La carne rossa, soprattutto se lavorata e consumata con regolarità, fanno aumentare sensibilmente il rischio di sviluppare una malattia cardiovascolare, mentre un’alimentazione che dà grande spazio ai vegetali potrebbe esercitare un’azione protettiva nei confronti della sclerosi multipla. Ancora una volta, quindi, due studi diversi, pubblicati negli stessi giorni, mettono sotto accusa l’eccesso di carni lavorate, ed esaltano una dieta che ponga al centro gli alimenti vegetali, per quanto riguarda gli effetti sulla salute.
Nel primo caso, il ruolo degli insaccati nell’insorgenza di una malattia del cuore o dei vasi sanguigni è suggerito da una nuova, grande metanalisi effettuata dai ricercatori dell’Università di Oxford, pubblicata su Critical Reviews in Food Science and Nutrition. I ricercatori britannici hanno infatti scandagliato la letteratura scientifica degli ultimi 30 anni, individuando 13 grandi studi di popolazione che hanno coinvolto oltre 1,4 milioni di persone. Sono così giunti alla conclusione che dosi relativamente modeste di carne rossa, se consumate tutti i giorni, fanno la differenza. Nello specifico, per ogni 50 grammi giornalieri di manzo, agnello o maiale, il rischio cardiovascolare aumenta del 9% per le carni non lavorate, e del 18% per quelle lavorate. Non è invece dimostrabile un’associazione altrettanto stringente con il pollame.
Secondo gli autori l’abitudine, tipica dei paesi anglosassoni e nordeuropei, di includere insaccati come il bacon nella prima colazione, andrebbe dunque accantonata, se si vuole proteggere il cuore. Anche perché bisogna tenere conto di tutti i pasti consumati durante la giornata, e della relativa possibile presenza, in tavola, di altre carni rosse.
Il secondo studio, pubblicato negli stessi giorni su Science Advances, mostra un altro aspetto della questione: l’effetto protettivo di una dieta ricca di alimenti di origine vegetale nei confronti di una malattia molto grave, autoimmune, neurodegenerativa, contro la quale le terapie disponibili non sono ancora soddisfacenti, cioè la sclerosi multipla.
In questo caso, i ricercatori dell’Università dell’Iowa hanno valutato le differenze dei diversi tipi di alimentazione in modelli animali della malattia, dimostrando che più l’alimentazione prevede alimenti vegetali come i legumi, più è evidente la protezione. Tuttavia, in questo caso, gli autori hanno compiuto un ulteriore, importante passo in avanti. Hanno infatti dimostrato che, oltre a una specifica dieta, per avere una protezione è indispensabile che gli animali ospitino, nel loro microbiota, specifici batteri in grado di metabolizzare l’antiossidante isoflavone, presente nei legumi. Se così non è, l’efficacia della dieta si riduce fino quasi ad azzerarsi. Questo dato coincide con un’osservazione fatta dagli stessi ricercatori negli anni precedenti, e cioè che i malati spesso non hanno le specie batteriche in questione e, per questo motivo non metabolizzano l’isoflavone.
Questo ha due tipi di conseguenze: innanzitutto mette in luce la necessità che, oltre una dieta adeguata, vi sia un microbiota equilibrato e in salute. Inoltre suggerisce che quest’ultimo si possa correggere e che quindi, con tale tipo di interventi, si possa aumentare la probabilità di contrastare la malattia. Oltretutto, i ricercatori hanno scoperto uno specifico metabolita dell’isoflavone, generato dalle specie batteriche indagate, l’equolo, che si candida quindi a un ruolo da protagonista nel contrasto alla sclerosi multipla.
Ma a parte eventuali sviluppi terapeutici, questo studio, come il precedente, rafforza l’idea che uno degli strumenti più potenti per prevenire diversi tipi di malattie non trasmissibili sia anche uno dei più accessibili a chiunque: una dieta equilibrata, con poca carne (meglio se bianca) e moltissimi vegetali freschi e legumi.
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Giornalista scientifica
Ottimo articolo. Sicuramente da leggere per emulare.