La Commissione europea ha proposto nuove indicazioni nutrizionali per indicare che un prodotto ha rinnovato la composizione e contiene una percentuale inferiore di calorie, sodio/sale, grassi, grassi saturi o zuccheri, ma un gruppo di eurodeputati è contrario. Cerchiamo di capire la vicenda.

 

Già il Libro Bianco del 2007 prevedeva “Una strategia europea sugli aspetti sanitari connessi all’alimentazione, al sovrappeso ed all’obesità”. La Commissione aveva infatti invitato l’industria alimentare a modificare le proprie ricette in chiave salutistica, riducendo i valori di sodio, grassi, grassi saturi e acidi grassi trans e zuccheri.

 

Il Parlamento Europeo ha più volte sottolineato l’importanza di questa iniziativa nella risoluzione del settembre 2011 sulla prevenzione ed il controllo delle malattie non trasmissibili.

 

Adesso che la Commissione e gli Stati membri hanno deciso di riportare sulle etichette e nei messaggi pubblicitari – per  12 mesi al massimo – una frase che indica questa riduzione, arriva l’intoppo da autorevoli membri del Parlamento come Renate Sommer. Perché? Il fronte del “No” sostiene che la frase può risultare ingannevole perchè: il confronto può essere fatto soltanto tra alimenti della stessa categoria prendendo in considerazione una gamma di alimenti di tale categoria”(reg. CE n. 1924/06, art. 9).

 

I fautori del “Sì” sostengono che il miglioramento delle proprietà nutrizionali deve essere progressivo, per consentire ai consumatori di adattarsi agli inevitabili cambiamenti di sapore e consistenza. La nuova dicitura avrà la durata massima di un anno e serve alle imprese per programmare la riformulazione dei prodotti in chiave salutistica. Per esempio le imprese potrebbero realizzare un piano triennale di riduzione del sale: -5% sale nel 2013, -5% nel 2014, -5% nel 2015 con una diminuzione complessiva interessante.

 

Fornire informazioni sul miglioramento della ricetta originale, anziché a una media della categoria degli alimenti (come propongono alcuni eurodeputati, è facile da verificare attraverso frasi come: “questo alimento conteneva 30% di grassi, adesso ne ha solo il 20%”.

 

 Se un operatore riduce il sale nel prosciutto o nella mozzarella, i consumatori notano subito la variazione e, in assenza di informazioni adeguate potrebbero sentirsi traditi. Se il produttore spiega sull’etichetta i motivi che hanno portato a questa decisione, i consumatori possono rendersi conto dell’utilità di diminuire certi nutrienti (in linea con le raccomandazioni nutrizionali pubbliche e con gli impegni assunti dall’industria alimentare su tavoli come la ‘EU Platform for Action on Diet, Physical Activity and Health’ (Commissione europea) e ‘Guadagnare Salute’ (Ministero della Salute).

Per esempio se la Coca-Cola annunciasse l’avvenuta riduzione del 10% dello zucchero, la notizia potrebbe avere un impatto persino maggiore di quello di una linea guida ministeriale.

 

 Le piccole e medie imprese alimentari europee non sono in grado di competere su un’eventuale riduzione drastica di alcuni nutrienti, per indisponibilità di tecnologia e perché non possono rischiare un flop. L’unico possibile ingaggio di queste aziende nella “competizione salutistica” è  permettere di “entrare in punta di piedi”, facendo piccole prove senza compromettere le proprietà organolettiche dei prodotti. Dopo un anno, se l’operazione avrà avuto successo, potranno estendere l’iniziativa ad altri prodotti. 

A piccoli passi, senza obiezioni preconcette, si può fare qualcosa di meglio!

 

Dario Dongo

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Roberto La Pira
Roberto La Pira
30 Gennaio 2012 22:10

bravi

Roberto La Pira
Roberto La Pira
30 Gennaio 2012 22:11

bene