Tra il 2003 e il 2007, oltre 21 mila americani con più di 45 anni sono stati arruolati in un grande studio che aveva lo scopo principale di verificare le eventuali relazioni tra dieta e malattie cardio e cerebrovascolari chiamato Regards, da Reasons for geographic and racial differences in stroke. Con il coordinamento dei cardiologi dell’American Heart Association i partecipanti hanno risposto a un questionario sulla frequenza del consumo di 110 alimenti nell’anno precedente.
In questo modo è stato possibile delineare sei tipologie di abitudini alimentari. Ai due estremi dello spettro sono stati posizionati da una parte la cosiddetta dieta del Sud (basata in grande parte su alimenti poco sani, fritti, insaporiti con condimenti industriali, grandi quantità di carni rosse trasformate e non) mentre sul fronte opposto i cultori della dieta Mediterranea. Le altre categorie erano un regime alimentare basato sui dolci (dove bibite zuccherate, biscotti, dolciumi vari avevano un ruolo preponderante a livello di calorie), un altro basato sulla comodità (in cui le scelte erano dettate più che altro da cibi facili da preparare, già pronti o ordinati a domicilio, spesso ultra-trasformati e pieni di grassi, zuccheri, sali e additivi), e un terzo gruppo da persone con uno stile basato su alcol e insalate (un mix molto popolare tra gli statunitensi). Un gruppo comprendeva soggetti con una dieta a prevalenza vegetale. Per realizzare lo studio sono stati controllati, ogni sei mesi, i dati sanitari di tutti, con una particolare attenzione per quanto riguardava quelli cardio e cerebrovascolari, tenendo anche presente che, all’inizio, non erano state escluse le persone con fattori di rischio specifici o una storia di malattie coronariche.
Quindi sono state dedotte le conclusioni principali, pubblicate sul Journal of the American Heart Association, che hanno mostrato un netto rapporto tra la dieta cosiddetta del Sud e l’aumento di rischio di morte per attacco cardiaco, così come una diminuzione dello stesso rischio per la dieta Mediterranea. In cifre, chi aderiva più fedelmente al modello della dieta del Sud aveva anche un aumento del rischio del 46% rispetto a chi se ne era allontanato maggiormente, mentre chi seguiva una dieta Mediterranea aveva avuto un decremento del 26%.
Questi risultati seguono ad altri emersi dallo stesso progetto, pubblicati negli anni scorsi, che vanno tutti nella stessa direzione: quella del ruolo fondamentale della dieta nella prevenzione delle malattie non trasmissibili e, soprattutto, di quelle cardiovascolari. La maggior parte dei partecipanti è residente nella cosiddetta Stroke Belt, cioè la cintura dell’ictus, un insieme di stati dove l’incidenza di queste patologie è particolarmente alta, e la qualità della dieta particolarmente bassa: Nord Carolina, Sud Carolina, Georgia, Tennessee, Alabama, Mississippi, Arkansas e Louisiana. Ma, soprattutto, è stato dimostrato, nel 2015, che la stessa dieta del Sud è associata a un significativo aumento del rischio di morte per malattie coronariche, e nel 2018 di morte per qualunque causa.
Pur con tutti i limiti di uno studio osservazionale, basato sulle risposte dei partecipanti e su una suddivisione in tipi di dieta che, nella realtà, non è mai così netta, ancora una volta questa ricerca mette in evidenza l’importanza primaria di un’alimentazione sana, di cui la dieta Mediterranea o un regime che ne rispetti i principi fondamentali rappresenta un ottimo esempio.
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Giornalista scientifica
Quindi chi mangia spazzatura ultra-processata fritta salata grassa affogata nelle salse zuccherate, PUO’ avere un maggior rischio di morte per malattie coronariche.
Sorprendentemente una dieta basata sui vegetali, frutta, cereali integrali, legumi, pesce, poca carne e latticini genera un minor rischio.