Le etichette dei prodotti alimentari devono essere più leggibili, riportare il contenuto di grassi acidi trans e indicare il paese di provenienza. Sono questi i punti salienti della proposta di regolamento per l’informazione al consumatore approvato martedì 19 aprile dai deputati della commissione Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare (ENVI) del Parlamento Europeo.
Il voto non è conclusivo, poiché l’Assemblea di Strasburgo dovrà pronunciarsi nel mese di luglio in seduta plenaria e trovare un’intesa con il Consiglio e la Commissione , per evitare, com’è accaduto di recente per i “novel foods”, che la proposta decada e si debba riprendere tutto da capo. Il percorso della proposta è però ancora in salita perchè ci sono diversi elementi da chiarire per ottimizzzare le diciture da riportare sulle etichette e migliorare la sicurezza alimentare.
Regole uguali per tutti – Ben poca attenzione è stata dedicata al rischio che i 27 Paesi membri possano introdurre nei loro territori regole ulteriori rispetto a quelle comuni e questo elemento complicherebbe il già articolato panorama legislativo. Entro breve tempo i consumatori e gli operatori si troverebbero di fronte a variopinte discipline nazionali, anziché avere un unico sistema di etichettatura valida in tutta l’UE. Risulta difficile pensare che l’informazione “Y” sia obbligatoria sull’etichetta di un Paese A, l’informazione “Z” su un altro e così via.
Leggibilità – Si introduce un’altezza minima per i caratteri tipografici utilizzati per le diciture obbligatorie da riportare sulle etichette. Per esempio la “x” dovrà misurare 1,2 mm (0,9 mm per le confezioni con una superficie stampabile inferiore a 80 centimetri quadrati). Ma le informazioni obbligatorie sono sempre di più e un eccessivo rigore in questo senso potrebbe comportarte il trasferimento delle notizie dalle etichette ad appositi “cartellini” come quelli dei farmaci da incollare agli imballi di chewing-gum, caramelle, alici, sardine in scatola…
Informazioni nutrizionali. Il nuovo regolamento prevede la tabella nutrizionale obbligatoria per tutti gli alimenti, tranne poche eccezioni. Il Parlamento propone di aggiungere anche i valori relativi agli acidi grassi trans sebbene già nel 2008 l’Efsa – nella propria opinione sui profili nutrizionali – avesse rilevato che la loro presenza è ormai insignificante. Le chilo-calorie riferite ai 100g o a 100ml di prodotto possono venire ripetute, in modo volontario, sul fronte etichetta in un apposito riquadro e affiancate dai valori per porzione.
Ma a ben vedere il riferimento ai 100g o a 100ml può risultare problematico anziché di aiuto per il consumatore, costretto a fare una serie di calcoli per comprendere l’effettivo apporto di un cucchiaio d’olio o di 30g di parmigiano. Per esempio nel caso della confezione di chewing-gum di 70g: bisogna dividere per 100 il valore delle calorie riportato sulle etichette riferito a 100 g, moltiplicarlo per 70 e poi dividerlo per i 50 confetti contenuti nella confezione (!). Questa notizia sul frontespizio dell’etichetta non risulta né sintetica né utile, visto che i valori riferiti ai 100 g sono già presenti nella tabella nutrizionale posizionata sul retro della confezione.
Allergeni. Per garantire la sicurezza alimentare la presenza di allergeni deve essere sempre posizionata dopo la lista ingredienti – con la dicitura “contiene (nome dell’ingrediente o del prodotto)”, anche quando la presenza dell’allergene è sin troppo evidente. Nel caso di :latte, burro, formaggio …occorrerà quindi ripetere la frase “contiene: latte” anche se è del tutto ovvio.
E poi, da un eccesso all’altro, si ammette che le informazioni sulla presenza di allergeni nei prodotti non-preconfezionati possano venire fornite verbalmente, con chissà quali garanzie.
Indicazione d’origine. Il Consiglio degli Stati membri aveva assunto una posizione di grande equilibrio: indicazione obbligatoria d’origine per tutte le carni, delega alla Commissione di valutare l’impatto concreto dell’estensione di tale obbligo ad altre categorie di alimenti, in termini di costi/benefici per i consumatori e gli operatori. Con un colpo di mano dell’ultima ora, la Commissione ENVI del Parlamento ha invece proposto di imporre l’indicazione del paese o delluogo di provenienza per una serie di alimenti, oltre alle carni e agli ortofrutticoli freschi:
– latte e prodotti lattiero-caseari,
– gli altri prodotti mono-ingrediente (definiti come “ogni prodotto che contenga un solo ingrediente ad eccezione di sale, zucchero, acqua, additivi, spezie, aromi, enzimi”),
– carne, pollame e pesce ove utilizzati come ingrediente in alimenti trasformati.
Una posizione radicale, della quale potrebbero fare le spese non solo i consumatori (sui quali si ripercuoteranno almeno in parte i maggiori costi di produzione), ma anche la produzione agricola primaria e l’industria di trasformazione. Ricordando che ad esempio, nel settore degli oli vergini ed extra-vergini di oliva, l’indicazione obbligatoria dell’origine delle olive non ha portato alcun vantaggio agli olivicoltori europei né tantomeno purtroppo a quelli italiani.
Data di congelamento. Si introduce l’obbligo di citare in etichetta la data di congelamento per carni, pollame e pesce non trasformati. In questo modo si discriminano ingiustificatamente i surgelati rispetto a identici prodotti conservati in maniera diversa (es. in scatola, sotto sale), per i quali non è richiesto indicare la data di produzione.
L’Europa, che tutti noi consideriamo una fonte privilegiata di regole ragionevoli e uniformi, potrebbe all’improvviso rivelarsi il protagonista di un brutto incubo. Speriamo allora in una correzione di rotta, in direzione “buon senso”, nella fase conclusiva del dibattito.
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Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade