Sfondo di coltivazione di microgreens con germogli di microgreens sul tavolo di legno. Vista dall'alto.

I germogli, insieme ad alghe, funghi shiitake, moringa, semi di canapa, erbe ayurvediche e fonti di proteine vegetali, sono tra gli alimenti più di tendenza del 2023, coerentemente con la crescente ricerca dei consumatori occidentali di un’alimentazione salutare e con la sempre più diffusa predilezione per una dieta basata su cibi di origine vegetale. Come spiega Stefano Morabito, dirigente di ricerca dell’Istituto superiore di sanità, Direttore dell’unità operativa Sicurezza microbiologica degli alimenti e malattie a trasmissione Alimentare e Direttore del Laboratorio europeo e nazionale di riferimento per E. coli, “Questi ‘getti’, prodotti dai semi attivati dalla presenza di specifiche condizioni ambientali, sono un concentrato di sostanze nutritive benefiche e di facile assimilazione, perché presenti in forma ‘predigerita’ dagli enzimi attivati durante il processo di germinazione (quindi le proteine sono scisse in amminoacidi e i lipidi in glicerolo e acidi grassi). Quindi il loro consumo è considerato più vantaggioso rispetto a quello delle sole verdure ‘adulte’”.

Tuttavia l’introduzione dei germogli nell’alimentazione (umana e animale) comporta alcuni rischi, legati soprattutto alla loro potenziale contaminazione da parte di microrganismi dannosi per la salute. “Queste insidie sono note dagli anni ’90, ma si sono imposte prepotentemente all’attenzione pubblica nel 2011, con l’epidemia di infezioni da Escherichia coli che ha colpito Ue e Usa a seguito dell’importazione dall’Egitto di lotti di semi di fieno greco contaminati, e nel 2014, con lo ‘sproutbreak’ (o ‘crisi dei germogli’), che ha colpito Illinois e Michigan a causa della presenza di batteri della specie Listeria monocytogenes in germogli di fagioli mungo prodotti dalla Wholesome Soy Products” (in questo articolo la cronistoria dell’epidemia che ha colpito Germania e Francia nel 2011).

Nel corso degli anni sono state registrate diverse epidemie causate dal consumo di germogli contaminati da batteri patogeni

L’esperto sottolinea che “la necessità di ripensare dal punto vista profilattico e normativo i germogli si è resa evidente già 20 anni fa, quando il loro consumo era ancora di nicchia e questa tipologia di prodotti veniva considerata ‘materia prima’ sebbene fosse di fatto utilizzata come una vera e propria classe di alimenti ‘pronti all’uso’’’. In particolare, nel 2013, dopo il Parere scientifico dell’Efsa in merito al rischio derivante da Escherichia coli produttore di tossina Shiga (STEC) e da altri batteri patogeni in semi e semi germogliati è entrata in vigore una nuova normativa UE per incrementare la sicurezza di questo segmento di prodotti nel mercato comunitario, e nel 2017 l’European Sprouted Seeds Association (ESSA) ha redatto diversi orientamenti nazionali per sostenere l’attuazione delle nuove norme mediante istruzioni esaurienti sulle prassi igieniche per la produzione sicura di semi, germogli e semi per germogli, nei Paesi europei e altrove.

Tuttavia, dopo i casi eclatanti sopra citati, ancora nel 2019, tra le 168 segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff), figurano anche germogli dalla Germania contaminati da Salmonella. Per questo, in virtù della sempre più ampia diffusione dei germogli sulle tavole occidentali, Oms e Fao hanno ribadito l’urgenza di adottare misure di prevenzione e controllo su tutte le fasi della loro produzione e commercializzazione nel report 2023 Prevention and control of microbiological hazards in fresh fruits and vegetables.

Il documento sottolinea come il rischio di contaminazione riguardi tutte le fasi della produzione dei germogli, a partire dalla selezione dei semi e dalle condizioni ambientali in cui vengono fatti germinare (ideali anche per la proliferazione di agenti patogeni come E. coli, Salmonella, Listeria monocytogenes, veicolati da acqua, concimi o contatto con animali selvatici) fino alle fasi di stoccaggio e lavorazione che, in assenza di un adeguato controllo igienico di attrezzature, indumenti indossati dai lavoratori, materiali e gli oggetti destinati a entrare in contatto con i germogli, possono rappresentare momenti ottimali per la contaminazione batterica. “A questo – fa notare Morabito – si aggiunge il problema di fondo che i germogli vengono spesso consumati crudi o solo leggermente scottati, senza essere sottoposti alle alte temperature necessarie per uccidere i patogeni che potrebbero contenere” e proprio per questo, come tutti gli altri alimenti ready to eat devono essere controllati di più rispetto agli alimenti destinati alla cottura.

Donna taglia germogli o microgreens coltivati in cucina
Secondo un report di Oms e Fao, il rischio di contaminazione microbiologica riguarda tutte le fasi della produzione dei germogli

Gli esperti europei hanno individuato alcune soluzioni per evitare contaminazioni pericolose e aumentare la sicurezza alimentare dei germogli in ogni fase della filiera: si va dal controllo dei semi in ingresso (che devono essere acquistati solo da fornitori che attuano procedure volte ad assicurare una buona produzione igienica, tracciabili e, se provenienti da Paesi terzi, muniti di Certificato di importazione, nonché sottoposti a test microbiologici preliminari che ne certifichino la sicurezza) all’analisi dell’acqua che entra in contatto con i semi stessi e con i germogli in tutte le fasi della produzione (irrigazione dei campi, risciacquo iniziale dei semi, ammollo pregerminazione, ecc). Importante è anche la progettazione e manutenzione degli stabilimenti (che devono consentire buone prassi in materia di igiene alimentare e rendere difficile l’accesso a parassiti o animali selvatici), l’adozione di attrezzature adeguate per la pulizia, la disinfezione e il deposito degli strumenti di lavoro, degli impianti e delle camere di germinazione. C’è poi il monitoraggio delle fasi finali di trasformazione, imballaggio, immagazzinamento e trasporto dei germogli, che devono avvenire in ambienti protetti e nel rispetto della catena del freddo (a una temperatura compresa tra i 2 e gli 8 °C, a seconda dei requisiti previsti a livello nazionale).

Per quanto riguarda la decontaminazione microbiologica di semi e germogli, all’interno dell’Unione europea non vi è alcuna armonizzazione normativa, soprattutto alla luce del fatto che, secondo la relazione dell’Efsa, l’efficacia di questi trattamenti sembra essere piuttosto limitata. Tuttavia sono ammessi i metodi di disinfezione chimica, fisica o biologica autorizzati dalle autorità nazionali competenti, purché attuate in modo da garantire la completa eliminazione degli elementi chimici eventualmente utilizzati e da evitare che si possa verificare una ricontaminazione dopo che i semi/germogli sono stati decontaminati.

broccoli, radish and clover sprouts in a wooden bowl
È fondamentale l’informazione al consumatore che deve sapere come conservare ed eventualmente preparare i germogli in modo corretto

Un aspetto essenziale, condiviso a livello internazionale (regolamento UE n. 1169/2011), riguarda invece l’importanza dei dati riportati in etichetta e la sensibilizzazione del consumatore (o della persona successiva nella catena di approvvigionamento), che “deve ricevere tutte le informazioni necessarie per immagazzinare, esporre, trattare ed eventualmente trasformare e consumare i germogli in modo corretto e sicuro, ma i numeri di identificazione o di partita del prodotto, il nome e l’indirizzo del produttore e tutto ciò che occorre per poter rintracciare facilmente e richiamare eventuali lotti contaminati” conclude l’esperto.

A queste prescrizioni normative si aggiungono alcuni consigli dei ricercatori, relativi alla produzione domestica e al consumo ottimale dei germogli. Tra questi vi sono la raccomandazione di acquistare solo semi di origine controllata, di evitare i ristagni d’acqua che renderebbero i semi più facilmente attaccabili da muffe e batteri, di evitare un consumo eccessivo di germogli di solanacee (come quelli di pomodori, patate, peperoni, peperoncini, melanzane ricchi di licopersicina, solanina e altri alcaloidi correlati, che agiscono come sostanze antinutrizionali) e di sbollentare i germogli di piselli, soia e ceci prima di portarli in tavola (poiché contengono alcune sostanze tossiche che non vengono eliminate del tutto durante la germinazione). “Ma più in generale – spiega il ricercatore – il consiglio è quello di cuocere i germogli (a vapore, in pentola o in padella) per far sì che le elevate temperature neutralizzino eventuali patogeni o sostanze dannose, aumentando la sicurezza microbiologica, anche a costo di degradare parte del contenuto di vitamine termolabili, cioè sensibili al calore”.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, iStock

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giova
giova
7 Maggio 2023 20:15

Tema di sicurezza alimentare interessante. Ci ricorda che un modo equilibrato di contemperare il benessere aggiunto che certi nutrienti ci portano (“… concentrato di sostanze nutritive benefiche e di facile assimilazione, perché presenti in forma ‘predigerita’ dagli enzimi attivati durante il processo di germinazione…”) e la sicurezza alimentare implica dei compromessi. Con delle pratiche anche da parte del consumatore (catena del freddo dopo l’acquisto, conservazione casalinga a temperatura adeguata, consumo entro la data di scadenza, cottura, ecc.) che snaturano parzialmente le proprietà nutrizionali.
Sarebbe interessante anche conoscere se la pratica della germogliazione casalinga (con o senza germogliatore) è una pratica sicura. Mi ricordo di un libro che sottolineava sia l’importanza di piccolissime quantità da consumare appena germogliati, sia la frequente sostituzione e risciacquo dei semi durante la fase di germogliazione. E il consumo andava preceduto da abbondanti risciacqui.