Il nostro paese non è in buona posizione per quanto riguarda il benessere animale: dei 300 milioni di animali allevati in gabbia ogni anno in UE, oltre 45 milioni sono in Italia. È quanto emerge dai dati diffusi da End The Cage Age, l’iniziativa lanciata da 170 associazioni europee impegnate nella tutela del benessere animale: lo scorso anno oltre un milione di cittadini europei ha firmato per vietare l’uso delle gabbie negli allevamenti, esprimendosi a favore di metodi che assicurino agli animali la possibilità di comportarsi secondo natura, muovendosi e socializzando con i propri simili.
Ancora troppe gabbie in Italia
Oggi l’Italia è al 17° posto in Unione Europea per percentuale di animali di allevamento in gabbia: da noi questo destino tocca a più del 75% degli animali, mentre in altri paesi come la Germania o la Svezia non si va oltre il 20%. Parliamo ovviamente, precisano gli esperti di CIWF Italia Onlus che ha raccolto questi dati, di quelli che per legge possono essere allevati in gabbia. Non ci sono quindi i broiler, i polli da carne per cui questo tipo di allevamento non è consentito.
Nel nostro paese – ci sono forti differenze tra stato e stato – a vivere in gabbia sono la quasi totalità delle scrofe, costrette nelle cosiddette gabbie da parto e da allattamento, dei conigli e delle quaglie, oltre ai vitelli che vengono rinchiusi per le prime otto settimane di vita in box singoli equiparati alle gabbie. E alle galline ovaiole, che nel 62% dei casi vivono ancora nelle cosiddette “gabbie arricchite”, che non offrono molti vantaggi rispetto a quelle tradizionali. Sono tutte situazioni che costringono gli animali a vivere in condizioni innaturali e stressanti, impedendo loro di seguire i propri istinti.
D’altra parte, il fatto che la situazione vari radicalmente da paese a paese mostra che soluzioni alternative sono possibili: alcuni paesi le hanno già adottate – come la Germania – o le stanno adottando, come la Repubblica Ceca, dove è in via di approvazione una legge per vietare le gabbie per galline.
I fattori che limitano il cambiamento
Ci sono però vari fattori che rendono più complessa l’adozione di metodi diversi dalle gabbie. Prima di tutto, sottolineano gli esperti di CIWF Italia, i costi della transizione ai nuovi sistemi, ma anche il fatto che non esiste l’obbligo di specificare in etichetta il metodo di allevamento, che sarebbe un forte incentivo per le aziende: “È un tema al quale i consumatori, sia italiani sia europei, sono particolarmente sensibili, tanto che dal gennaio 2004, quando è entrato in vigore l’obbligo di indicare sulle uova se provengono da allevamento biologico, all’aperto, a terra, o nelle gabbie, il 30% degli allevamenti italiani ha dismesso le gabbie”, spiegano gli esperti di CIWF. In realtà alcune aziende segnalano volontariamente che sono state messe in atto misure per tutelare il benessere animale: ma in assenza di una normativa specifica si tratta di definizioni generiche che non garantiscono l’efficacia dei provvedimenti adottati.
Cosa si può fare?
Qualcosa però si può fare e si sta già facendo: “per quanto riguarda i conigli, per esempio – spiegano a CIWF Italia – se per le fattrici l’allevamento in gruppo presenta ancora delle problematiche, per i conigli da ingrasso si stanno sperimentando sistemi di allevamento alternativi che rispettano maggiormente il benessere di questi animali”. Alcuni allevamenti usano i cosiddetti sistemi park, ovvero gabbie più grandi con materiale di arricchimento e pavimento in plastica, utilizzati in Italia. In Francia ci sono alcune sperimentazioni di allevamenti con recinti a terra. E c’è anche chi si sforza di prospettare soluzioni diverse per le scrofe, come l’azienda Fumagalli di Como che utilizza recinti di allattamento libero che permettono a scrofe e suinetti di esprimere liberamente i propri comportamenti limitandone lo stress: una scelta premiata nel 2016 con il premio Good Pig.
“Resta da vedere – concludono i responsabili di CIWF – come sarà gestita la politica agricola comune e se i fondi disponibili saranno utilizzati investendo i sistemi più sostenibili, un utilizzo che come associazione chiediamo con forza”. Il rischio, in caso contrario, è quello di restare indietro rispetto ad altri paesi europei.
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giornalista scientifica
È da come vengono trattati gli altri esseri viventi, compresi gli animali da allevamento, che si vede la civiltà di un paese.Non sapevo che l’Italia fosse così indifferente al benessere animale. Complimenti per la pubblicazione di tali notizie, che tutti dovremmo contribuire a diffondere.
Vien da ridere se pensiamo a tutte le volte che Coldiretti e compagnia bella si sono indignati alla scoperta di carne di maiale proveniente dal nord Europa, millantando una presunta superiorità qualitativa dei nostri animali….ma a conti fatti sembrerebbe proprio che, mediamente parlando, allevano meglio in Germania che da noi.
È una vergogna, io sono vegetariana e se fossi capace ma non ci riesco vorrei essere vegana, quello che vedo nei filmati di come vengono trattati gli animali, non ci sono parole a cosa arriva a fare l’uomo per lucro, siamo noi le bestie ,mi vergogno di essere umana, per tutti i miei simili, ma la natura e il mondo si ribella la stiamo già pagando
guarda che voler essere vegana non ti rende meno partecipe dello sfruttamento delle ovaiole in gabbia.
Si è difficile regredire nella conoscenza fino allo stato vegano…ma per piacere. Se uno per scelta non mangia la carne sono fatti suoi, non mi venga a dire che il motivo è come trattano gli animale perchè è una balla colossale….ti allevi le bestie come vuoi te e te le mangi e chiuso. Nessuno te lo impedisce.
C’è una bella differenze tra una carne di una bestia che ha vissuto bene ed è stata ammazzata altrettanto bene e una che non ha avuto questo trattamento. Se siamo onnivori un perchè c’è.
sono sulla stessa lunghezza d’onda, io ti capisco perfettamente e condivido in pieno quello che dici; se tutti la pensassimo così, qualcosa sicuramente cambierebbe, perfino per i carnivori
Siamo alla fantascienza, mi permetto di spiegare meglio il senso della ricerca:
il 75% degli animali allevati in gabbia, è effettivamente allevato in gabbia. Non so se ridere o piangere.
Scelga il consumatore: uova non da allevamenti in gabbia sono disponibili da anni, e costano le stesse cifre. Invece di certe ridicole ricerche finanzino i piccoli allevatori o facciano ricerca per migliorare le tecnologie esistenti. Tutte finanziate e realizzate dalle grandi aziende, mai una fatta da un gruppo animalaro.
Col cavolo che costano le stesse cifre! Le uova di animali allevati a terra costano poco più di quelle in gabbia (ormai rare), ma quelle di galline allevate all’aperto possono costare anche il 30% in più di quelle di galline allevate a terra, e quelle bio hanno dei prezzi che sono uno schiaffo alla miseria. Letteralmente.
le foto pubblicate qui sulla condizione degli animali allevati in gabbia purtroppo non rispecchiano la realtà, che quasi sempre è molto peggiore, condizioni disumane perfino per gli animali (vedi servizi TG1 e Report); per chi crede alla massima: “sei quello che mangi” (come evidentemente è), penso sia dura accettare di cibarsi di carni simili….per inciso, la dicitura “galline allevate a terra” spesso è una truffa, sono ammassate e via discorrendo (rimando ai servizi di cui sopra)