Etichette a semaforo: per la Francia e la Gran Bretagna sono uno strumento utile per i consumatori. L’Italia delle lobby dice no, ma intanto si diffondono
Etichette a semaforo: per la Francia e la Gran Bretagna sono uno strumento utile per i consumatori. L’Italia delle lobby dice no, ma intanto si diffondono
Valeria Balboni 14 Aprile 2017In Francia, dopo alcuni mesi di sperimentazione, il Ministero della salute ha approvato un sistema di etichette nutrizionali a semaforo. Si applica ai prodotti alimentari trasformati e sarà adottato dai produttori su base volontaria. Gli alimenti sono classificati secondo un punteggio espresso in lettere (dalla A alla E), abbinato a un colore (da verde scuro a rosso intenso), attribuito in base al valore nutrizionale, considerando i componenti “buoni” e “cattivi”. Sul fronte dei “buoni” si trovano proteine, fibre e la presenza fra gli ingredienti di frutta, verdura e frutta secca. Nel gruppo dei fattori nutritivi “cattivi” troviamo calorie, grassi saturi, zuccheri semplici e sale. Ogni componente, buono o cattivo, riceve un punteggio; la combinazione dei diversi voti permette di classificare l’alimento in una delle cinque classi (vedi foto sopra). Un sistema a semaforo simile è in uso su base volontaria dal 2013 in Gran Bretagna. In questo caso sono prese in considerazione solo le componenti classificate come “cattive” (energia, sale, grassi, grassi saturi e zuccheri), attribuendo a ogni categoria un colore verde, giallo o rosso a seconda che il contenuto sia basso, medio, oppure alto, in relazione alle quantità consigliate dalle linee guida.
Entrambe le modalità puntano a facilitare le scelte dei consumatori che reputano le etichette, complesse e poco leggibili tanto da scoraggiare anche chi le affronta con le migliori intenzioni. Queste difficoltà sono anche evidenziate dall’osservatorio sugli stili di vita Okkio alla salute del Ministero della salute, che in un recente dossier mostra come all’aumentare del grado di istruzione dei genitori diminuisce la quota di figli sovrappeso o obesi. Per diffondere una cultura della nutrizione in grado di focalizzare l’attenzione su una dieta equilibrata – spiegano gli esperti – è necessario adottare campagne di informazione efficaci, ma anche semplificare gli strumenti che permettono ai consumatori di fare scelte corrette. Per questo motivo le etichette a semaforo sono appoggiate dall’Oms. Il sistema di calcolo approvato dal Ministero della salute francese, tenendo conto anche di aspetti positivi che vanno a bilanciare i ben noti fattori negativi, è forse più complesso ma anche esaustivo. Viene applicato solamente a prodotti trasformati – quindi non al latte, all’olio o alla farina – e i risultati sono molto interessanti.
Basta prendere come esempio un alimento come le pizze surgelate per rendersi conto che non sono tutte uguali. Quelle che contengono, oltre alla mozzarella, pomodoro, salame e altri insaccati, oppure quelle ai quattro formaggi, ottengono punteggi peggiori rispetto a una pizza margherita o alle verdure. Nella foto sotto questa diversità appare in modo chiaro attraverso l’etichetta semaforo che varia dalla lettera B (pizza con verdure) alla lettera E (pizza ai 4 formaggi o salame e formaggio). Anche se confrontiamo pizze analoghe con salumi e formaggio, scopriamo che il colore varia dalla lettera B alla lettera E in relazione alla quantità degli ingredienti.
In modo analogo, gli yogurt bianchi magri si piazzano nella classe A, quelli bianchi interi, oppure magri zuccherati nella B, mentre i più golosi, zuccherati e con aggiunta di panna si collocano nella classe C, perché, oltre agli zuccheri, anche i grassi sono più abbondanti (vedi foto sotto).
Le etichette a semaforo riservano altre interessanti sorprese. Se consideriamo i cereali da colazione, nella classe A troviamo solo quelli al naturale, come i fiocchi d’avena. Tutti quelli croccanti, con cioccolato o frutta secca contengono una quantità elevata di zucchero e di grassi, quindi si piazzano prevalentemente nelle classi C e D. Osservando con attenzione si scopre che i cereali “per adulti” presentati dalle aziende come “salutari”, sono simili a quelli destinati ai ragazzini.
A questo punto è difficile sostenere che queste etichette non svolgano un ruolo efficace nel fornire informazioni semplici e complete ai consumatori, aiutandoli a fare scelte più sane. Con i semafori anche i produttori sono incentivati a riformulare le ricette, per evitare i “cartellini rossi”.
Il quotidiano francese Le Monde nella rubrica on line “Les Décodeurs” ha valutato, secondo i criteri delle nuove etichette, la composizione di 33.000 alimenti trasformati, disponibili nei supermercati francesi e sulla banca dati Open Food Facts. I risultati mettono in evidenza la povertà nutrizionale di molte categorie come la quasi totalità dei dolciumi che ricade nelle categorie D ed E, dove troviamo anche il 50% delle bevande, il 70% delle salse e il 75% degli snack salati. Le etichette verdi, A e B, prevalgono invece sui piatti pronti e nel settore frutta e verdura. Detta così il semaforo alla francese sembra una bella idea, ma non tutti sono d’accordo: da un lato diversi colossi dell’alimentare – Nestlé, Unilever, Mars, Mondelēz, Coca-Cola e Pepsi Co – hanno dichiarato di voler adottare un sistema di etichettatura analogo a quello inglese. Dall’altro la neonata Unione Italiana Food – confederazione che rappresenta 450 aziende del settore alimentare, corrispondenti a circa 35 miliardi di fatturato e 800 marchi – si schiera contro le etichette grafiche o comunque contro l’utilizzo di informazioni “sintetiche”, tese a orientare le scelte dei consumatori. In entrambi gli “schieramenti” sono in gioco grandi interessi industriali. Non si capisce perché si trovino su fronti opposti…producono alimenti diversi?
Probabilmente i big dell’alimentare preferiscono prevenire le decisioni che saranno prese a livello nazionale, mettendosi dalla parte della “ragione” e, al tempo stesso ideando un sistema di etichettatura che non li penalizzi troppo. Il Beuc (associazione di consumatori europea) segnala che la scelta di queste aziende di fare riferimento alle porzioni anziché a 100 grammi di prodotto, permetterebbe la comparsa di molti bollini gialli anziché rossi su cibi che non sono proprio da consigliare. Se consideriamo dei biscotti farciti, ricchi di zuccheri e grassi, ma facciamo riferimento a una porzione di tre biscotti, questa non risulta “eccessiva” nella dieta quotidiana e non riceve il bollino rosso. La stessa cosa se consideriamo come porzione di riferimento 100 ml di bibita zuccherata e non una lattina intera da 330 ml. Bisogna poi vedere quanti sono i ragazzini che fanno merenda con tre biscotti o che bevono solo un terzo della lattina. Far riferimento alle porzioni può essere corretto, ma la quantità deve essere stabilita in modo realistico e sensato altrimenti il semaforo diventa una presa in giro.
Il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina si è più volte dichiarato contrario al semaforo. La motivazione è sempre la stessa, l’Italia considera questo sistema un elemento distorsivo del mercato, in quanto penalizzerebbe ingiustamente prodotti anche di ottima qualità del made in Italy, fra cui molte Dop e Igp. Una ricerca condotta da Nomisma in Gran Bretagna ha rilevato che le vendite di Brie, Parmigiano e prosciutto di Parma diminuiscono se i prodotti sono dotati di etichetta a semaforo, perché questa mette in luce l’abbondanza di grassi e sale, anche se sono prodotti con ottimi ingredienti. Nel periodo preso in esame dalla ricerca sono aumentate le vendite di Parmigiano reggiano privo di etichetta a semaforo e diminuite le vendite dello stesso prodotto quando dotato di etichetta a semaforo. Questo andamento denota una certa superficialità dei consumatori, spaventati dal bollino rosso – presente, oppure no, su prodotti perfettamente equivalenti – e anche la necessità di una corretta informazione: il bollino rosso non indica che un prodotto “fa male” ma che va consumato con moderazione. L’altro elemento non considerato in questa analisi è che il semaforo è uno strumento pensato per informare i consumatori sugli alimenti costituti da più ingredienti.
In ogni caso il sistema di etichettatura, sostenuto dall’Oms, è sperimentato da anni in forma volontaria da diversi supermercati inglesi, era già da anni in uso in Francia dalla catena Carrefour e anche in Italia lo troviamo sui prodotti del Gigante (ne parleremo in un prossimo articolo) e su alcuni alimenti a marchio Despar. Non bisogna dimenticare che, per quanto complete, le valutazioni espresse dalle etichette a semaforo si basano su semplificazioni e sono un elemento che arricchisce le informazioni senza per questo sostituire la lettura dell’elenco degli ingredienti. Il sistema non considera la presenza di additivi come: edulcoranti, emulsionanti e coloranti, oppure la presenza di conservanti. Le bibite dolcificate con edulcoranti al posto dello zucchero possono ricevere un punteggio migliore rispetto al succo di mela puro che naturalmente risulta ricco di zuccheri. In modo analogo il prosciutto crudo, ricco di grassi e sale, si colloca nella classe D, insieme ad alimenti poco salutari, mentre il prosciutto cotto, e l’affettato di pollo o di tacchino, anche se addizionati di additivi, essendo meno grassi e meno salati, si collocano prevalentemente in classe C. È pure vero che i tanti dubbi dei politici e di associazioni come Coldiretti risultano pretestuose, laddove sulle etichette già ci sono i valori nutrizionali che aiutano a decodificare il prodotto, e l’arrivo del semaforo serve solo a migliorare l’informazione. In ogni caso si tratterebbe di decisioni volontarie che non comportano investimenti rilevanti.
Insomma, le etichette a semaforo sono uno strumento molto utile per rendere fruibili le informazioni nutrizionali degli alimenti trasformati, non sono così utili per alimenti “puri” come la pasta, la farina o l’olio, e non sono pensate per sostituire l’elenco degli ingredienti, che deve sempre essere letto per avere un’informazione completa. Il giudizio finale su un alimento deve tener conto di tre elementi: analisi degli ingredienti e degli additivi, valutazione nutrizionale che viene facilitata e semplificata dal semaforo e, naturalmente, la prova di assaggio.
Le etichette a semaforo adottate in Francia, chiamate Nutri-Score, sono il miglior sistema per aiutare il consumatore a capire le caratteristiche nutrizionali di un prodotto. Lo schema è molto semplice: il rosso indica un alimento da assumere con moderazione, il verde un cibo sano mentre il giallo invita a consumare il prodotto senza esagerare, per mantenere una dieta equilibrata. Le etichette sono state accolte con entusiasmo dall’OMS e dalle associazioni dei consumatori. In questo dossier di 19 pagine spieghiamo come funziona il Nutri-Score e perché nutrizionisti e società scientifiche che si occupano di alimentazione non possono che essere favorevoli all’adozione anche in Italia.
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Giornalista pubblicista, laureata in Scienze biologiche e in Scienze naturali. Dopo la laurea, ha collaborato per alcuni anni con l’Università di Bologna e con il CNR, per ricerche nell’ambito dell’ecologia marina. Dal 1990 al 2017 si è occupata della stesura di testi parascolastici di argomento chimico-biologico per Alpha Test. Ha collaborato per diversi anni con il Corriere della Sera. Dal 2016 collabora con Il Fatto Alimentare. Da sempre interessata ai temi legati ad ambiente e sostenibilità, da alcuni anni si occupa in particolare di alimentazione: dalle etichette alle filiere produttive, agli aspetti nutrizionali.
Concordo in pieno sulle conclusioni dell’articolo, con un’aggiunta che ritengo essenziale nel calcolo e valutazione nutrizionale dell’alimento.
In base ai contenuti nutrizionali più o meno salutari, va calcolata la razione consumata classica e media di quell’alimento e/o condimento, altrimenti il colore semaforico non ha alcun valore reale, ma può essere altamente distorsivo e fuorviante della realtà.
Se escludiamo gli alimenti primari puri ed i condimenti singoli, per tutte le preparazioni bevande comprese, l’indicazione semaforica può essere un buon riferimento dietetico.