Il pasto a scuola rientra a pieno titolo tra le attività educative e didattiche previste dal ministero dell’Istruzione (circolare 2270 del 9-12-2019), che lo indica come un momento privilegiato per promuovere la socializzare ma soprattutto per far apprendere a bambini e ragazzi comportamenti alimentari corretti e aiutarli a compiere scelte consapevoli anche da adulti. In più, secondo Save The Children, il servizio di ristorazione scolastica contribuisce a contrastare la povertà alimentare e permette di assicurare almeno un pasto sano, completo e bilanciato al giorno a tutti i bambini e ragazzi in età scolare. Per questo la mensa, intesa sia come luogo fisico sia come momento di convivialità e condivisione è sempre più al centro di progetti formativi che coinvolgono esperti di nutrizione, docenti e genitori. È il posto dove dovrebbero intrecciarsi misure a sostegno dello sviluppo psicofisico di alunni e studenti, interventi sull’educazione al gusto, sensibilizzazione ai temi della sostenibilità, del consumo consapevole e del contrasto allo spreco alimentare oltre alla promozione della scoperta di altre culture.
Di recente la società Ipsos ha condotto per l’Osservatorio Cirfood District una ricerca collegata al progetto “Food For School”, il cui scopo è quello di identificare i nuovi bisogni e le aspettative degli utenti delle mense e individuare le aree di miglioramento all’interno delle realtà scolastiche. Il tutto nella consapevolezza che, dopo l’esperienza della didattica a distanza imposta dall’emergenza da Covid-19, la ristorazione scolastica è stata ampiamente rivalutata, tanto che oggi sono sempre più le famiglie che ne riconoscono il ruolo per la gestione dell’educazione alimentare dei loro figli. L’indagine ha coinvolto un campione di 150 docenti di scuola primaria in Italia, il cui ruolo si rivela fondamentale anche nel momento della pausa pranzo: 45-60 minuti necessari per creare un contesto educativo in cui sia valorizzata la cultura del cibo, sia dal punto di vista nutrizionale sia per quanto riguarda il piacere di stare a tavola con i compagni.
Stando alle opinioni raccolte tramite questionari web e gruppi di discussione, per gli insegnanti il pasto a scuola rappresenta innanzitutto un momento di relazione e condivisione in uno spazio piacevole e accogliente, una palestra per allenare la collaborazione e al tempo stesso accrescere la propria responsabilità e autonomia (grazie al coinvolgimento in attività come apparecchiare, sparecchiare, raccogliere e differenziare i rifiuti). È anche uno strumento educativo reso più efficace dalla possibilità, per gli adulti, di entrare più facilmente in relazione empatica con gli alunni rispetto a quanto avviene durante le lezioni in classe, incentivando i più piccoli a consumare anche i piatti meno graditi e ad acquisire modelli culturali e comportamentali che influenzeranno positivamente le loro scelte alimentari a lungo termine.
Il menù, per risultare coerente con l’intento educativo della ristorazione scolastica, deve essere bilanciato e gustoso, ma soprattutto stagionale e sostenibile, ricco di alimenti il più possibile locali e biologici, nonché eventualmente diversificabile sulla base delle necessità legate ai regimi alimentari dei bambini. Molto apprezzata anche la possibilità di accedere, attraverso diversi strumenti di comunicazione, sia cartacei che digitali, alle informazioni nutrizionali su origine e stagionalità degli ingredienti utilizzati.
La mensa scolastica del futuro, dovrebbe adottare un approccio sempre più green e sostenibile dal punto di vista ambientale, non solo partecipando in modo sempre più attento alla raccolta differenziata dei rifiuti, ma anche aderendo a progetti di recupero delle eccedenze alimentari. In più dovrebbe essere resa sistematica la presenza di brocche o erogatori di acqua per ridurre l’utilizzo della plastica e l’adozione (già prevista nelle scuole di alcuni Comuni) di adottare ccontenitori antispreco per consentire ad alunni e studenti di portare a casa ciò che non mangiano a scuola.
Anche la ristorazione aziendale è attualmente al centro di un percorso di riprogettazione volto a esaltare il valore sociale ed educativo del pasto consumato durante l’orario di lavoro, sulla scorta delle nuove abitudini e dei nuovi bisogni emersi in seguito alla pandemia. Lo scorso giugno la ricerca La nuova pausa pranzo degli italiani: il new normal fotografato dall’indagine Nomisma (effettuata su 1000 lavoratori in tutta Italia) ha rivelato che i ristoranti aziendali sono visti sempre più come luoghi di comunità, di ritrovo e socializzazione, in cui usufruire di un servizio rapido e flessibile per quanto riguarda sia gli orari sia il tipo di menù proposti. I piatti proposti, che oltre a essere vari e bilanciati, devono prevedere opzioni pensate per diversi vegetariani e vegani e per eventuali persone allergiche e intolleranti.
In più, secondo il Rapporto Coop 2021, a orientare le abitudini delle persone in pausa pranzo, è sempre di più l’attenzione alla sostenibilità delle proposte culinarie e alla riduzione degli sprechi. Lavoratori e lavoratrici prediligono alternative green sia dal punto di vista della filiera produttiva, sia per quanto riguarda la proposta in termini di packaging e di recupero del cibo non consumato. Pr questo dovrebbe essere consentito portare a casa alcuni degli alimenti (come pane e frutta) non consumati nelle mense o prevedere la distribuzione a enti e associazioni benefiche.
Tutti questi aspetti stanno spingendo le aziende del food service, ma anche quelle che devono scegliere quale servizio offrire al loro lavoratori, a un ripensamento del design e dell’organizzazione stesso dello spazio-mensa. Si pensa alla creazione di hub confortevoli e polifunzionali, in cui muoversi liberamente tra zone a isola dedicate a diversi alimenti e preparazioni, con la possibilità di usufruire anche di spazi esterni e verdi. Nelle aziende dove non è possibile allestire una cucina e una vera sala da pranzo, si può optare per soluzioni “kitchen-light” e “kitchen-less”, attivando accordi con fornitori esterni o locali convenzionati (cosiddetta “mensa diffusa”) selezionati in base alla qualità, senza tuttavia rinunciare a predisporre spazi piacevoli in cui i lavoratori possano mangiare il cibo acquistato altrove o ordinato con sistema delivery.
Le tecnologie digitali più innovative (big data, intelligenza artificiale, sensoristica e tecnologia per le riprese ottiche) svolgeranno un ruolo fondamentale nella gestione efficiente delle mense aziendali, per esempio ottimizzando la gestione degli approvvigionamenti, prevedendo i fabbisogni in anticipo e con elevata accuratezza, allungando la shelf life degli ingredienti attraverso una migliore conservazione e consentendo di individuare i punti critici dove si focalizzano sprechi ed eccedenze.
Insomma, a scuola o in ufficio, la pausa pranzo assume sempre più un significato sociale e culturale, trasformandosi in un momento educativo ma “ergonomico”, ripensato in chiave educativa e sostenibile.
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Rallegra ritrovare scritti, oggi, dei contenuti che, storicamente, appartengono alla cultura sindacale e dei movimenti operaio e studentesco degli anni ’60 e successivi. Contenuti persi e miscreduti nell’epoca dell’individualismo sfrenato affermatasi nell’ultimo ventennio. Eppure sono sempre stati al centro dell’attenzione e delle trattative con le controparti; che certe volte parevano pure interessate a sostenere quel dispersivo micro-tessuto economico delle tavole calde e di fast food, smantellando le strutture esistenti.
Nei luoghi di lavoro la Commissione Mensa (o il CRAL aziendale) – composta da operai, impiegati, sindacalisti e in certe realtà anche esperti (dietiste, ecc.) – seguiva gli approviggionamenti e la preparazione dei pasti, e in certi casi anche la gestione economica.
Nelle scuole altrettanto, con quella fondamentale figura che era il Medico scolastico, ma pure con i rappresentanti dei genitori. I menù venivano continuamente ritoccati; e negli anni in cui il piatto unico (pasta e fagioli, risi e bisi, ad es.) era considerato la soluzione agli eccessi di carne ci fu una rincorsa a modificare in questa direzione, considerata a quei tempi nutrizionalmente innovativa, i menù settimanali.
Queste attenzioni erano il frutto di una nascente cultura in tema di alimentazione; che tra gli altri aspetti considerava già allora, cito dall’articolo, “Il pasto a scuola rientra a pieno titolo tra le attività educative e didattiche…”. E credeva fermamente che la mensa in fabbrica fosse un diritto dei lavoratori per disporre di un luogo “… di comunità, di ritrovo e socializzazione, in cui usufruire di un servizio rapido e flessibile per quanto riguarda sia gli orari sia il tipo di menù proposti …”.