Da una parte la Food and Drug Administration, le associazioni scientifiche di medici e nutrizionisti e le organizzazioni per la difesa della salute dei consumatori. Dall’altra i produttori, che non escludono di ricorrere alle vie legali per cercare di modificare, se non di abolire, le nuove Linee guida relative all’uso della dicitura ‘sano/salubre/salutare’ sulle etichette (healthy). Lo scontro è feroce, probabilmente perché l’agenzia ha proposto criteri troppo rigidi e perché le aziende, abituate da decenni a produrre gli alimenti in un certo modo e timorose di perdere clienti abituati ai loro sapori, non hanno nessuna intenzione di cambiare. Ma ecco che cosa è successo, dall’inizio.
Nel 1994 la FDA aveva stabilito la precedente definizione della dicitura ‘healthy’: un alimento per poter essere definito tale secondo le vecchie regole doveva rispettare certi limiti per quanto riguarda il contenuto totale di grassi, grassi saturi, colesterolo e sodio, oltre a fornire almeno il 10% del fabbisogno quotidiano di almeno un nutriente tra vitamina A, vitamina C, calcio, ferro, proteine e fibre. Grandi assenti: gli zuccheri. Contemporaneamente l’agenzia aveva iniziato a pensare a un logo o un’etichetta da apporre sulle confezioni che rispettavano i criteri per poter essere definiti salutari. I produttori avevano immediatamente reagito arrivando a formulare ognuna un suo simbolo: nel 2010 erano più di 20.
A quel punto la FDA aveva commissionato un rapporto che analizzava nel dettaglio i loghi esistenti, per cercare di arrivare a un sistema di etichettatura unificato. Alla fine era stato raccomandato di adottare un simbolo che valutasse gli alimenti da zero a tre stelle (o segni di spunta) in base al loro contenuto di calorie, grassi saturi, grassi trans, sodio e zuccheri aggiunti. Ma la proposta aveva talmente terrorizzato le aziende, da spingerle a elaborare l’etichetta Fact Up Front, che prevede l’indicazione della quantità di calorie e di alcuni nutrienti, e le relative percentuali rispetto alla dose giornaliera, in maniera del tutto simile alle etichette Reference Intake europee (o al NutrInform Battery italiano), del tutto inefficaci, ma che erano state per far decadere il progetto della FDA di un logo nazionale. Ora, però, è arrivato il momento di un ripensamento generale, per allineare la definizione della dicitura ‘salutare’ con le Linee guida nutrizionali più aggiornate. Le nuove linee guida prevedono che un prodotto, per poter essere definito sano o salubre debba contenere quantità significative di ingredienti appartenenti ad alcuni gruppi alimentari (frutta, verdura, cereali, latticini, alimenti proteici) e rispettare i limiti stabiliti per determinati nutrienti, come i grassi saturi e gli zuccheri aggiunti.
Come ha fatto notare una delle nutrizioniste più ascoltate degli Stati Uniti, Marion Nestle, su Stat è necessario tenere a mente alcuni criteri importanti quali il fatto che la FDA ha, o dovrebbe avere, un solo obiettivo: tutelare la salute dei cittadini. Da questo punto di vista, fa benissimo a non tenere conto di nient’altro. Inoltre, la normativa non pone vincoli ai produttori, ma impedisce loro di utilizzare diciture o apporre loghi non sostenuti dai fatti: è una questione squisitamente commerciale, che riguarda comportamenti volontari delle aziende e che va a intaccare, eventualmente, le vendite e la pubblicità, ma non la composizione di un prodotto. Infine, la definizione di regole rappresenta un indubbio passo in avanti rispetto all’attuale giungla di claim salutistici: e nella proposta c’è anche quella di un unico simbolo, certificato FDA, ma ancora da definire.
Se il presupposto è che i prodotti debbano contenere per forza alcuni ingredienti e rispettare determinati limiti per quanto riguarda alcuni nutrienti, molti cibi oggi considerati salubri non potranno più vantare questa dicitura sulle etichette. Contemporaneamente, alimenti ultra-trasformati con decine di additivi (che non rientrano nell’elenco di cosa ci deve o non deve essere) e che però rispettino i limiti e abbiano anche gli ingredienti ‘sani’, potrebbero a ottenere senza difficoltà il permesso di usare il claim. Un paradosso da correggere, secondo Nestle: a contare di più, secondo l’esperta, è che il cibo consumato sia il più possibile semplice, fresco, composto da pochissimi ingredienti e vario, oltre a non contenere quantità eccessive di zucchero, sale e grassi poco salutari.
In un commento di oltre 50 pagine firmato dalla Consumer Brands Association, che rappresenta aziende come Coca-Cola e PepsiCo, sostiene che le nuove regole violerebbero addirittura il diritto di parola sancito dalla Costituzione statunitense. Tra le associazioni che stanno facendo sentire la propria voce, c’è anche la National Pasta Association, che rappresenta anche marchi come Barilla e De Cecco e sottolinea che, secondo uno studio (finanziato dalla stessa associazione di categoria), la pasta favorisce un’alimentazione più sana, anche perché spesso è condita con verdure. È abbastanza chiaro che, in questo caso, sarebbe eccessivo negare la possibilità di usare la dicitura.
Un ambito nel quale le regole sono meno attaccabili è quello dei sottaceti, molto presenti nella cucina statunitense, ma anche pieni di sodio. Forse non sarà più possibile scrivere sulle etichette che sono salutari, anche se sono verdure, fino a quando le ricette non saranno modificate. Lo stesso vale, per esempio, per gli yogurt che, come hanno dimostrato molti studi, contengono troppi zuccheri e additivi, così come per i cereali da colazione e le barrette di cereali (altre categorie che, con General Mills e Kellogg’s, stanno cercando di opporsi con tutte le forze) e per moltissimi prodotti da forno.
Poi c’è un caso da manuale: la linea di alimenti congelati del colosso Conagra chiamata Healthy Choice, presente sul mercato da oltre trent’anni, ma che rischia di scomparire se non adeguerà le ricette alle nuove regole (avendo la parola healthy nel marchio), cosa che l’azienda afferma di non poter fare senza alienare i consumatori. Per esempio, la sua Barbecue Seasoned Steak Dinner, nonostante rispetti i criteri delle linee guida nutrizionali americane per sodio e acidi grassi saturi, perderebbe la possibilità di usare la dicitura salutare perché contiene ben 16 grammi di zuccheri aggiunti.
Probabilmente, la guerra iniziata dalla FDA è proprio all’aggiunta non necessaria di zucchero che, come ricorda anche Nestle, è ormai pervasiva nell’industria alimentare ed è all’origine della maggior parte dei problemi con la bilancia (e con il medico) degli americani. Secondo Nestle “questo piano è forte abbastanza da togliere la possibilità a enormi quantità di prodotti venduti nei supermercati di identificarsi come ‘salutari’.” Inoltre, fanno notare alcuni, l’alternativa è qualcosa che le aziende temono ancora di più, ovvero l’introduzione di avvertenze in etichetta come quelli già presenti in diversi Paesi delle Americhe, che scoraggiano realmente dall’acquisto (come emerso in numerosi studi).
Ma la misura è molto apprezzata dalla comunità scientifica, che da almeno dieci anni chiede alle autorità una normativa specifica. Secondo il sito Stat, il fronte dei sostenitori, molto ampio, comprende l’American Society of Nutrition, l’Association of State Public Nutritionists, il Center for Science in Public Interest, l’American Heart Association, diverse Fondazioni e centri studi sull’alimentazione, tutti uniti nel combattere soprattutto l’eccesso di zucchero e sale. La bozza, che ha già ricevuto più di 400 commenti, è ancora in discussione.
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Giornalista scientifica
“Ma la misura è molto apprezzata dalla comunità scientifica, che da almeno dieci anni chiede alle autorità una normativa specifica.”. Questa comunità scientifica è molto … “lenta” nel decidere di esporsi, visto che già nel 1994 – al tempo della precedente definizione della dicitura ‘healthy’ – avrebbe potuto premere su FDA.
In Italia, i primi libri dedicati al problema dell’abuso di zucchero risalgono alla fine degli anni ’70; ciò significa che in ambito accademico il problema era già da tempo emerso.