Che cosa si può mangiare serenamente in gravidanza? È rischioso consumare il prosciutto crudo? Va bene concedersi un tiramisù che è stato congelato? I dubbi sulla sicurezza alimentare in un momento particolare come la gravidanza possono essere molti. Tra i canali informativi disponibili, anche le donne incinte usano naturalmente i social network per cercare risposte e condividere i loro stati d’animo. Come si sviluppano, quindi, le conversazioni online sul tema del rischio alimentare in gravidanza? Quali consigli vengono condivisi e su quali basi fondano la loro autorevolezza scientifica?
Uno studio dell’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie (IZSVe), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Foods, ha cercato di rispondere a queste domande attraverso l’analisi dei contenuti delle pagine/gruppi Facebook dedicati alla gravidanza, esplorando in che misura le conoscenze e le percezioni dei rischi alimentari sono condivise sui social. Sono stati identificati e selezionati otto gruppi e 16 pagine Facebook con tema “gravidanza”. I contenuti presi in esame sono stati scelti in base a quattro criteri: dovevano essere in lingua italiana, pubblicamente disponibili a chiunque avesse un account, avere almeno 300 iscritti e, infine, almeno un post pubblicato negli ultimi tre mesi prima dell’inizio dello studio.
In un arco di tempo di cinque mesi, tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018, sono stati quindi monitorati e raccolti tutti i contenuti (post e relativi commenti) pubblicati sulle pagine e sui gruppi considerati. Il corpus è risultato composto da 648.399 post, che sono stati analizzati attraverso metodi quantitativi, per individuare gli argomenti trattati. Quindi, una volta selezionati i contenuti legati ai rischi alimentari, questi sono stati sottoposti a un’analisi qualitativa per individuare i processi psicosociali rilevabili dalle conversazioni. In primis è risultato evidente che il rischio alimentare non è tra gli argomenti più discussi nei gruppi dedicati alla gravidanza. Inoltre, nelle conversazioni sui rischi alimentari, si riscontrano spesso posizioni volte a minimizzare o a negare tale rischio, che possono essere sintetizzate dalla frase: “Io l’ho sempre mangiato e non mi è mai successo nulla!”. Dai post pubblicati dalle donne emerge anche il bias cognitivo noto come ‘pregiudizio dell’ottimismo’, cioè la convinzione di essere meno a rischio rispetto agli altri e che quindi difficilmente si sarà coinvolti in eventi negativi.
Negli scambi tra gli utenti, i rischi microbiologici più citati risultano salmonellosi e toxoplasmosi, mentre altri sono totalmente ignorati. Questo risultato sembra essere legato a una mancanza di conoscenza delle malattie di origine alimentare: nonostante la loro rilevanza sanitaria. Dallo studio non risulta esserci attenzione rispetto alla listeriosi e neppure rispetto alla campylobatteriosi. I contenuti codificati e le argomentazioni hanno mostrato inoltre lacune nelle conoscenze sulle modalità di trasmissione delle malattie di origine alimentare e sugli alimenti a rischio. Per sostenere le argomentazioni le utenti riportano qualche volta il parere di un esperto (quasi sempre il ginecologo), unico riferimento su questi temi.
Partendo dalle conoscenze e dalla percezione del rischio che emerge dalle conversazioni sui social network e che possono condizionare i comportamenti, la ricerca ha fornito informazioni importanti per la comunicazione sulla sicurezza alimentare rivolta alle donne in gravidanza. Una sottostima o una mancanza di conoscenza delle malattie collegate al cibo può infatti corrispondere a un aumento dell’esposizione, perché non vengono adottate idonee misure di protezione. Gli interventi di comunicazione rivolti alle donne incinte devono considerare, in modo semplice, chiaro ed esaustivo le principali patologie particolarmente rischiose durante la gravidanza che possono essere contratte attraverso il cibo, gli alimenti a rischio e le modalità di trasmissione. Risulta fondamentale considerare anche gli atteggiamenti del target e l’influenza del contesto sociale, per cercare di superare il già citato ‘pregiudizio dell’ottimismo’.
“Può per esempio essere utile sottolineare – dichiarano all’IZSVe – che è proprio lo stato di gravidanza (in cui la donna incinta si riconosce) che espone a un maggiore rischio per alcune malattie alimentari. Se la donna si considera parte integrante del ‘gruppo a rischio’ riduce il pregiudizio di essere meno esposta di altri soggetti. Le strategie da usare per la costruzione dei messaggi comunicativi possono essere molte e vanno studiate di volta in volta, in relazione agli obiettivi. I risultati dello studio pubblicato sulla rivista Foods sono utili per la costruzione di messaggi e campagne comunicazione del rischio in ambito sanitario che il nostro laboratorio comunicazione realizza per i diversi target. Nello specifico, attraverso il sito Alimenti & gravidanza, promosso anche sui social, è stata costruita una campagna che intende sensibilizzare e informare in maniera corretta sui rischi alimentari per le donne incinte e su come prevenirli”.
È importante ribadire l’importanza di affidarsi a esperti e, anche se il ginecologo è riconosciuto come la figura più autorevole per avere informazioni, vi sono altre professionalità che possono supportare le donne in questa specifica fase della vita (per esempio gli infettivologi). A queste vanno poi aggiunte le istituzioni dedicate alla sicurezza alimentare, come gli istituti zooprofilattici e le Asl. Costruire una strategia comune e una comunicazione condivisa tra istituzioni sui rischi alimentari in gravidanza permette alle donne di ricevere informazioni chiare e utili sulla dieta e sulle buone pratiche da adottare. Si conferma inoltre il ruolo critico dei social network nella ricerca e condivisione di informazioni, anche per la loro capacità di amplificare la diffusione di convinzioni errate o imprecise favorendo la disinformazione. Per questo è fondamentale che esperti e autorità competenti sfruttino anche questo canale per fornire informazioni accurate e scientificamente fondate.
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