C’è una fonte di emissione di gas serra finora non considerata abbastanza nella catena alimentare: il trasporto e, in modo particolare, quello delle merci più deperibili, tra le quali svettano frutta e verdura. Lo dimostra uno dei più completi studi mai realizzati sul tema, da tempo al centro dell’attenzione, ma anche assai difficile da affrontare nella sua interezza, viste le enormi differenze nelle filiere dei diversi paesi e la quantità di merci alimentari che sempre più spesso viaggiano per il pianeta. Per superare le difficoltà statistiche, i ricercatori dell’Università di Sydney hanno analizzato i dati ufficiali di 74 paesi relativi a tutti gli alimenti e non solo a una singola tipologia, come accaduto finora nella maggior parte degli studi. Hanno così dimostrato che da questa fonte arriva circa un quinto di tutti i gas serra associati al cibo: un quantitativo molto più ampio rispetto a quanto stimato finora.
Come riportato su Nature Food, analizzando dove il cibo viene prodotto, e poi trasportato e, ancora, ulteriormente spostato, gli autori hanno scoperto che, per esempio, per il 2017, il movimento complessivo degli alimenti ha generato 3 gigatonnellate di CO2: una quantità che è tra 3,5 e 7,5 volte quella che si trovata nelle diverse stime elaborate fino a oggi. Naturalmente non tutti e 74 i paesi presi in esame hanno le stesse responsabilità: ad esempio, Stati Uniti, Germania, Francia e Giappone, alcuni dei paesi più ricchi del pianeta, da soli generano circa la metà delle emissioni associate al trasporto di cibo, nonostante entro i loro confini viva solo il 12% della popolazione mondiale.
Un’altra sorpresa viene dalle tipologie delle merci il cui trasporto è peggiore: in cima alla classifica ci sono frutta e verdura, che possono essere spostate per grandi distanze solo a temperatura controllata. Per dare un’idea, il trasporto dei prodotti ortofrutticoli genera circa il doppio delle emissioni che derivano dalla loro coltivazione ed è responsabile del 36% di tutte le emissioni collegate al trasferimento di alimenti.
Naturalmente – hanno sottolineato gli autori – ciò non significa affatto che si debba mangiare meno verdura o frutta. Dal punto di vista delle emissioni il bilancio totale resta favorevole, rispetto all’allevamento degli animali da carne. Tuttavia, è importante non consumare frutta e verdura che provengono da paesi lontani, magari solo perché fuori stagione o esotici, caratteristica che in paesi come Italia è facile da controllare, perché l’indicazione della provenienza è obbligatoria. Quindi, se si vuole avere un’alimentazione più sostenibile (e sana), la ricetta è relativamente semplice: più frutta e verdura, a provenienti da coltivazioni che non richiedono trasporto per molti chilometri.
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Giornalista scientifica
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