Gli esseri umani non sono fatti per rimanere a lungo in condizioni di microgravità o di gravità zero. Quando lo fanno, come accade agli astronauti, l’organismo ne risente, in misura tanto più significativa quanto più lunga è la permanenza. Una volta tornati sulla Terra e quindi soggetti alla gravità terrestre, il sistema immunitario, le ossa, l’apparato endocrino, la muscolatura e altri organi ne portano a lungo segni che sono stati compresi solo in parte.
Per cercare di contrastare questi effetti collaterali, anche in previsione di future missioni verso Marte o di una permanenza in basi lunari che durerebbe diversi mesi, i ricercatori del Johnson Space Center della Nasa, insieme a diverse università e aziende del Texas che collaborano con l’agenzia spaziale, hanno condotto un esperimento. Il risultato è che la salute degli astronauti dipende in misura significativa da ciò che mangiano. Se la dieta ha una particolare composizione, i danni sono decisamente inferiori rispetto a ciò che si verifica con un’alimentazione standard.
Come illustrato su Scientific Reports, per verificare l’eventuale efficacia di una dieta a elevato valore nutrizionale, i ricercatori hanno condotto una serie di test e analisi su un gruppo di 16 aspiranti astronauti, dieci uomini e sei donne, che sono rimasti per 45 giorni chiusi nel simulatore Hera di Houston, normalmente utilizzato per l’addestramento, in quattro cicli effettuati tra il 2017 e il 2018. Nelle missioni, metà di loro ha consumato una dieta standard, sovrapponibile a quella in dotazione sulla Stazione Spaziale Internazionale, ma l’altra metà ha seguito una dieta ‘potenziata’, e cioè particolarmente ricca in frutta e verdura, omega-3 e pesce. Su tutti i partecipanti sono state compiute dettagliate analisi del sangue, della saliva, delle urine e delle feci (per verificare eventuali cambiamenti nel microbiota), insieme a test cognitivi. Il risultato è stato che l’alimentazione con più antiossidanti garantisce un calo dei valori di colesterolo, un abbassamento dello stress (confermato dal livello del cortisolo) e migliori performance cognitive (accuratezza, precisione e velocità di ragionamento). Oltre a ciò il regime alimentare assicura una maggiore stabilità al microbiota rispetto alla dieta standard. Non sembrano invece esserci effetti degni di nota sul sistema immunitario, ma dal momento che i partecipanti non sono stati sottoposti a sollecitazioni, perché nel simulatore non erano presenti microrganismi patogeni, è presto per capire se davvero questo elemento non sia condizionato dalla super dieta.
Interessanti i dettagli degli esperimenti. La dieta standard della Nasa di solito consiste in un apporto giornaliero di 2.500 calorie (valore medio, perché per una donna di bassa statura ne bastano 1.900, mentre per un uomo alto possono esserne necessarie 3.200), suddivise in tre pasti quotidiani che gli stessi astronauti scelgono da un menu, anche a seconda del paese di origine e delle abitudini. In genere si tratta di alimenti disidratati da preparare al momento oppure di prodotti freschi sottovuoto. L’assortimento è ampio per assicurare un apporto significativo di vegetali freschi e le giuste quantità di vitamine e minerali. Non mancano mai le spezie, perché con la ridistribuzione dei liquidi data dalla microgravità si sentono meno i sapori, e si avvertono meno le bevande calde o fredde.
La dieta ‘potenziata’ invece è strutturata su un menu con sei o più porzioni di vegetali (frutta o verdura) al giorno, due o più porzioni quotidiane di alimenti ricchi in flavonoli, tre o più porzioni di pesce ogni settimana e cinque o più piatti con pomodoro (e quindi licopene) ogni sette giorni. Il valore proteico è stato tenuto tra 1,2 e 1,7 grammi per chilo di peso corporeo al giorno, l’apporto quotidiano di calcio tra 1 e 2 grammi e quello di vitamina D pari a 800 Unità Internazionali, il sodio è stato mantenuto attorno ai 2.300 milligrammi al giorno e il ferro a circa 10.
Alla fine rispetto al gruppo di controllo, si tratta di due porzioni di frutta e verdura in più al giorno, 140 grammi di pesce in più a settimana, una porzione di pomodoro in più a settimana, più calcio, potassio, fibre e omega-3. Proteine, sodio e ferro erano simili. Nessuno aveva potuto decidere cosa mangiare, e nessuno aveva avuto il permesso di scambiare alimenti con gli altri membri dell’equipaggio, come invece accade quando durante il viaggio non ci sono limitazioni. Ciò ha consentito di effettuare i test senza che gli astronauti subissero alcun condizionamento. Sono state lasciate intatte, invece, le condizioni di immagazzinamento e preparazione del cibo.
Il risultato ottenuto è importante, anche perché, finora, la maggior parte degli studi si era concentrata sul possibile ruolo di una sostanza per volta, o al massimo di una classe di nutrienti, ma mai sull’intera dieta. Gli studi proseguiranno per mettere a punto menu sempre più adatti a mantenere gli astronauti in salute anche per lunghi periodi. Infine, è noto che la permanenza in sistemi chiusi e ristretti, con convivenze forzate, mette a dura prova la tenuta psicologica del personale. Tra gli sviluppi futuri c’è quindi anche un approfondimento sul possibile ruolo di una specifica dieta sull’umore degli astronauti.
© Riproduzione riservata Foto: Nasa
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Giornalista scientifica