywoodiana annoiata o star giornalistica aizzaforcajoli si è ricordata che gli ancor uniformemente acclamati baccelli possono essere fonte di gravi reazioni autoimmuni, ben più serie di quelle per cui il grano ormai è schifato anche dalla pubblicità dello spaventapasseri che scappa . Qualcuno si ricorda del favismo o del latirismo ?

Tutti i cibi possono creare problemi più o meno gravi anche se non contaminati : oltre ai legumi, basta ricordare le patate inverdite, il basilico , il prezzemolo…a volte è colpa del cibo a volte di enzimi assenti o modificati con mutazioni nei secoli per proteggersi da patologie più gravi (malaria o favismo, non a caso diffuso in Sardegna?)

Le nostre care trisavole della mezzaluna fertile 10 000 anni fa ne provarono molte per far smettere gli ingrifati coniugi di correre dietro a mammuth e rinoceronti. Ma alle piante non è detto che piaccia essere mangiate (se ne facciano una ragione i vegani) e prima di selezionare quelle poche decine di specie commestibili (ma non sempre e non da tutti) chissà quanti esperimenti andati a male per avvelenamenti e intossicazioni varie…poverette.

E quindi LODE immensa al farro erede primario del grano, dal cui primigenio addomesticamento oggi deriva gran parte del nostro benessere e della nostra cultura e stile di vita. E nel Farro c’era 10 000 anni fa e continua ad esserci glutine !

Ma l’autolesionismo non è una novità nella lunga storia dell’Uomo: tra cent’anni sull’isteria Gluten-free ci rideranno sopra i nostri nipoti, chissà se il Sud Italia sarà diventato un deserto

© 2017 The Authors. Published by Elsevier B.V.
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S116103011730045X

Michele A. De Santis, Marcella M. Giuliani, Luigia Giuzio, Pasquale De Vita, Alison Lovegrove, Peter R. Shewry, Zina Flagella,

Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente, Università degli Studi di Foggia, Via Napoli 25 – 71122, Foggia, Italy
b Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria – Centro di Ricerca per la Cerealicoltura (CREA-CER), S.S. 673 km 25.200, 71122 Foggia, Italy
c Department of Plant Biology and Crop Science, Rothamsted Research, Harpenden, Hertfordshire AL5 2JQ, UK

European Journal of Agronomy
Volume 87, July 2017, Pages 19-29

Differences in gluten protein composition between old and modern durum wheat genotypes in relation to 20th century breeding in Italy

… Endosperm prolamins, accounting for up to 80% of the total grain proteins, determine the technological quality of durum wheat flour (semolina) that is mostly used for the production of pasta, bread and cous cous. These alcohol-soluble grain storage proteins are classified, based on their electrophoretic mobility, into monomeric gliadins (α-, γ- and ω-) and polymeric glutenins (comprising high and low molecular weight glutenin subunits, HMW-GS and LMW-GS).

….It is well documented that pasta-making quality is related to the gluten protein composition (Peǹa et al., 1994; Edwards et al., 2007; Sissons, 2008), which can be influenced either by genetic (De Vita et al., 2007; Pompa et al., 2013; Subira et al., 2014) or environmental factors (Triboi et al., 2000; Altenbach, 2012; Giuliani et al., 2014; Giuliani et al., 2015)

Among the wheat allergens, ω-5 gliadin (or Tri a 19) is known to be the major protein responsible for wheat-dependent exercise-induced anaphylaxis (WDEIA; Matsuo et al., 2005).

Fifteen durum wheat (Triticum turgidum spp. durum) genotypes were chosen based on the year of release from 1900 to 2005 and subdivided into two groups (old and modern)
The old genotypes group includes seven entries commonly released in Italy from 1900 until 1949 and the modern one contains eight cultivars released after 1985 and carrying the Rht genes.
In particular, the higher gluten index observed in modern genotypes was correlated with an increased content of glutenins, especially B-type LMW-GS. No significant differences were found between old and modern durum wheat genotypes in relation to α-type and γ-type gliadins, the former being considered one of the major fractions determining coeliac disease toxicity. Furthermore, a drastic decrease in the expression of ω-type gliadin, mainly represented by ω-5 gliadin (also known as Tri a 19) which is the major allergen in WDEIA, was observed in the modern genotypes.
In conclusion, durum wheat breeding carried out in Italy during 20th century seems to have improved wheat gluten quality in relation to both technological performance and allergenic potential. In particular, the introduction of high quality alleles and the higher expression of B-type LMW-GS are responsible for better gluten strength and the marked decrease in ω-type and in particular ω-5 gliadin expression may indicate a potential lower allergenicity of modern varieties.

This research was supported by grants from Ministero dell’Università e della Ricerca, Italy, projects: PON-PLASS (PONa3_00053) and PON-ISCOCEM (PON01_01145).

INEQUIVOCABILE,
CHIARISSIMO (anche a chi mastica poco inglese).

BASTA BUFALE DENIGRATORIE E GUERRE DI RELIGIONE e, soprattutto, basta aggressione e poi vittimismo (pure)

Le proteine di riserva una volta idrolizzate non sono altro che quel glutine che ha fatto il bene di miliardi e miliardi di persone dalla fine della glaciazione di Wurm e relativo addomesticamento dei Triticum e quindi nascita dell’agricoltura ad oggi e che è diventato invece il mantra negativo diffamatorio di troppi furbetti pro-domo loro che poi non sanno nemmeno cosa sia.

“Anche questo studio nota come siano principalmente le gliadine le proteine a dare problemi sia per gli allergici che per i celiaci, e queste oltre a non essere state modificate dal miglioramento genetico, nei grani moderni sono presenti in una proporzione minore.”

….”È interessante che alcune delle varietà antiche studiate sono proprio quelle che ora vanno per la maggiore: Cappelli, Timilia, Russello, Saragolla. Queste di sicuro non sono meglio”
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/07/12/grano-antico-fa-buon-glutine/
Il glutine non è aumentato e ci sono sempre stati grani antichi, con tanto glutine, così come grani, antichi e nuovi, con poco glutine..
Se il glutine totale non è cambiato, forse potrebbe essere cambiata la sua composizione. Alcuni dicono addirittura che il glutine dei “grani moderni” sia addirittura “tossico”.
Il glutine è composto di due tipi di proteine: le gliadine (suddivise in alpha, beta, gamma e omega) e le glutenine, che si dividono in leggere (LMW-GS Low Molecular Weight Gluten Subunit) e pesanti (HMW-GS).
Queste proteine vengono spezzate con difficoltà dal nostro corpo e alcuni frammenti possono sopravvivere alla digestione. In un articolo precedente vi avevo spiegato che nella parziale digestione del glutine rimaneva addirittura un frammento di 33 amminoacidi che danneggiava l’intestino del celiaco. Prima di continuare vi devo spiegare che cos’è un epitopo. (Vi avevo avvisato che dovevo entrare nei dettagli).
In pratica un epitopo è un frammento di una proteina di pochi amminoacidi legati insieme. Ciò che danneggia il celiaco non è tutto il frammento di 33 amminoacidi ma sono degli epitopi specifici più corti contenuti in questo lungo frammento. Questo è quello più noto ma per i celiaci sono tossici anche altri epitopi, più o meno lunghi e con tossicità diverse. Fino ad ora sono stati identificati e classificati almeno 30 diversi epitopi tossici per il celiaco. La maggior parte di questi è presente nelle gliadine (alpha-gliadina soprattutto), mentre solo una minoranza nelle glutenine.
Grani diversi possono quindi avere una tossicità diversa per i celiaci ¬–posto che sono comunque tutti tossici– perché contengono più o meno epitopi, e di tipo diverso.

Una domanda legittima è chiedersi se i grani moderni siano più tossici di quelli antichi perché magari contengono più epitopi tossici.

Nel 2010 Hetty van den Broeck e colleghi studiano la presenza di due epitopi tossici per i celiaci (chiamati Glia-alpha9 e Glia-alpha20), entrambi sulla gliadina. Il primo, tossico per il 90% dei celiaci, è presente nel famoso frammento di 33 amminoacidi non digeribile dagli enzimi digestivi.
I ricercatori analizzano 36 grani rilasciati principalmente negli anni ’80 e ’90. Sono 34 grani tedeschi, uno polacco e uno britannico. Li confrontano poi con 50 grani antichi, o popolazioni, di un po’ di tutto il mondo. Come il Noè e il famoso Akagomugi, il grano giapponese usato da Strampelli per i suoi incroci. Vanno quindi a ricercare i due epitopi su tutti questi grani.
I risultati mostrano che sia nei vecchi che nei nuovi c’è una ampia variabilità della presenza dei due epitopi, quindi esistono grani antichi più pericolosi per il celiaco e grani antichi meno pericolosi. E la stessa cosa si può dire per quelli più recenti. I già citati “antichi” Akagomugi e Noè per esempio risultano essere mediamente più tossici del grano Irakeno CGN08327, e sono quelli usati da Strampelli nei primi decenni del XX secolo per produrre grani che ora in Italia vengono considerati “antichi”. E anche Cadenza, il solo grano britannico moderno inserito nello studio, risulta molto meno tossico per i celiaci sia di tutti i grani tedeschi moderni considerati, ma anche di molti grani antichi.
Se considerati come un gruppo, nei grani più recenti l’epitopo Glia-alpha9 è presente in maggior quantità, forse un risultato casuale della selezione genetica effettuata nei decenni, mentre ci sono 15 grani antichi su 50 che hanno una minor quantità di epitopi tossici. Il messaggio che i ricercatori cercano di far passare nelle conclusioni non era quello di “tornare ai grani antichi”, che non sono adatti alle richieste tecnologiche e agronomiche moderne, ma di usare la biodiversità esistente per ottenere un numero maggiore di grani moderni meno tossici per i celiaci, attraverso il miglioramento genetico usando quelle varietà antiche con meno epitopi tossici come materiale da incrocio o addirittura usando le biotecnologie.
Il messaggio invece che è passato, a dire il vero un po’ strumentalizzato, è “il grano moderno è più tossico di quello antico” mentre avrebbe dovuto essere “sia tra i grani antichi che tra quelli più recenti si sono varietà più tossiche e varietà meno tossiche. L’epitopo tossico Glia-alpha9 è più diffuso in quelli moderni ma reincrociandoli con materiale antico è possibile ridurlo”.
E di sicuro i ricercatori hanno giocato un po’ sporco, peccando di sensazionalismo nel titolo “wheat breeding may have contributed to increased prevalence of celiac disease”, “Il miglioramento genetico del frumento potrebbe aver contribuito all’incremento della celiachia”. L’anonimo revisore che ha approvato l’articolo per la pubblicazione secondo me avrebbe dovuto richiedere come minimo un cambio del titolo, perché nessuno ha mai dimostrato che ci sia un legame causale tra la presenza di certi epitopi e l’aumento della celiachia e in questo articolo men che meno.

Succede purtroppo spesso che le ragioni del marketing, anche della scienza, prevalgono sui tempi lunghi che richiede la ricerca scientifica.

Vi ho detto (BRESSANINI) che gli epitopi tossici sono almeno 30 mentre qui ne hanno analizzati solo 2. E gli altri 28? E che dire dei grani “moderni” analizzati? Praticamente tutti tedeschi, e degli anni ’80-’90. Che dite? Forse era una ricerca un po’ troppo ristretta per dipingerla come un match “I grani antichi vs I grani moderni”?

“Insomma, non solo non vi sono prove che il miglioramento genetico abbia contribuito all’aumento della celiachia, ma addirittura le varietà e popolazioni di grani antichi analizzati presentano una maggior quantità di epitopi tossici confrontate con le varietà moderne.”
[Ribeiro, M., Rodriguez-Quijano, M., Nunes, F. M., Carrillo, J. M., Branlard, G., & Igrejas, G. (2016). New insights into wheat toxicity: breeding did not seem to contribute to a prevalence of potential celiac disease’s immunostimulatory epitopes. Food Chemistry, 213, 8-18.]
Dopo aver notato che la ricerca del 2010 ha analizzato solo poche varietà di frumento e solo due epitopi, i ricercatori illustrano il loro studio su 53 varietà moderne di frumento, 19 popolazioni antiche non selezionate (chiamate “landraces”), 20 farri spelta, 15 duri moderni e 19 popolazioni antiche non selezionate di grano duro. Ci sono 126 varietà e specie provenienti un po’ da tutto il mondo (ma non dall’Italia). In più nello studio sono stati cercati e identificati 5 epitopi tossici invece che solo due.
Uno degli aspetti meno convincenti delle conclusioni dell’articolo del 2010, fanno notare i ricercatori, è che durante il miglioramento genetico del grano, scienziati e breeders hanno posto l’accento principalmente sulle glutenine, poiché sono loro a conferire le caratteristiche viscoelastiche all’impasto. Però sono le gliadine le proteine a dare più problemi ai celiaci perché la maggior parte degli epitopi è presente lì.
Anche questi studiosi trovano, nei grani, una enorme variabilità di epitopi tossici ma
“le vecchie popolazioni di frumento tenero, non soggette a miglioramento genetico, mostrano un contenuto di epitopi tossici più elevato delle varietà moderne. Possiamo quindi concludere che il miglioramento genetico non ha contribuito alla prevalenza degli epitopi immunostimolanti per la celiachia”
Certo, notano gli autori riferendosi al grano tenero, non hanno potuto analizzato tutti gli epitopi tossici noti, ma non si stupiscono del risultato perché
“i programmi di miglioramento genetico si sono focalizzati sulle glutenine, mentre le gliadine, che hanno rilevanza clinica, sono rimaste più o meno invariate.”
Passando al grano duro i ricercatori trovano la stessa quantità di epitopi tossici nelle vecchie e nelle nuove varietà. E per curiosità il record della tossicità spetta, in questo studio, al farro spelta.
Concludono così:
“Poiché le varietà e popolazioni antiche presentano quantità uguali (grano duro) o superiori (grano tenero) di epitopi tossici, possiamo dedurre che il miglioramento genetico non ha contribuito all’incremento della celiachia durante la seconda metà del XX secolo”
Insomma, non solo non vi sono prove che il miglioramento genetico abbia contribuito all’aumento della celiachia, ma addirittura le varietà e popolazioni di grani antichi analizzati presentano una maggior quantità di epitopi tossici confrontate con le varietà moderne.
[De Santis, M. A., Giuliani, M. M., Giuzio, L., De Vita, P., Lovegrove, A., Shewry, P. R., & Flagella, Z. (2017). Differences in gluten protein composition between old and modern durum wheat genotypes in relation to 20th century breeding in Italy. European Journal of Agronomy, 87, 19-29.]
In realtà quello che si sa essere cambiato negli anni non è la quantità di glutine dei frumenti ma “l’indice di glutine”, il “Gluten Index”, che è legato alle proprietà reologiche del glutine. In pratica si deposita del glutine umido su una griglia e, con una centrifugazione, si osserva quanta parte del glutine fuoriesce dalla griglia. La quantità di glutine che rimane nella griglia della centrifuga in rapporto al peso totale del glutine umido corrisponde all’Indice di Glutine.
Lo studio si è concentrato su 8 varietà moderne (Adamello, Simeto, Preco, Iride, Svevo, Claudio, Saragolla, PR22D89) e 7 antiche (dal 1900 al 1949 Dauno III, vecchio Saragolla, Rusello, Timilia, Capelli Garigliano, Grifoni 235) per investigare la diversa composizione del glutine.
Durante il 20° secolo il miglioramento genetico del grano duro è stato rivolto al rilascio di varietà ad alta resa, bassa taglia, maturazione precoce, e al miglioramento della qualità pastificatorie. In particolare, il maggior Indice di Glutine dei grani duri moderni è correlato con un aumento del rapporto glutenine/gliadine, oltre che all’introduzione di alcuni geni sempre collegati alle glutenine.
Gli studiosi confermano che il glutine è cambiato negli anni, aumentando le glutenine a scapito delle gliadine. I grani moderni hanno un rapporto gliadine/glutenine più basso degli antichi (1,7 contro 2,8 nella media) a conferma di lavori precedenti che dimostravano un miglioramento delle qualità pastificatorie dei grani moderni, migliorando l’Indice di Glutine.
Anche questo studio, come il precedente, nota come siano principalmente le gliadine le proteine a dare problemi sia per gli allergici che per i celiaci, e queste oltre a non essere state modificate dal miglioramento genetico, nei grani moderni sono presenti in una proporzione minore.
“è noto come le gliadine alpha e gamma contengano molti epitopi tossici per i celiaci. In questo studio non si è trovato un effetto significativo del miglioramento genetico sull’espressione di queste proteine […]In più la gliadina omega-5, che dà particolari problemi agli allergici, è particolarmente presente nei grani antichi.”
Concludono dicendo che
“non sono state trovate differenze significative tra varietà vecchie e nuove per quel che riguarda le alpha e gamma gliadine, considerate le maggiori responsabili della tossicità per i celiaci. In più nei grani moderni si è assistito a una riduzione della gliadina omega-5, un allergene importante.”
Quindi, non solo i grani antichi non sono “meglio” di quelli moderni da questo punto di vista, ma rischiano anche di essere più allergenici. D’obbligo comunque rimarcare anche in questo caso il piccolo numero di varietà studiate e di epitopi. È però interessante che alcune delle varietà antiche studiate sono proprio quelle che ora vanno per la maggiore: Cappelli, Timilia, Russello, Saragolla. Queste di sicuro non sono meglio.
Ultimo arrivato è lo studio, tutto parmense:

[Prandi, B., Tedeschi, T., Folloni, S., Galaverna, G., & Sforza, S. (2017). Peptides from gluten digestion: A comparison between old and modern wheat varieties. Food Research International, 91, 92-102.]
Il lavoro parte ricordando che gli articoli precedenti (citati qui sopra) hanno dimostrato che il miglioramento genetico non ha alterato la composizione delle sostanze fitochimiche e che i grani antichi non sono “più sani e salutari” di quelli moderni.
“secondo i dati pubblicati, le vecchie varietà di frumento, sebbene precedentemente creduti a bassa tossicità per i celiaci, dovrebbero essere evitati dai celiaci e non dovrebbero essere considerati “sicuri””
Tuttavia, le vecchie varietà, anche se pericolose per i celiaci, potrebbero in teoria produrre, durante la digestione, meno peptidi immunotossici. Come vedete nella scienza si cerca di testare tutte le ipotesi.
“In questo lavoro confrontiamo il profilo peptidico di specie e varietà diverse di grano generato dopo una digestione gastrointestinale simulata in vitro”
In pratica ricostruiscono in provetta i liquidi presenti nel sistema digerente — acidi, enzimi e quant’altro–. Ovviamente non possono riprodurre completamente il processo e per migliorare ulteriormente lo studio si dovrebbe prelevare del materiale dall’intestino di soggetti volontari.
Studiano specie diverse (grano tenero, grano duro, farro monococco, farro dicocco e farro spelta) grani antichi (Grano del miracolo, Virgilio, Cappelli, Timilia) e alcuni nuovi. Sono state analizzate, dal fluido di digestione, 9 epitopi.
Quello che trovano i ricercatori è che, dopo la digestione in provetta, l’unico grano che si discosta da tutti gli altri, vecchi e nuovi, è il farro monococco. E qui torniamo all’inizio dell’articolo, quando ho spiegato che questo se vogliamo è l’unico vero “grano antico”. Geneticamente antico e diverso, non avendo subito la fusione genetica con due graminacee in successione, che ne hanno però migliorato le caratteristiche panificatorie.
Avete mai provato a fare del pane o della pizza solo con il Farro monococco? Non c’è dubbio che sia molto diverso dal frumento tenero, e infatti non stupisce che sia stato abbandonato nell’età del Bronzo (3.500 a.C. – 1.200 a.C.) prima in favore del farro e poi di tutti gli altri a seguire. Se ora facciamo pane, pizza e torte con il grano tenero un motivo c’è Il farro monococco non è comunque da considerare “sicuro” per i celiaci perché ha la concentrazione più alta di un peptide tossico.
L’analisi mostra come, nonostante in futuro sarà necessario prelevare campioni da soggetti umani per meglio supportare i nostri risultati
“è notevole che si trovino peptidi tossici e immunogenici in tutte le varietà e specie di triticum, quindi nessuno dei triticum analizzati è da considerare sicuro per un celiaco”.
Una sequenza tossica è particolarmente presente e persistente nei grani antichi esaminati come Cappelli e Timilia.
“vi è la credenza che le vecchie varietà di grano siano “più sicure” e “più salutari” confrontate con i grani moderni. Al contrario in questo studio mostriamo che le vecchie varietà generano una quantità più elevata di peptidi immunogenici e tossici.”
“è improbabile che le varietà moderne di grano siano responsabili dell’aumento della celiachia”,anzi, “le vecchie varietà producono una quantità più elevata di peptidi con sequenze immunotossiche, dopo la digestione, dei grani moderni e quindi non sono da considerare “sicuri” per chi è predisposto verso la celiachia”.
Concludono che
“le vecchie varietà analizzate producono una quantità superiore di peptidi contenenti sequenze immunogeniche e tossiche dei grani moderni. Quindi le varietà antiche non sono da considerare “sicure” per soggetti che sono predisposti alla celiachia”

Ciao, vado a preparami un meraviglioso piatto di pasta e domani in bici al lavoro ! (come da 40 anni e 40 km al giorno…)

Giovanni
Giovanni
8 Settembre 2017 18:00

Solo una nota riguardo all’azoto che finisce nelle acque. I concimi azotati minerali sono distribuiti durante la coltivazione esattamente nei momenti in cui la pianta è in attiva crescita e pertanto quando vengono assorbiti in gran parte dalle radici. Tipicamente la maggior parte dell’azoto da concime minerale al frumento viene data in primavera, molti mesi dopo la semina. Al contrario i reflui zootecnici vengono di norma interrati e dunque devono essere distribuiti prima della semina. Prima che la pianta sia nella fase di massimo assorbimento passano molti mesi, e nel caso del frumento si tratta proprio del piovoso periodo invernale. Le perdite in profondità sono soprattutto dovute a questo sfasamento.
Giusto per curiosità, e a parziale discolpa degli agricoltoti, faccio rilevare che le zone agricole hanno acque con meno nitrati rispetto a quelle urbanizzate. Basti guardare il contenuto medio nelle falde a nord e a sud della provincia di Milano.

Franco
Franco
9 Settembre 2017 19:47

Faccio i complimenti al prof. Enzo Spisni per il chiaro e approfondito articolo.
Solo una domanda. Come mai non fa cenno ai vari tipi e gradi di lavorazione del grano per produrre la farina. Mi riferisco, in particolare e per semplificare, alla classifica tipo 00, 0. 1, 2 ecc.? Ritiene che non influisca sulla presenza di glutine e quindi non sia una concausa della diffusione della Celiachia e della sensibilità al glutine ?
Grazie

fabrizio_caiofabricius
fabrizio_caiofabricius
Reply to  Franco
10 Settembre 2017 11:32

Senza parole.
Mi è subito venuto in mente il pensiero dell’imperatore Adriano:
“…prepariamoci a fortificare le nostre biblioteche per resistere al lungo inverno dell’ignoranza…”