Per filtrare l’acqua di casa si può ricorrere anche a uno strumento antichissimo, ben noto in Oriente e oggi particolarmente interessante perché sostenibile e molto efficiente: il cosiddetto SCOBY o fungo del kombucha, utilizzato, appunto, nella preparazione del famoso tè fermentato cinese. L’acronimo sta per Symbiotic culture of bacteria and yeast, a indicare proprio la coltura simbiotica tra funghi e batteri (il nome triviale fungo è sbagliato) che costituisce l’anima dello SCOBY, e che garantisce a esso la capacità di autorigenerarsi, di non produrre rifiuti e di durare teoricamente all’infinito, se si eccettua una minima pulizia da effettuare quando si accumulano le incrostazioni.
Lo SCOBY, in vendita online e in molti negozi a costi contenuti (in genere attorno ai 10 euro), è costituito da un disco di gelatina spesso pochi centimetri all’interno del quale crescono batteri e funghi che, insieme, danno vita appunto al sistema simbiotico. Grazie a esso, e grazie alla presenza di microrganismi come gli Acetobacter, che producono sostanze preziose come l’acido acetico, si ottiene la formazione di una sorta di pellicola. Di solito, una volta pronto, lo SCOBY è utilizzato per far fermentare il tè, ma i ricercatori della Montana Technological University e dell’Arizona State University hanno voluto metterlo alla prova in un confronto diretto con i filtri commerciali a polimeri.
Come riferito su ACS Environmental Science & Technology: Water, gli scienziati hanno prelevato alcuni campioni di acqua locale, proveniente da due diversi bacini e da un fiume, e l’hanno filtrata con una membrata commerciale e con uno SCOBY coltivato con aceto di vino bianco distillato, zucchero, tè nero in foglie e acqua. Entrambi, con il tempo, hanno iniziato a diminuire la velocità di filtrazione (a causa delle incrostazioni), ma lo SCOBY è rimasto più rapido e più efficiente, soprattutto nei campioni di acqua più impura. Inoltre, sebbene anche nello SCOBY si sia formato un biofilm, all’interno di esso erano presenti meno specie batteriche rispetto a quello cresciuto sui filtri commerciali. Anzi, sarebbero proprio le specie chimiche e biologiche presenti, che ostacolano lo sviluppo di biofilm da parte delle specie batteriche esogene, a mantenere i pori aperti nel tempo. Per questo motivo, il filtro al kombucha è probabilmente più efficiente e disinfettante rispetto ai polimeri.
Il valore dello studio, al di là del caso specifico, è la sottolineatura delle potenzialità di una nuova classe di filtri che potrebbero avere uno sviluppo molto importante, nel futuro prossimo: quello delle membrane filtranti viventi o LFM, basate appunto sull’intervento di opportune specie batteriche o di organismi simbiotici. Le membrane filtranti viventi sono infatti del tutto sostenibili, estremamente durature e composte da organismi e sostanze prive di tossicità.
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Giornalista scientifica
Come si fa a realizzarsi la membrana skoby in casa? È possibile partendo dai comuni alimenti in cucina? Come con il lievito madre del pane?
È molto interessante che ci sia un’ alternativa ai vari filtri commerciali. In particolare , vorrei sapere esattamente cosa purifica nell’acqua potabile di casa ed anche riguardo ai metalli pesanti .
Grazie
si, anche perchè è risaputo che i filtri in circolazione non sempre sono prodotti sicuri; alcuni tipi rilasciano sostabze più o meno gradite, altri per cattiva manutenzione o saturazione rilasciano improvvisamente le sostanze tossiche trattenute, altri si limitano a filtrare una o due sostanze. E infine il prodotto di plastica è anche un piccolo problema di smaltimento. Si è cercato negli anni di limitare alcuni incovenienti certificandone la qualità a livello ministeriale, credo Sanità, ma certamente c’è ancora da fare per mgliorarne l’efficacia.
Ma per quale motivo volete filtrare l’acqua dell’acquedotto, che è stracontrollata e sicura se non vivete in un paese del terzo mondo? Non date retta ai venditiri di fitri, a usare filtri e caraffe filtranti e altri accrocchi si è certi di una cosa sola, l’acqua esce uguale a prima o piuttosto se avete trascurato di cambiare le cartucce filtranti e igienizzare a fondo i contenitori batteri e alghe si sviluppano in poco tempo e finite per bere acqua contaminata partendo da acqua buona, anche lo Scoby richiderà delle cure attente per mantenersi sano e avrà senso solo se l’acqua potabile proprio non ce l’avete!
Per chi non se lo ricordasse, negli anni ’50 era scoppiata la moda del “fungo cinese”, immortalato dal grande Walter Molino in una copertina della “Domenica del Corriere” e da Renato Carosone nell’irriverente canzone ” ‘Stu fungo cinese! “, una mucillagine gelatinosa (molto simile alla “madre dell’aceto”) che andava conservata in un vaso di vetro pieno di té zuccherato, e che doveva rigorosamente essere dato o ricevuto in regalo… comprarlo o venderlo pare ne inibisse le mirabolanti qualità.
Secondo i cultori del fungo (in realtà la coltura batterica oggi nota come kombucha) infatti bere quel té guariva mal di pancia, dolori mestruali, infezioni intestinali, mal di testa, mal di gola, raffreddore… insomma tutti quei piccoli malanni che curati bene passano in una settimana e non curati passano in 7 giorni.
Si narra che nel primo dopoguerra a introdurlo in Italia sia stata una nobildonna torinese, che l’aveva scoperto in Portogallo presso i Savoia in esilio, e l’uso di coltivare e regalare alle amiche il mirabolante “fungo cinese” divenne una moda chic che rapidamente si diffuse nella “Torino bene”, ormai stufa delle sedute spiritiche.
Per beneficiare delle proprietà del fungo bisognava bere quotidianamente il té in cui viveva, di fatto té acidificato, fermentato e trasformato dai batteri in una bevanda probiotica, analoga allo yogurt o al kefir, che andava poi rimpiazzata con altro té fresco zuccherato, ma prima il fungo andava sciacquato in acqua corrente.
La cosa perse interesse nel giro di pochi mesi, anche perché ci furono dei casi di sviluppo di muffe e batteri indesiderati che invece di guarirli provocarono malesseri intestinali in chi aveva trascurato di alimentare e lavare correttamente i funghi, che quindi salvo poche eccezioni finirono ingloriosamente.
Non te lo consiglierei, stando a quanto dice l’articolo è una coltura simbiotica tra funghi e batteri, e anche stando alla vicenda che ha raccontato Mauro, non la ricordo perchè precede la mia nascita, ma deve trattarsi di batteri e funghi ben precisi, non presi a casaccio dalla dispensa, già è un problema fare da sè un decente lievito madre figurati una cosa come questa!