Primo piano di una mano con un nastro di misurazione avvolto intorno e una forchetta nell'altra mano. Concetto di dieta e alimentazione sana

La popolare moda del digiuno intermittente, tornata di attualità nelle ultime settimane, come accade ormai da diversi anni prima dell’estate, anche per responsabilità di personaggi pubblici, offre solo esigui vantaggi, ammesso che li offra, rispetto alla normale restrizione calorica, e lo fa solo quando è declinata in uno dei tanti possibili modi.

È una stroncatura attenuata solo dalla debolezza statistica dei dati, quella che arriva dalle pagine del British Medical Journal, dove un gruppo di ricercatori della Chan School of Public Health dell’Università di Harvard (Boston) ha appena pubblicato una metanalisi di ben 99 studi di vario tipo, che hanno coinvolto oltre 6.500 persone, tutte con un indice di massa corporeo medio superiore a 31, e quindi già oltre la soglia dell’obesità, in nove casi su dieci con qualche patologia associata (diabete, malattie cardiovascolari e così via).

I confronti

Per stabilire un criterio valido, gli autori hanno identificato gli studi che avevano messo alla prova uno tra tre possibili schemi di digiuno intermittente: quello basato sullo schema 18:6, nel quale non si mangia per 18 ore consecutive; quello incentrato sui giorni alternati (uno di digiuno, uno di pasti regolari); e quello basato su due giorni interi di digiuno e cinque di alimentazione normale. Le diete sono state seguite in media per 12 settimane, ma in realtà per periodi che variavano da una settimana a un anno, indice di per sé del caos che regna in questo ambito.

Quindi hanno confrontato i risultati ottenuti da chi seguiva uno di questi schemi con quelli ottenuti da chi faceva una dieta classica con il controllo delle calorie, sia in termini di peso che per quanto riguarda i principali indicatori cardiovascolari, in tutti i casi verificando l’esito anche rispetto ai gruppi di controllo che non seguivano alcun regime specifico.

Concept di digiuno intermittente: sveglia fatta con piatto, forchetta e coltello
L’educazione del paziente è assai più efficace e duraturo, rispetto alle soluzioni propagandate come miracolose

Quale digiuno intermittente?

Il risultato è stato che solo la formula a giorni alternati sembra assicurare un lieve vantaggio sul peso, cioè una perdita di 1,29 chilogrammi in più, rispetto alle diete classiche. Oltretutto, questo dato ha un’evidenza statistica definita moderata, cioè proviene da studi abbastanza eterogenei e probabilmente non sempre ineccepibili, dal punto di vista del disegno stesso della sperimentazione, o della valutazione di quanto osservato.

Anche paragonando solo i tre tipi di digiuno intermittente, quello a giorni alternati sembra essere il più efficace perché, rispetto agli altri due, garantisce un dimagrimento superiore (rispetto allo schema 18-6 di 1,69 kg, e rispetto a quello 5:2 di 1,05 kg). Tuttavia, nessuno dei digiuni permette di perdere due o più chili in più rispetto alle classiche, e questo valore è considerato dagli autori la soglia minima per ritenere un regime alimentare efficace, in caso di obesità.

C’è poi un altro dato che induce a pensare che, al di là della forza statistica e dei chili, gli effetti siano assai blandi: i confronti danno risultati di questo tipo a prescindere dal follow up, cioè dal tempo intercorso tra la fine della sperimentazione e le misurazioni del caso, entro i primi sei mesi. Per osservazioni su periodi più lunghi, tuttavia, le differenze tra le diete ipocaloriche e i digiuni si assottigliano, e restano solo quelle tra chi fa una qualunque dieta e chi no.

Educazione e dieta

Secondo gli autori, questo è probabilmente dovuto al fatto che le persone che sono avviate a una qualche forma di alimentazione controllata sono tenute sotto osservazione e aiutate dai medici o dai dietisti e, se tutto va come ci si aspetta, nel tempo imparano a mangiare meglio, e di meno: il valore dell’educazione del paziente sarebbe dunque assai più efficace e duraturo, rispetto alle soluzioni propagandate come miracolose. Le quali, non a caso, secondo altri studi, perdono efficacia non appena le si abbandona, proprio perché non comportano un autentico cambiamento e una presa di coscienza dei propri errori alimentari.

Se poi si va a vedere la situazione dei parametri cardiovascolari, la confusione aumenta. Anche in questo caso, il digiuno a giorni alternati sembra essere più in grado di abbassare il colesterolo, i trigliceridi e le lipoproteine non ad alta densità (uno dei parametri misurati) rispetto allo schema 18:6. Tuttavia, nel confronto tra il primo e quello 5:2, il digiuno 18:6 sembra far aumentare leggermente il colesterolo e le LDL (il colesterolo cosiddetto cattivo) e le lipoproteine non ad alta intensità.

Glicemia

Non sono emerse invece differenze di alcun tipo tra i diversi schemi per quanto riguarda gli indicatori della glicemia e l’andamento delle HDL, le lipoproteine considerate positive (il cosiddetto colesterolo buono). Il fatto che questi indicatori siano stabili o in apparente contraddizione con gli altri pone ulteriori dubbi sull’efficacia dei digiuni, che non sarebbero in grado di apportare benefici reali, al di là della moderata e reversibile perdita di peso.

Come sottolineano tutti gli esperti e le società scientifiche, e come ribadiscono gli autori, solo un intervento strutturato può portare a risultati tangibili e duraturi. I digiuni possono essere utili, così come altri approcci finalizzati alla riduzione delle calorie, ma solo se inseriti in un programma articolato, ideato in collaborazione con un medico o un nutrizionista e che preveda l’educazione del paziente e la pianificazione di ciò che si mangia.

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Clay
Clay
27 Giugno 2025 10:07

Si indulge nel cibo e poi per compensare ci si sottopone a regimi mai effettivamente risultati benefici “a lungo termine”. Oppure si poltrisce 8 ore con i piedi sotto la scrivania e ci si ammazza in palestra credendo di correggere uno stile di vita sedentario. Non trovare una variazione significativa nei parametri ematici cruciali dovrebbe far riflettere. Moderazione e frugalità come base di un regime più salubre con saltuari momenti di evasione dagli schemi.

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