In una lettera aperta al presidente del Consiglio Conte e alle Regioni, 292 scienziati italiani propongono di costituire una rete nazionale di laboratori di ricerca per contribuire a fermare il coronavirus. Direttori di istituti di ricerca e laboratori universitari mettono a disposizione della comunità risorse tecnologiche e le competenze dei ricercatori per eseguire i test sui tamponi, ampliando così la capacità diagnostica del paese e poter testare per il Covid-19 tutto il personale sanitario e i lavoratori dei servizi essenziali a contatto con il pubblico.

Ecco la sintesi della lettera aperta realizzata da Adnkronos:

I modelli matematici delle curve di contagio e le analisi dirette sulle popolazioni colpite indicano l’esistenza di una percentuale di soggetti asintomatici o con sintomi lievi molto elevata sul totale dei contagiati. È stimato che queste infezioni non documentate abbiano una potenzialità di contagio per individuo pari a circa la metà rispetto alle infezioni documentate clinicamente. Pertanto i soggetti non sintomatici o lievemente sintomatici non solo non sono innocui dal punto di vista della diffusione del contagio, ma di fatto rappresentano la sorgente principale di disseminazione del virus nella popolazione. Appare quindi evidente come l’identificazione precoce di casi asintomatici o paucisintomatici e l’immediato isolamento degli stessi e dei contatti diretti possano consentire un’efficace riduzione della diffusione dell’epidemia.

Pertanto le attuali strategie di contenimento basate sulla identificazione dei soli soggetti sintomatici non sono sufficienti alla riduzione rapida della estensione del contagio nelle popolazioni affette. D’altra parte l’estensione a tappeto dei test diagnostici non è una strategia percorribile per l’ampiezza della popolazione interessata, la limitata disponibilità di kit prontamente utilizzabili e i pochi laboratori autorizzati ad eseguire i test.

laboratorio
292 scienziati italiani propongono di usare i laboratori di ricerca per aumentare i test sui tamponi per il coronavirus

Da qui la proposta: il coinvolgimento ampio delle competenze tecnologiche disponibili sul territorio nazionale può consentirci di eseguire test ripetuti sulle categorie ad alto rischio di infezione, alto numero di contatti e che non possono essere sottoposti a provvedimenti restrittivi: tutto il personale sanitario (medici, infermieri, personale di supporto ospedaliero, personale delle ambulanze, farmacisti); tutto il personale con ampia esposizione al pubblico e parte di servizi essenziali (personale di tutti i servizi commerciali aperti quali forniture alimentari, edicole, poste; autisti di mezzi pubblici e taxi; addetti alle pompe funebri; addetti alla pubblica sicurezza e a filiere produttive essenziali).

Tecnologie ad alta processività, commerciali e non commerciali, per la rapida estensione del numero dei test sono disponibili da poche settimane e possono essere validate ed implementate su ampia scala in tempi ragionevolmente rapidi. Tecnologie più avanzate per una diagnosi rapida possono essere sviluppate e rese disponibili per le fasi successive dell’epidemia. Un sistema di laboratori a rete diffuso in maniera capillare sul territorio nazionale e fondato sulle competenze disponibili nei centri di ricerca italiani può mettersi al lavoro da subito. Le risorse intellettuali e tecnologiche in Italia ci sono e sono ai massimi standard: perché non si utilizzano di fronte alla pandemia più drammatica del terzo millennio? La nostra proposta ha carattere di urgenza, perché la politica non coglie immediatamente questa opportunità?

I promotori dell’iniziativa:

  • Ruggero De Maria, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
  • Andrea Graziani, Università degli Studi di Torino
  • Emilio Hirsch, Università degli Studi di Torino
  • Gioacchino Natoli, Istituto Europeo di Oncologia, IRCCS, Milano
  • Pier Giuseppe Pelicci, Direttore Area Ricerca, Istituto Europeo di Oncologia, IRCCS, Milano
  • Giorgio Stassi, Università degli Studi di Palermo
  • Paolo Vineis, Imperial College, London.

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