Chicchi di caffè, caffè macinato e fondi di caffè

I fondi di caffè, già utilizzati come compost o come terreno su cui coltivare i funghi (come nel caso della start up fiorentina Funghi Espresso), potrebbero diventare materiale da utilizzare in una stampante 3D per realizzare oggetti di vario tipo, a loro volta compostabili o riciclabili, in un ciclo virtualmente eterno e a impatto quasi zero. Un gruppo di ricercatori dell’Università del Colorado Boulder ha infatti presentato alla DIS: Design Interactive Systems Conference, svoltasi lo scorso luglio a Pittsburgh, in Pennsylvania, uno studio in cui illustrano come trattare i fondi anche in casa, come modificare una stampante 3D in modo che sia adatta allo scopo e quindi come realizzare vasi, piccoli gioielli, tazzine da caffè che resistono alle sollecitazioni fisiche come la pressione e l’esposizione alle alte temperature.

Nello specifico, la polvere di caffè, una volta fatta asciugare, da sola non è una materia prima adatta a una stampante 3D: affinché sia così, è necessario aggiungere acqua, gomma di cellulosa e gomma di xantano, due additivi usatissimi dall’industria alimentare, molto facili da reperire ed economici e, soprattutto, a loro volta del tutto compostabili. Le proporzioni dei diversi ingredienti sono tali che il risultato finale è una sorta di pasta che ha la consistenza del burro d’arachidi e che deve essere introdotta in una stampante 3D, modificata leggermente rispetto ai modelli classici, con dei tubicini che permettano il passaggio di un materiale così denso. A quel punto si programma la stampante e si ottengono gli oggetti voluti e li si lascia seccare all’aria. Dopo qualche ora, e senza bisogno di trattamenti ulteriori, sono pronti e acquisiscono una resistenza alla pressione simile a quella del cemento non rinforzato, secondo i test effettuati.

oggetti stampati in 3d con fondi di caffè - Università del Colorado
Alcuni esempi di oggetti stampati in 3D dai ricercatori dell’Università del Colorado usando come materia prima i fondi del caffè

In questo modo i ricercatori hanno realizzato diversi tipi di vasi per piante, che resistono anche a terreni acidi come quelli necessari per far crescere i pomodori. Una volta che la pianta è cresciuta, poi, i vasi possono essere riciclati, triturandone i frammenti, ma possono essere anche ‘piantati’ nel terreno insieme alla pianta stessa, perché nel tempo si degradano ed entrano a far parte dell’ambiente senza rilasciare alcun materiale pericoloso o nocivo. Oltre a oggetti come piccoli ciondoli, gli autori hanno stampato anche tazze da caffè, che hanno poi ricoperto di cera d’api. Quindi le hanno messe a contatto con liquidi caldi come il tè o il caffè bollenti, dimostrando che, grazie all’indispensabile strato di impermeabilizzazione, il materiale si presta a questo tipo di impiego, andando quindi a chiudere un ciclo virtualmente perfetto. Anche ciò che avanza come gli scarti della stampa può essere reimmesso nel circolo. Viste le quantità di caffè bevute nel mondo, se tutti lo facessero l’impatto sarebbe notevole e tra l’altro si potrebbe via via sostituire, almeno in parte, uno dei materiali più utilizzati per le stampanti 3D, l’acido polilattico (Pla), che può essere effettivamente compostato, ma che in realtà viene accettato ancora da pochi impianti industriali, per mancanza di macchinari adeguati. E se viene conferito così com’è in discarica, può impiegare fino a mille anni a decomporsi.

© Riproduzione riservata Foto: Depositphotos, University of Colorado Boulder

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giova
giova
29 Settembre 2023 14:25

Sconosciuta l’informazione sull’acido polilattico necessario alle stampanti 3D, grazie.