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Già a 3-4 anni, il 62% era disposto ad assaggiare pietanze nuove e mai viste, e questa attitudine si manteneva pressoché costante

Se dipendesse davvero da loro, i bambini mangerebbero meglio di quanto fanno. E, forse, sarebbero anche un po’ più magri e in forma. L’indicazione emerge da un’indagine che la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) ha condotto su 800 piccoli fra i 3 e i 9 anni, con un questionario che mirava a valutare la loro idea del cibo e del mangiare.

 

Lo studio è stato condotto in Puglia, «perché in questa regione la prevalenza dell’obesità e del sovrappeso in età infantile raggiunge il 40 %, contro una media italiana del 33 % circa» spiega Piercarlo Salari, pediatra milanese e responsabile scientifico del progetto. «L’obiettivo era capire come possiamo impostare una campagna per una corretta alimentazione, basata sulla percezione reale che i diretti interessati hanno dell’argomento, e non su sensazioni provenienti dal mondo degli adulti, che possono essere sbagliate».

 

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Fra i 3 e i 4 anni di solito associano il concetto del mangiare a un certo piatto; più tardi prevale l’idea dei sapori

L’analisi delle risposte mostra che gli adulti sbagliano abbastanza di frequente. «Abbiamo notato che, a differenza di quanto di solito riferiscono i genitori, i bambini non hanno una vera preferenza per dolci, ma considerano altrettanto buoni i cibi salati» dice Salari. «Inoltre, non è affatto vero che non amano la varietà». Già a 3-4 anni, il 62 per cento era disposto ad assaggiare pietanze nuove e mai viste, e questa attitudine si mantiene pressoché costante anche fra i più grandicelli. «Il problema, spesso, è che sono i genitori a proporre menù poco vari, magari per comodità o per seguire i propri gusti, e non quelli dei figli» dice l’esperto.

 

Ma l’indagine contiene anche qualche conferma, come la teoria secondo cui aumentando gli anni bambini elaborano un’idea sempre più complessa del cibo. «Fra i 3 e i 4 anni di solito associano il concetto del mangiare a un certo piatto; più tardi  prevale l’idea dei sapori» prosegue il pediatra. Un’altra differenza sostanziale fra le età considerate è che i più piccoli associano la parola dieta all’idea della crescita, mentre a partire dall’età scolare lo stesso termine richiama alla mente un sacrificio. «Questo riflette senz’altro le preoccupazioni dei genitori, che nei primi anni di vita del figlio sono di solito troppo orientati a nutrirlo affinché aumenti di peso, poi invece sono preoccupati per l’eccesso di peso» dice l’esperto.

 

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Si riscontra la tendenza della progressiva riduzione delle ore dedicate all’attività fisica con il progredire dell’età

Lo studio ha preso in esame anche alcuni stili di vita che favoriscono l’obesità infantile. «L’abitudine a guardare la televisione a tavola è piuttosto comune (lo fa il 53-58 per cento dei bambini), tuttavia, anche in questo caso, spesso non sono i figli a volerla tenere accesa, ma gli adulti» prosegue il pediatra. Si riscontra infine la tendenza, rilevata anche da studi precedenti, della progressiva riduzione delle ore dedicate all’attività fisica con il progredire dell’età.

«Lo studio andrà approfondito con nuovi dati – conclude Salari – e solo in seguito potremo usare i risultati per predisporre iniziative indirizzate ad una corretta alimentazione nell’infanzia». Di certo, però, l’obiettivo di tali campagne non saranno solo i bambini, ma anche i genitori.

 

Margherita Fronte

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