Coronavirus: tampone ai sanitari e a chi ha avuto contatti a rischio. Appello di Gimbe, Istituto tumori Regina Elena e San Gallicano di Roma
Coronavirus: tampone ai sanitari e a chi ha avuto contatti a rischio. Appello di Gimbe, Istituto tumori Regina Elena e San Gallicano di Roma
Roberto La Pira 23 Marzo 2020
AGGIORNAMENTO IN TEMPO REALE SUI CASI DI CORONAVIRUS
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In Italia nel corso dell’epidemia da coronavirus 4.824 operatori sanitari hanno contratto l’infezione. Si tratta del 9% delle persone contagiate, oltre il doppio rispetto al 3,8% dei casi riscontrati in Cina come si legge su JAMA. Secondo Nino Cartabellotta presidente della Fondazione Cimbe si tratta di un dato anomalo visto che «Un mese dopo il caso 1 di Codogno , i numeri dimostrano che abbiamo pagato molto caro il prezzo dell’impreparazione organizzativa e gestionale all’emergenza: dall’assenza di raccomandazioni nazionali a protocolli locali assenti o improvvisati; dalle difficoltà di approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale (DPI), alla mancata esecuzione sistematica dei tamponi agli operatori sanitari». Tutte queste attività, inclusa la predisposizione dei piani regionali, sono previste dal “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale” pubblicato dopo l’influenza aviaria del 2003 dal ministero della Salute e aggiornato al 10 febbraio 2006.Questo piano avrebbe dovuto essere adottato il 31 gennaio subito dopo la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale.
«La mancanza di policy regionali univoche sull’esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari, conseguente anche al timore di indebolire gli organici – continua Cartabellotta – si è trasformata in un boomerang. Gli operatori sanitari infetti sono stati purtroppo i grandi e inconsapevoli protagonisti della diffusione del contagio in ospedali, residenze assistenziali e domicilio di pazienti». Per questa ragione la Fondazione Gimbe invita tutte le Regioni, sulla scia di quanto già deliberato in Emilia Romagna e Calabria, a mettere in priorità assoluta l’esecuzione di tamponi a tutti gli operatori sanitari, sia in ospedale, sia sul territorio, con particolare attenzione ai professionisti coinvolti nell’assistenza domiciliare e nelle residenze assistenziali assistite, oltre che in case di riposo.
L’auspicio è che l’Istituto superiore di sanità riveda il documento per garantire la massima protezione di professionisti e operatori sanitari, che tutte le Regioni dispongano di effettuare i tamponi a tutti gli operatori in prima linea contro l’emergenza e che la fornitura di mascherine per medici, operatori sanitari e pazienti sia adeguata.
Analogo l’appello rivolto da Gennaro Ciliberto (direttore scientifico Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma) e Aldo Morrone (direttore scientifico Istituto dermatologico San Gallicano Roma) in una lettera pubblicato sul sito Quotidiano Sanità. Bisogna cambiare la strategia perché i provvedimenti adottati sino ad ora non bastano. “E’ opportuno intraprendere un’azione di screening per il contagio per tutto il personale sanitario, benché asintomatico, per identificare anche in questo caso i soggetti portatori e metterli in quarantena a casa fino al momento della loro negativizzazione. Ciliberto e Morrone ritengono “necessario ricorrere ad un diverso approccio rispetto a quanto fatto finora per identificare le persone contagiate e fare in modo che entrino in una stretta quarantena. E come? Con una nuova strategia che prenda ispirazione dall’evidenza scientifica ormai ben comprovata sia da pubblicazioni su riviste internazionali di alto livello, identificando i portatori sani del virus perché possono essere diffusori della malattia”.
“Per identificare i portatori sani – continuano Ciliberto e Morrone – occorre fare i tamponi sui sospetti portatori asintomatici, e farlo in maniera molto mirata. E’ ovvio che è impossibile ma anche non necessario fare tamponi su 60 milioni di cittadini, e oltretutto, ripeterli nel tempo in quanto non è detto che la negatività in un giorno non diventi positività nei giorni successivi. Occorre seguire un criterio razionale, che è quello di andare a “tamponare” tutte le persone con cui i nuovi malati sintomatici e positivi al test sono stati in contatto negli ultimi giorni. E, qualora alcuni di essi risultassero positivi, tenerli sotto osservazione a casa ed evitare che abbiano ulteriori contatti con altre persone, inclusi i familiari. È necessario un cambio di strategia perché finora i tamponi sono stati eseguiti solo a soggetti sintomatici che arrivano in ospedale in condizioni di malattia già conclamata. Bisogna pianificare un aumento dei tamponi da prelevare e dei test da effettuare seguendo questi criteri, con un adeguato investimento di risorse che dovrebbe diventare di assoluta priorità.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.