Pochi giorni fa l’EFSA ha reso note le nuove autorizzazioni per le diciture (claims) presenti sulle etichette dei prodotti alimentari che attribuiscono un beneficio per la salute. Non sono mancate le sorprese. L’Agenzia incaricata di esprimersi in merito a oltre 2.500 claims, ha  dato il via libera solo a 222 indicazioni e uno stop a tutti gli altri.

Tra i promossi vi sono i polioli detti anche (polialcoli), utilizzati nelle gomme da masticare perchè  riducono il rischio di carie attraverso la neutralizzazione degli acidi prodotti dai batteri cariogeni, e i prodotti che contengono calcio utili per il normale sviluppo delle ossa dei bambini. Tra i bocciati e i rimandati (in attesa cioè di ulteriori prove, conferme o smentite) troviamo il cioccolato che non “aiuta a crescere”, il tè nero che non favorisce la concentrazione, la pappa reale che non sempre migliora la vitalità del sistema immunitario, il tè verde che non ha effetti sulla pressione del sangue, il caffè che non influenza gli avvolgimenti del DNA, l’aminoacido taurina, presente in molte energy-drink, che non migliora le performance intellettuali, la glucosammina che non sembra in grado di aggiustare le cartilagini logorate, e molto altro.

L’EFSA chiamata a esprimersi si è mostrata severa e, soprattutto, sembra abbia voluto lanciare un messaggio preciso, anche a rischio di risultare eccessivamente rigida. La sintesi potrebbe essere questa: basta con le virtù terapeutiche non dimostrate attribuite ai cibi e con le distorsioni relative a caratteristiche dei nutrienti che nulla hanno a che vedere con effetti curativi o preventivi (si pensi  alle speculazioni sulle vitamine la cui assunzione  dovrebbe essere correlata a carenze dimostrate).

Risulta comprensibile la scelta dell’EFSA di utilizzare per esprimere i giudizi sulle diciture i criteri della Evidence-Based Medicine (uno studio è ritenuto attendibile solo se la ricerca che lo ha generato è stata condotta in doppio cieco e in maniera randomizzata). La sperimentazione si attua dividendo in modo casuale i partecipanti tra le diverse opzioni (compreso un placebo) senza fare sapere ai conduttori dello studio e ai partecipanti in quale gruppo si trovano. Può invece sembrare  discutibile la decisione di non ammettere gli studi osservazionali. Tra le centinaia di relazioni pubblicate ogni anno se ne trovano molte affidabili e altrettante poco credibili. Alla luce di queste considerazioni non è forse del tutto corretto generalizzare in senso negativo tutti gli studi osservazionali visto che in altri ambiti la comunità scientifica ne tiene normalmente conto, con le dovute cautele.

Comunque il criterio della Evidence-Based Medicine, oggi prevalente in molti ambiti della medicina sperimentale e adottato per quasi tutte le scelte di sanità pubblica, risulta valido anche in campo alimentare, dove è difficile capire il ruolo di un singolo elemento rispetto alla dieta, allo stato di salute, alle abitudini… In altre parole, è forse l’unico metodo per capire con ragionevole certezza se un certo nutriente ha un qualche effetto e quale: di qui la scelta dell’EFSA di giocare in difesa dei consumatori e di respingere quanto non è stato dimostrato in base a questi criteri.

Tutto sommato l’EFSA risponde al mandato conferito dalla Commissione europea, evitare che i consumatori siano condizionati nelle scelte dei prodotti alimentari da diciture infondate e, in alcuni casi, potenzialmente pericolose. Forse l’Agenzia di Parma cerca di porre un freno alla medicalizzazione del cibo, che è appunto solo cibo e non una medicina.

Agnese Codignola


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Fabio Pancrazi
Fabio Pancrazi
17 Dicembre 2011 21:02

Secondo me sarebbe urgente preoccuparsi anche della diffusione delle registrazioni come â

Dario Dongo
Dario Dongo
17 Gennaio 2012 11:38

Cara Agnese,

una precisazione sui ruoli delle Istituzioni e le procedure stabilite dal regolamento (CE) n. 1924/06: l’Efsa ha un ruolo consultivo, valuta i dossier ed esprime un’opinione. E’ la Commissione europea – con il contributo del Comitato Permanente per la Sicurezza Alimentare e la Salute Animale, cui partecipano gli Stati
membri – ad adottare un progetto di decisione, se autorizzare o meno i ‘claims" e a quali condizioni. La decisione può anche essere difforme rispetto alle opinioni Efsa, o trascurarle (come è accaduto proprio nell’elenco che descrivi, dal quale mancano diversi "claim" sui quali l’Autorità aveva espresso parere favorevole). Il Parlamento, in fase di scrutinio, si esprime sul progetto di decisione CE.

Per quanto attiene al criterio della "evidence-based medicine", basti pensare che esso non è stato adottato neppure per la validazione dell’aspirina.
Non si ricorre a tale criterio per i farmaci tradizionali di origine vegetale, e tuttavia lo si pretende per gli alimenti di uso corrente. Ciò significa, ad esempio, che il consumatore viene privato della possibilità di sapere che la camomilla o la verdana, tra le varie bustine per infuso venduti al supermercato, hanno proprietà rilassanti (perché manca il supporto del test in doppio cieco contro placebo). E invece può recarsi in para-farmacia e trovare gli stessi "claim" sui "fito-farmaci" di ben altro costo. Chi trae maggior vantaggio da questa disparità di criteri di valutazione, i consumatori o l’industria farmaceutica?

Concludi scrivendo "Forse l’Agenzia di Parma cerca di porre un freno alla medicalizzazione del cibo, che è appunto solo cibo e non una medicina". Ma se appunto il cibo è solo cibo, perchè la Commissione europea e l’Efsa applicano criteri farmaceutici ("evidence-based MEDICINE" è quello che Tu stessa riferisci) agli ALIMENTI? Studi osservazionali e tradizione d’uso non sono forse degni di considerazione anche per gli alimenti, oltre che per alcuni farmaci?
L’Efsa ha ritenuto non fondate indicazioni sulle virtù di vegetali ad alto contenuto di fibre, sempre per l’assenza del test clinico. Dobbiamo perciò credere che i nutrizionisti ci hanno sempre ingannati nel consigliare il ‘5-a-day’ (5 porzioni al giorno di frutta e verdura)? La migliore pediatria pubblica italiana ha inserito nei protocolli di svezzamento dei neonati alimenti quali il parmigiano reggiano o il grana padano. Sulla base di ricerche nutrizionali e di esperienza convalidata nel corso dei decenni. Informazioni ingannevoli anche in questo caso?

E allora, non si vuole ‘medicalizzare il cibo’ o semplicemente si vuole riservare all’esclusivo dominio dei farmaci ogni informazione attinente alla salute?
C’è una pillola per tutto, certo. Ma se un alimento può favorire il ben-essere di un gruppo di consumatori, perché negare loro l’informazione? Ah già, ci vuole la pillola. E Ippocrate, e la prevenzione attraverso uno stile di vita salutare che comprende una dieta equilibrata? Niet, salute = pillola. Ma e’ davvero così?

Francesco
Francesco
27 Giugno 2012 18:52

Trovo sconcertante che in Italia e in Europa non si possano inserire nei prodotti alimentari di tipo funzionale caratteristiche o qualità che hanno una bibliografia secolare, mentre invece possiamo imbottirci in farmacia di prodotti costosi e con effetti collaterali tra il pericoloso e il letale!
ma in che mondo viviamo?
anche questo articolo non pone l’accento sul problema e sul pericolo dove la soluzione di tutti i mali è solo ed esclusivamente comprare un costoso farmaco per la felicità delle multinazionali.
forse le carote non fanno bene alla vista ?
o i pomodori non contengono la quercetina in abbondanza, che combatte il presentarsi dei tumori?
oppure la propoli ricca di flavonoidi o sulla pappa reale di cui studi portano l’evidenza dell’attività antitumorale e di sviluppo della crescita ?
secondo queste norme non si può consigliare il miele per lenire un mal di gola !
vorrei un Europa dove il consumatore può fare una dieta sana ed equilibrata usando frutta fresca e gli alimenti che la natura ci offre e che ci hanno fatto campare per migliaia di anni e non un Europa di pillole e mezzette per i funzionari dalle industrie farmaceutiche.