Dopo l’allarme desertificazione lanciato dal responsabile delle Nazioni Unite per le terre aride Luc Gnacadja, i segnali della crisi alimentare in arrivo espressi dal Relatore Speciale ONU per il diritto al cibo Olivier De Schutter, la risoluzione del Parlamento europeo sulla “food security” e la comunicazione della Commissione europea contro le speculazioni finanziarie basate sulle “commodities” agricole, è arrivata la Banca mondiale a confermare che la situazione è davvero grave, e altri 44 milioni di persone sono destinate a patire la fame. Uno stimolo in più, per il prossimo G20, ad agire con determinazione e urgenza.
I prezzi che volano
I prezzi alimentari globali continuano a salire. L’indice della “World Bank” è aumentato del 15% tra ottobre 2010 e gennaio 2011, quasi del 30% negli ultimi 12 mesi. Nel secondo semestre 2010 sono volati alle stelle i prezzi di grano, mais, zucchero e oli vegetali, un po’ meno il riso. Sono accresciuti di conseguenza i prezzi della maggior parte degli alimenti di base, e ciò ha colpito soprattutto i Paesi che dipendono dalle importazioni e non godono di economie fiorenti. Prendiamo qualche esempio:
-grano. Un insieme di fattori – “shock” climatici (es. inondazioni in Australia, gelo in Cina), restrizioni alle esportazioni (es. Russia), aumento della domanda per esigenze di accumulare riserve in previsione di situazioni di instabilità politica (Medio Oriente e Nord-Africa), riduzione della produzione per risparmiare acqua (Arabia Saudita) – ha spinto a gennaio 2011 il prezzo del grano oltre il doppio rispetto a quello di giugno 2010. Aumenti a cascata su pane e altri cibi a base di grano, nello stesso periodo: Kyrgyzstan (+54%), Bangladesh (+45%), Tajikistan (+37%), Mongolia (+33%), Sri Lanka (+31%), Azerbaijan (+24%), Afghanistan (+19%), Sudan (+16%), Pakistan (+16%). Breve digressione: il mondo arabo acquista circa un terzo del grano sul globo, e si prevede arriverà al 40% nei prossimi 10 anni. Un fattore di aggravamento, se non una concausa, delle recenti rivolte in Marocco-Algeria-Libia-Tunisia-Egitto-Barhein-Yemen
-mais. Tra giugno 2010 e gennaio 2011 il prezzo del mais è salito del 73%, in questo caso per merito di errori di previsione sui raccolti, la scarsità delle riserve (in USA, ai livelli più bassi dal 1995), il legame col mercato del grano, la crescente domanda di biocarburanti. Quando aumenta il petrolio, si impenna la domanda di mais per produrre etanolo (che già nel 2008-2009 in USA assorbiva il 31% dei raccolti, ma arriverà al 40% nel 2010/11). A questo si aggiunge l’aumento della richiesta di sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio dal Messico, quale alternativa economica allo zucchero il cui prezzo è pure salito rapidamente. Quali le previsioni per i prossimi mesi? Difficile a dirsi, molto dipende dall’esito dei raccolti in Argentina, ove la stagione è inusualmente secca per effetto di “La Nina”, dall’andamento della domanda cinese nel 2011, dalle traiettorie dei listini di petrolio e zucchero. E’ tutto interconnesso: l’ascesa del granturco porta con sé quella dei mangimi e, a cascata, quella delle carni e di parecchie altre categorie di alimenti trasformati
-zucchero e oli vegetali. Il prezzo dello zucchero é aumentato del 73% tra giugno e dicembre 2010, per via delle ridotte messi in Brasile, il primo produttore, e degli allagamenti in Australia. Anche i prezzi degli oli vegetali sono saliti, a causa della prolungata siccità in Brasile e Argentina – i quali insieme realizzano il 45% della soia mondiale – e delle piogge eccessive sulle coltivazioni di palma da olio in Malesia e Indonesia. Visti gli aumenti a due cifre di queste derrate essenziali, alcuni Stati hanno abbattuto i dazi sulle importazioni (come l’Algeria), altri hanno introdotto sussidi alle produzioni locali (Indonesia)
-riso. Anche se la produzione è stata buona, e la Tailandia ha immesso sul mercato grandi quantitativi di riso, le dichiarazioni dei grandi Paesi importatori di voler considerevolmente aumentare le loro scorte (Bangladesh e Indonesia) hanno fatto segnare in diversi Paesi incrementi di prezzo non trascurabili, nel secondo semestre 2010: Vietnam (+46%), Burundi (+41%), Indonesia (+19%), Bangladesh (+19%), Pakistan (+19%), Sri Lanka (+12%), Cina (+9%).
-altri alimenti essenziali. L’inflazione alimentare registrata in India a dicembre 2010 è pari al 18,3%, in relazione all’aumento di frutta e verdure, latte, carne e pesce. Simili i dati sono arrivati della Cina. Nella seconda metà del 2010, i prezzi dei legumi sono sostanzialmente cresciuti in Burundi (+48%), Camerun (+43%), Kenya (+38%), Uganda (+22%). In Mongolia, a seguito di una zoonosi epidemica, la carne di montone è aumentata del 32% tra il 2009 e il 2010.
Fame e malnutrizione
La Banca Mondiale ha applicato alla situazione attuale il modello statistico già utilizzato nel 2008 per valutare l’impatto della crisi alimentare sulla povertà delle popolazioni e stima che la povertà estrema (vale a dire vivere con meno di 1,25 dollari al giorno) vada ora a investire altri 44 milioni di esseri umani nei Paesi a basso e medio reddito.
L’aumento dei prezzi alimentari e della povertà determina malnutrizione, in quanto i più poveri mangiano meno e sostituiscono i cibi più nutrienti e costosi con altri di minor pregio. Le conseguenze sono particolarmente gravi per i lattanti e neonati, come per le donne incinte. Paradossalmente la minore capacità di acquisto favorisce anche l’obesità: si prende a esempio il Messico, dove l’esigenza di risparmio sullo zucchero si traduce nella sua sostituzione con lo sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio, gravemente indiziato di stimolare l’aumento di peso.
Il Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick non usa eufemismi: “I prezzi alimentari stanno raggiungendo livelli pericolosi e minacciano decine di milioni di poveri in tutto il mondo. Il rialzo improvviso dei prezzi sta già spingendo milioni di persone nella povertà estrema, sottoponendo a indicibile pressione i più vulnerabili che spendono più della metà dei loro guadagni nel cibo.”
Che fare
Secondo Zoellick bisogna subito introdurre misure idonee sia a stabilizzare i mercati – come vincoli alle speculazioni finanziarie, la pubblicazione di dati accessibili e affidabili sull’entità delle scorte (per evitare i fenomeni di “panic buying”), limiti ai divieti di export – sia ad attrezzare le “reti di sicurezza” (ricostituzione delle scorte alimentari, aiuti agli indigenti). Il “Global Food Crisis Response Programme” sta già offrendo un supporto di 1,5 miliardi di dollari a 40 Paesi a basso reddito, con una possibile ricaduta su 40 milioni di persone. L’assistenza si concretizza nella fornitura di sementi, contributi per l’irrigazione, aiuti ai produttori e cibo ai bisognosi. Certo, se la distribuzione degli aiuti fosse assolutamente equanime si tratterebbe di 37,5 dollari pro-capite: poca cosa rispetto ai sussidi offerti in UE per l’allevamento di un bovino, pochissima rispetto ai costi delle migrazioni clandestine nei Paesi donatori.
Zoellick sottolinea poi la necessità di organizzare una strategia di medio e lungo termine per sottrarre le popolazioni agli effetti di crisi che, è ormai chiaro, hanno assunto un carattere strutturale e non più soltanto episodico: investimenti per aumentare la produttività di un’agricoltura locale sostenibile, introdurre nuovi strumenti per la gestione del rischio (per esempio scorte di emergenza da affidare a enti sovranazionali), tirare il freno dei “biofuel”, adattare le condizioni di vita e di produzione al cambiamento climatico in corso (l’ultimo decennio è stato il più caldo dall’anno 0 ad oggi).
Per maggiori informazioni:
http://www.oxfam.org/en/campaigns/agriculture/food_prices
© Riproduzione riservata. Foto: Fotolia
Siamo un sito di giornalisti indipendenti senza un editore e senza conflitti di interesse. Da 13 anni ci occupiamo di alimenti, etichette, nutrizione, prezzi, allerte e sicurezza. L'accesso al sito è gratuito. Non accettiamo pubblicità di junk food, acqua minerale, bibite zuccherate, integratori, diete. Sostienici anche tu, basta un minuto.
Dona ora
Avvocato, giornalista. Twitter: @ItalyFoodTrade