Una specie di anemoni di mare, l’Actinia fragacea, potrebbe custodire una soluzione molto efficace per la degradazione e il riciclo del Pet (polietilentereftalato), il tipo di plastica più diffusa in ambito alimentare e anche tra quelle che contribuiscono in misura determinante all’inquinamento dei terreni e dei mari. I ricercatori del Barcelona Supercomputing Center, insieme ai colleghi dell’Istituto di catalisi e petrolchimica (Icp) e dell’Università Complutense di Madrid, hanno infatti identificato un enzima potenzialmente utile, che l’anemone utilizza per difendersi dai nemici esterni. Con un approccio molto innovativo, lo hanno studiato al computer per capire come migliorarlo e potenziarne l’attività.
Lo studio spagnolo
Il risultato, esposto in un articolo pubblicato su Nature Catalysis, sono due enzimi artificiali capace di degradare le microparticelle e le nanoparticelle di Pet, dotati di due attività leggermente diverse e complementari ai fini del trattamento della plastica. I ricercatori hanno semplicemente aggiunto tre amminoacidi alla proteina di partenza, chiamata fragaceatossina C (FraC), che ha un forma simile a un poro. Di conseguenza una delle due proteine sviluppate, in grado di degradare il Pet completamente, potrebbe essere ancorata a dei filtri, da utilizzare in impianti di depurazione, per eliminare nano e microplastiche di Pet. L’altra versione dell’enzima, invece, è in grado di degradare il Pet in molecole più grandi, utili da avviare al riciclo.
Altri enzimi mangia-plastica
Negli ultimi anni, per la degradazione del Pet sono stati impiegati anche a enzimi scoperti in Giappone nel 2016, le PETasi. Come illustrato in un articolo pubblicato su Science, infatti, i ricercatori dell’Università di Kyoto avevano effettuato una dettagliata indagine su 250 campioni provenienti da discariche e impianti per il trattamento dei rifiuti. Gli scienziati avevano isolato un batterio chiamato Ideonella sakaiensis, capace di degradare quasi completamente una pellicola di Pet in sei settimane, a una temperatura di 30°C. Anche se il processo era inefficiente, la scoperta dimostrò, innanzitutto, la grandissima versatilità dei batteri, che si adattano a nuove fonti di energia nel giro di poche generazioni. La plastica e il Pet erano infatti presenti da poche decine di anni nell’ambiente, ma Ideonella sakaiensis aveva imparato a sfruttarla come fonte primaria di carbonio, ottenendo dal Pet due composti innocui: l’acido tereftalico e il glicole etilenico.
Riciclo enzimatico della plastica: prospettive future
Dal 2016 alcuni impianti nel mondo hanno iniziato a sfruttare le abilità dell’Ideonella. Tuttavia l’efficienza del sistema non è mai stata ottimale a causa dei tempi lunghi necessari. Ma i due enzimi dell’anemone sono da 5 a 10 volte più efficienti e lavorano a temperatura ambiente. Inoltre, le loro particolarità li rendono adatti ciascuno a una funzione. Il primo, che riduce il polimero anche se è già in micro e nanoparticelle, potrebbe essere impiegato per filtrare le acque, degradando tutto il Pet che non si vede, ma che è spesso presente, disciolto. Il secondo potrebbe essere utilizzato per ottenere materiale grezzo da avviare al riciclo, diminuendo così la quota di plastica che finisce in inceneritore o in discarica e aumentando quella che va incontro a più cicli vitali.
Infine, i due enzimi mostrano le potenzialità di un sistema che si avvale del calcolo computazionale per progettare strutture chimiche ottimali rispetto a uno scopo specifico. In questo caso, l’obiettivo era trovare il modo di attaccare il Pet in alcuni punti vulnerabili, in modo da spezzare le lunghe catene che lo compongono ottenendo risultati (molecole) prefissati in anticipo e funzionali a un certo impiego. Lo stesso modo di procedere potrebbe quindi essere sfruttato per altre sostanze, a partire da quelle che, con un semplice aiuto chimico, potrebbero essere degradate o riciclate meglio di quanto non accada oggi.
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Giornalista scientifica