La rivista francese 60 millions de consommateurs insieme alla Fondazione France Libertés creata da Danielle Mitterrand, ha realizzato un test di laboratorio alla ricerca eventuali contaminanti su 47 bottiglie di minerale e una decina di acque di rubinetto. Per la realizzazione è stato impiegato un sistema analitico particolarmente sofisticato che ha permesso di individuare tracce di 85 diverse sostanze inquinanti. I risultati sono abbastanza preoccupanti: oltre il 20% delle acque minerali (10 marche) contiene tracce di pesticidi e di farmaci. Per le acque di rubinetto le analisi hanno evidenziato presenza di sostanze inquinanti in 8 campioni su 10. In entrambi i casi si tratta di quantità minuscole, nell’ordine del nanogrammo (miliardesimo di grammo) per litro, che non sono considerate pericolose per i consumatori.
«Questi dati fanno riflettere sul concetto stesso di purezza delle acque minerali anche in riferimento alle norme di legge», affermano gli autori, sottolineando di avere ripetuto i test, dopo le proteste delle aziende imbottigliatrici che accusavano i ricercatori di aver sbagliato le analisi.
L’inquinamento anche nelle acque minerali
Durante la revisione però sono stati confermati i primi risultati e questo aspetto evidenzia una realtà ineludibile, ovvero l’impatto dell’inquinamento sull’ambiente. Ogni volta che si fanno dei campionamenti nelle acque si scoprono sostanze di ogni genere, dagli antidepressivi recentemente trovati nei fiumi della Svezia, alla cocaina presente in quelli italiani (fiume Lambro). Nei campioni presi in esame dalla rivista francese sono state trovate tra l’altro tracce di Tamoxifene, un farmaco utilizzato per trattare il tumore al seno, di vasodilatatori e diserbanti fuori legge dal 2001 ma molto persistenti come l’atrazina e l’idrossiatrazina. Viene in mente un’inchiesta del giudice Guariniello di una decina di anni fa che segnalava tracce di pesticidi e idrocarburi in diverse bottiglie di acqua minerale.
La prima conclusione è che viviamo in un mondo con un’importante presenza di sostanze chimiche, il cui impatto non è sempre prevedibile anche a causa del cosiddetto “effetto cocktail” (termine usato per indicare combinazioni ancora poco note dei vari residui di sostanze nocive). Nonostante esistano norme sulle quantità di inquinanti ammessi nelle acque da bere e che i controlli delle aziende imbottigliatrici siano costanti, non possiamo ignorare l’allarme lanciato da 60 millions de consommateurs, che ha stilato un vero e proprio “Manifesto dell’acqua potabile”.
Il testo chiede un aggiornamento della lista degli inquinanti presenti nelle acque e degli studi sugli effetti a lungo termine e una maggior diffusione dei dati relativi ai prezzi, alla qualità dell’acqua di rubinetto e alle condizioni degli acquedotti. Fino ad oggi, ricorda l’associazione francese, possiamo ancora contare su acqua sicura. Ma fino a quando?
© Riproduzione riservata Foto: Photos.com, 60millions-mag.com
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giornalista scientifica
Sconcertante e sconcertato non da questa ennesima scoperta, ma dalla sorpresa dei ricercatori e degli informatori.
Sembra un vera schizofrenia di massa.
Se tutti sappiamo, tolleriamo e ci piace lo stile di vita che conduciamo, di cosa meravigliarsi se emerge che nel cibo, nell’acqua, nell’aria che respiriamo e in tutto quello che tocchiamo, il viso e le labbra del nostro patner, i nostri capelli e quelli del nostro figlioletto, l’erba dei campi e giardini di casa nostra inclusa, contiene di ogni e di più?
Più siamo informati su quello che facciamo, più rimuoviamo la realtà, colpevolizzando gli altri che c’inquinano.
Anzitutto quoto l’analisi di Ezio. Siamo sostanzialmente un grande formicaio brulicante di bisogni e di risorse, pensare di non impattare in alcun modo l’ambiente è da ingenui. Non mi sorprende il risultato delle analisi eseguite, se le tecniche analitiche erano così sofisticate sono state in grado di rilevare quantità di inquinanti che, di norma non lo sono. Significa solo che dobbiamo sempre essere attenti, spt. , come voi fate notare, nella valutazione di eventuali effetti sinergici, che magari non sono sempre facilmente ipotizzabili, e che ogni utilizzo di prodotto di origine industriale va sottoposto a valutazioni periodiche sull’impatto ecologico e sanitario che tale utilizzo comporta. D’altronde quando vengono posti limiti lo si fa sempre con eccesso di zelo, per evitare il più possibile sorprese a posteriori. Non scordiamoci neanche che neppure la natura ci pone il vivere come attività a rischio zero, che inquinamenti da micotossine, piante tossiche e proliferazioni batteriche hanno fatto valanghe di morti in passato. E non pensiamo infine che questa sia l’età peggiore dal punto di vista della responsabilità ambientale (almeno nei paesi industrializzati) basti vederel’inquinamento da piombo al tempo degli antichi Romani, o il disboscamento da allevamento caprino dei Greci, o le condizioni igieniche nelle città medioevali, il “problema” sono le dimensioni attuali dei nostri atti. Saluti.
Infatti evitare qualunque impatto sull’ambiente è assolutamente impossibile..e molto correttamente la ricerca francese non crea allarmismi, si limita a sollevare un problema e invitare tutti-il legislatore ma anche l’opinione pubblica- a valutare le conseguenze di quanto viene fatto…