Rispetto agli altri paesi europei, l’Italia sta registrando un numero molto più alto di casi di COVID-19, l’infezione causata dal nuovo coronavirus Sars-CoV-2. Perché? Di questo e di tanto altro parla Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute e membro italiano del Consiglio esecutivo dell’Oms, in un’intervista realizzata il 2 marzo da Giovanni Rodriquez sul sito Quotidiano Sanità, che riprendiamo integralmente.
L’intervista a Walter Ricciardi di Quotidiano Sanità
“Per lasciarci alle spalle il ‘pericolo’ coronavirus sarà necessario attendere almeno maggio-giugno”, la previsione è del professor Walter Ricciardi, membro italiano del Consiglio Esecutivo dell’Organizzazione mondiale della Sanità e consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza che in questa intervista esclusiva disegna quali potrebbero essere gli scenari prossimi futuri dell’epidemia in corso in Italia.
Professor Ricciardi, prima di tutto proviamo a far chiarezza sui numeri. Si continua a parlare di casi confermati, casi sospetti, casi ancora da confermare… Ma quali dovrebbero essere comunicati e da chi, per non fare confusione?
Non ho dubbi in proposito, la fonte dei dati deve essere unica: il ministero della Salute. A lui e solo a lui dovrebbe spettare la comunicazione ufficiale dei casi confermati e per casi confermati dobbiamo intendere quelli già vistati dal secondo esame da parte dell’Iss.
Ma fino ad oggi in realtà i dati provengono da più fonti…
È vero. Finora sono stati e sono tuttora comunicati dati sui contagi rilevati dalle Regioni che li comunicano autonomamente ancor prima di aspettare la convalida dall’Istituto superiore di sanità. Così non va: come ho già detto, dati di questa rilevanza andrebbero comunicati e gestiti da un unico interlocutore nazionale. Qual è l’organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale? È l’Istituto superiore di sanità. Dovrebbero essere loro a convalidare i dati ed il ministero della Salute a comunicarli. Questa è la mia proposta che fa fatica ad imporsi per la difficoltà nel coordinare tante regioni.
Ma se al momento abbiamo un 100% di riscontri tra analisi delle Regioni e convalida da parte dell’Iss, non è che alla fine si tratterebbe solo di far slittare di qualche giorno un’informazione comunque già nota?
Sì, è corretto. Le differenze potrebbero essere minime ed il tutto potrebbe portare solo ad una maggiore diluizione temporale nella comunicazione dei dati. Ma il punto non è “nascondere” i dati il punto è, lo ripeto, gestirli e comunicarli con ordine e da un’unica fonte istituzionale.
Passiamo ora alla questione dei decessi. Anche ieri sera durante la conferenza stampa di aggiornamento della Protezione Civile è stato ribadito che sarà l’Iss a effettuare l’analisi. Potremmo scoprire che queste persone sono morte per cause diverse dal virus?
Questo è molto probabile. Però è chiaro che in Italia dal punto di vista medico-legale l’accertamento di morte è di competenza del medico legale. Questo compito non spetta all’Istituto superiore di sanità. Dopo l’accertamento da parte del medico legale ci potrebbe però essere un parere dell’Istituto. Si tratterebbe quindi di un parere, non di una conferma. Ricordiamo che, ad esempio, nell’influenza sono 300 i casi di decesso diretti ed 8.000 gli indiretti. Sarebbe un modo per ‘vidimare’ le cause di morte diretta o indiretta.
Potrebbe così calare il numero dei morti o in epidemiologia si conteggiano comunque tutti i decessi come per influenza?
Si conterebbero in ogni caso tutti i decessi, esattamente come avviene per l’influenza.
Quali sono gli indicatori che devono mutare affinché si possa decretare la fine della quarantena per le zone rosse (11 comuni) e le Regioni interessate?
L’appiattimento della curva epidemica. Fino a quando continueranno ad aumentare i casi è chiaro che queste misure dovranno continuare ad essere mantenute. Il discorso più delicato è proprio quello delle zone rosse. In quel contesto per rivedere le misure di contenimento la curva epidemica dovrebbe abbassarsi, allineandosi almeno a quella registrata al di fuori dei suoi confini. A quel punto verrebbe meno il senso di due protocolli di contenimento diversi. Bisogna che ci sia un numero di casi ridotto perché si blocchi la trasmissione del virus.
E per arrivare a questo sarà necessario attendere ancora molto tempo secondo lei?
Penso che ci vorrà ancora tempo, sì. Se si calcola che per la Sars – meno contagiosa di questo nuovo coronavirus – la fine dell’epidemia si è raggiunta solo verso maggio-giugno, questa diventa la soglia più probabile di attesa necessaria.
Nei giorni scorsi ha destato molto scalpore il dato dell’Oms che ha parlato di 24 casi di coronavirus esportati dall’Italia in 14 Paesi, è corretta l’affermazione? Si può parlare di esportazione italiana, legata quindi al ceppo del virus isolato dall’Ospedale Sacco oppure il virus è ormai già in circolazione globalmente indipendentemente da quanto sta accadendo in Italia?
Io su questa storia del ceppo italiano sono estremamente scettico. Mi spiego… sappiamo che esiste questo nuovo coronavirus che sta già circolando a livello mondiale. Che poi questo possa avere delle piccole variazioni genetiche può essere una questione con una sua rilevanza solo in termini di ricerca, ma per quanto riguarda la sanità pubblica è un dato ininfluente. Si tratta comunque di un’unica catena di contagio, la circolazione sta diventando ormai pandemica non certo a causa di quello che sta avvenendo in Italia. Noi in questo momento sappiamo che dobbiamo continuare ad insistere sulle misure di contenimento per poi eventualmente passare ad una fase successiva di mitigazione.
Il professor Galli sosteneva che il virus possa aver circolato sotto traccia in Italia da qualche settimana, prima che venissero messe in atto le misure di limitazione dei voli dalla Cina. Conferma questa ipotesi?
Sì, a mio parere questa è una tesi che ha una sua plausibilità.
Proviamo a mettere un punto sulla questione asintomatici e tamponi. Con le nuove indicazioni si rischia di sottovalutare il rischio di trasmissione del virus da parte di soggetti asintomatici?
Non è epidemiologicamente plausibile che l’Italia abbia chiuso i voli dalla Cina e conti più di 1.000 casi mentre la Germania che non li ha chiusi, alla stessa data, ne conti 100. Se poi consideriamo che da noi sono stati effettuati più di 21.000 tamponi e in Germania meno di 1.000, quale differenza salta all’occhio? Che in Italia sono stati fatti più test per far emergere la malattia, mentre Germania e Francia si sono comportate diversamente. A tutto questo dobbiamo aggiungere che l’influenza da coronavirus presenta nell’80% dei casi gli stessi sintomi di un’infezione respiratoria acuta di grado lieve, ed ha anche lo stesso decorso. Dunque la differenza qual è?
Ce la spieghi…
La differenza è che qui abbiamo dato un nome ad oltre 1.000 casi di sindrome influenzale chiamandola COVID-19 mentre in Germania e Francia hanno continuato a chiamarla influenza. Aggiungiamo poi che in quell’80% dei casi le misure intraprese sono le stesse, sia che si chiami COVID-19 sia che si chiami influenza comune. Le uniche vere conseguenze della sovradiagnosi italiana, o più correttamente della sottodiagnosi francese e tedesca, sono che in quei posti le persone sono serene e stanno iniziando a preoccuparsi solo ora. Ma l’immagine di questi paesi a livello internazionale è ben salda e le economie reggono, mentre qui in Italia, agli occhi dell’Europa, siamo diventati degli ‘untori’.
Quindi possiamo dire che si è sbagliato qualcosa nella comunicazione istituzionale sovradimensionando da subito il fenomeno?
Possiamo dire che abbiamo sovradimensionato il problema facendo tutti questi tamponi. Quando dico che abbiamo sovrastimato, non voglio far passare l’idea che abbiamo sbagliato le diagnosi, ma semplicemente che con un numero così alto di tamponi abbiamo fatto emergere prepotentemente il problema in maniera anticipata rispetto a Germania e Francia. Noi anticipando questa emergenza ci siamo esposti alla pubblica opinione mondiale. Ma in realtà penso che la situazione italiana sia del tutto analoga a quella francese e tedesca.
L’Italia non è l’anomalia d’Europa insomma.
No. Se si fanno 21.000 tamponi da noi, mentre in Francia e Germania se ne fanno meno di mille, qual è la differenza tra questi paesi?
Che a maggiori controlli in Italia è conseguito un maggior numero di casi riscontrati…
Esattamente, e credo che molto probabilmente non abbiamo un numero di casi di coronavirus così maggiore rispetto a quello realmente esistente negli altri due paesi.
Scusi ed in UK? Qui sono stati eseguiti migliaia di tamponi ma il numero di positivi è rimasto contenuto.
L’Inghilterra ha fatto circa 7.000 tamponi, è vero. Ma c’è anche qui una differenza importante rispetto a quanto fatto in Italia. Lì hanno deciso da subito di eseguirli esclusivamente su soggetti sintomatici ed hanno mantenuto in maniera coerente questa linea.
A questo punto come potremmo uscire da questa situazione per far riprendere al Paese la vita normale?
Dobbiamo agire contemporaneamente su due direttive principali: il contenimento, per evitare che da quei focolai di Lombardia, Veneto ed una parte dell’Emilia Romagna l’infezione si diffonda massicciamente alle altre regioni; e poi dobbiamo rafforzare assolutamente la capacità di risposta, soprattutto della Lombardia che è quella più colpita. Non ci sono altre strade, questa è l’unica via da percorrere.
Rafforzare la capacità di risposta, come?
Incrementando i posti letto di terapia intensiva e di terapia subintensiva per fronteggiare il massiccio afflusso di pazienti che, soprattutto in Lombardia, aumenta a vista d’occhio. Si deve poi iniziare ad allertare le altre regioni perché si inizino a preparare ad essere anch’esse coinvolte.
Noi abbiamo una popolazione tra le più anziane del mondo. Sappiamo che il più consistente numero di decessi e di ricoverati in terapia intensiva appartiene alla fascia di età degli over 65. L’Italia è più esposta sotto questo profilo?
Assolutamente sì. La demografia che caratterizza la nostra popolazione ci espone sicuramente a rischi maggiori.
Da ieri in molti si appellavano al richiamo in servizio dei medici in pensione per rispondere all’emergenza. Potrebbero però essere più soggetti a rischi proprio per una questione anagrafica?
Siamo tutti esposti al rischio. È chiaro che nella maggior parte dei casi è diverso se il virus contagia un 40enne o un 70enne, anche se bisogna dire che pure i giovani non sono indenni. Quello che è molto evidente è che i soggetti al di sotto dei 20 anni sono quelli che se la cavano meglio.
Ma possiamo anche dire che i medici ‘anziani’ sono più esposti a rischi?
Possiamo semmai dire che in emergenza tutto è consentito. Non solo questo.
E cos’altro?
In carenza di mascherine Ffp2 e Ffp3, anche l’Oms ha chiarito che si può ricorrere alle normali mascherina chirurgiche. Questo parere nei prossimi giorni lo chiariremo ancora meglio. In ogni caso c’è un’oggettività rispetto al fatto che se vieni contagiato in età avanzata sei certamente più vulnerabile. Dovendo però fare i conti con un’emergenza e, contemporaneamente, con la scarsità di personale sanitario, si può pensare di dover necessariamente ricorrere ad una decisione di questo tipo.
Non è che globalmente abbiamo esagerato nel dare tutta questa importanza ad un virus forse non più pericoloso di tanti altri? Fosse accaduto 20 anni fa, senza la diffusione dei social e questa infodemia, ci sarebbe stata la stessa reazione?
Penso che la verità stia nel mezzo. Sicuramente questa è la prima epidemia del mondo globalizzato, con i social, e in cui la velocità della comunicazione è superiore anche a quella dei virus. Però non c’è dubbio sul fatto che questa non sia una malattia da poter sottovalutare. Parliamo di un virus che ha delle caratteristiche molto insidiose: è altamente contagioso, ha una letalità non alta ma neanche trascurabile, ed è abbastanza persistente. Colpisce soprattutto gli anziani, ma non è trascurabile anche l’effetto sui giovani. Quindi, in ogni caso, non va preso sottogamba.
Giovanni Rodriquez – Quotidiano Sanità
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Buongiorno. Non so voi ma io ho, anche in questa occasione, l’impressione della inesistenza di questa fantomatica europa. Non c’è mai. Non ho capito cosa ci stiamo a fare in questa disorganizzazione (chiamarla disorganizzazione è un eufemismo, infatti non si può neanche usare tale termine per un qualcosa che non esiste).