Il problema dei conflitti di interessi negli studi scientifici non accenna a diminuire, anzi. Sono sempre numerose, in ambito nutrizionale-dietetico, le ricerche pagate più o meno direttamente dalle aziende. E anche se questo non significa necessariamente che ne influenzino l’esito, sarebbe meglio evitare, senza dubbio, di ricevere sostegni economici dai proprietari del prodotto oggetto di indagine. Anche perché, come si è visto negli ultimi anni in seguito alla pubblicazione di molti documenti interni rivelati da inchieste giornalistiche (per esempio quelli di Coca-Cola), una delle strategie più utilizzate per mascherare dati scomodi, è proprio quella di influenzare gli studi scientifici e accademici. E anche perché ogni volta che si va a controllare, emerge come le ricerche sponsorizzate siano più spesso favorevoli allo sponsor rispetto alle altre.
La situazione è apparsa in tutta la sua gravità anche in una delle ultime indagini condotte sui conflitti di interessi degli studi in ambito nutrizionale, un’analisi pubblicata su PLoS One relativa all’anno 2018, quindi basata su dati recenti. In essa i ricercatori della Deakin University di Melbourne, in Australia, e dell’Università di San Paolo, in Brasile, hanno selezionato le ricerche pubblicate dalle dieci principali riviste scientifiche dedicate a questi temi, identificandone 1.461. Quindi hanno verificato la presenza di un coinvolgimento dell’industria attraverso i singoli ricercatori o nello studio in sé, e hanno scoperto che c’era nel 13,4% dei casi.
La rivista più accondiscendente è risultata essere il Journal of Nutrition, con il 28,3% degli articoli sponsorizzati, quella con meno studi finanziati dall’industria Pediatric Obesity (con il 3,8%). In quattro casi su dieci, inoltre, era coinvolta un’azienda di alimenti trasformati, tra le più interessate a evitare che trapelino troppe informazioni sui possibili effetti nocivi sulla salute.
Ma ciò che è apparso più preoccupante è stato un altro dato, a dimostrazione indiretta e inequivocabile di quanto sia influente il sostegno economico. Gli studi sponsorizzati hanno riportato esito positivo nei confronti di prodotti dell’azienda finanziatrice nel 55% dei casi. Per gli altri, quelli non supportati in alcun modo da un produttore, la percentuale dei risultati positivi rispetto agli interessi dell’industria alimentare era quasi sei volte inferiore, pari al 9,7%.
Secondo gli autori è importante trovare nuove regole condivise (che prevedano anche il finanziamento pubblico di certi studi) per evitare distorsioni, e anche per far sì che gli argomenti oggetto della ricerca siano di interesse pubblico, molto più spesso di quanto non accada oggi, e non limitati a quelli dell’industria alimentare.
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Giornalista scientifica