Che cosa si intende, esattamente, quando si parla di diete a basso tenore di carboidrati? Questa espressione significa sempre la stessa cosa? L’importanza di queste domande va al di là dell’aspetto semantico, perché la dicitura inglese “low carb”, utilizzata per indicare regimi alimentari dove i carboidrati occupano un posto minore rispetto a quello solito, è utilizzata in linee guida, indicazioni di vario tipo ai pazienti, materiali informativi, e nei prodotti dei quali si vuole enfatizzare un basso apporto calorico.
Lo studio
Per vederci più chiaro, i ricercatori della Tufts University di Boston hanno scandagliato oltre 500 studi clinici condotti negli ultimi vent’anni, andando a verificare che cosa si intendesse, di volta in volta. Tra questi, circa la metà erano studi randomizzati e controllati, e un terzo erano stati finanziati da fonti pubbliche. La maggioranza (oltre il 62%), riguardava adulti sani che volevano perdere peso giunti nella fascia di età compresa tra i 40 e i 59 anni e che, nel 66% dei casi, erano obesi o in sovrappeso.
Un terzo di queste sperimentazioni avevano avuto come obbiettivo primario la misurazione della perdita di peso, oppure quella della composizione del corpo (massa magra, massa grassa, grasso viscerale e così via), mentre il 18,7% era incentrato sul rischio di diabete e il 12,9% su quelli cardiovascolari.
Come illustrato su Critical Reviews in Food Science and Nutrition, il 56,9% dei lavori riportava la percentuale di carboidrati rappresentata nel conteggio quotidiano delle calorie e, quasi in sei casi su dieci, l’espressione “low carb” indicava che i carboidrati fornivano meno del 30% totale delle calorie. L’altra opzione, e cioè quella di grammi di carboidrati al giorno, era invece minoritaria, e presente solo in poco più di uno studio su cinque, ma in quel caso “low carb” era quasi sempre riferito a meno di 100 grammi di carboidrati al giorno.
L’uniformità della dieta povera di carboidrati
In generale, ciò che è emerso è quindi che c’è una certa uniformità, perché nella maggioranza dei casi, “low carb” significa meno di 30% di calorie derivanti da carboidrati e, in misura minore, meno di 100 grammi al giorno, ma ci sono anche numerose eccezioni. Nel primo caso, infatti, negli studi analizzati si va da zero a 50%, mentre nel secondo i valori inferiori a cento sono estremamente variabili.
E che sia così lo ha confermato, indirettamente, uno studio uscito solo pochi giorni prima su JAMA, nel quale si voleva valutare se, a parità di “low carb”, il tipo di nutriente assunto avesse o meno influenza sulla durata dell’effetto del regime alimentare specifico, ossia la perdita di peso.
In quel caso, si è trattato dei dati ottenuti da ben 123.000 persone che avevano preso parte a tre grandi studi di popolazione, due sulle infermiere (svoltisi tra il 1986 e il 2015) e uno sul personale sanitario (1986-2018), dai quali è emerso che, a parità di dieta povera di carboidrati, se si preferiscono le proteine vegetali e in generale alimenti sani, si tiene sotto controllo il peso meglio rispetto a quando ci si basa comunque su proteine animali, in un arco di tempo di quattro anni. Ma le percentuali di “low carb”, a seconda dei casi, variavano da poco meno del 38% a poco del 60%: un intervallo decisamente troppo ampio, per poter costituire una definizione chiara e una regola facilmente applicabile.
Per questo ci sarebbe bisogno di delimitare il campo, e di decidere, a livello internazionale, che cosa significhi, almeno nei documenti ufficiali quali le linee guida, e nelle confezioni, indicare: a basso tenore di carboidrati.
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Giornalista scientifica