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Chi si occupa di bambini sa che l’alimentazione è una questione molto delicata… Qual è l’approccio migliore per integrare l’alimentazione di un lattante e abituarlo a mangiare alimenti solidi? E che cosa è meglio fare quando il bambino ha raggiunto l’età scolare? Le risposte a queste domande, che molti genitori si pongono, sono di segno opposto: quando il bambino è molto piccolo, sarebbe meglio lasciare che sia lui o lei a entrare in confidenza con i diversi alimenti solidi, prendendoli con le mani e sperimentando. Quando invece raggiunge i 5-6 anni, è probabile che attraversi una fase in cui non vuole trovare pezzi interi, per esempio di frutta, in ciò che mangia, ma preferisca le puree e gli alimenti dalla consistenza omogenea. Non bisogna preoccuparsi, perché la predilezione verso cibi che non contengano frammenti interi è del tutto normale, e viene superata nel tempo.

Il lattante inizia a conoscere il cibo solido

La modalità più consigliata dai pediatri per aiutare il bambino nel passaggio dall’allattamento esclusivo ai primi alimenti è quella delle puree, delle pappe e delle creme. Ma uno studio presentato al congresso Nutrition 2024 dimostra che non necessariamente è meglio evitare i cibi solidi, anzi. Dare al lattante la possibilità di sperimentare scegliendo fin da subito cibi solidi da prendere con le mani stimola la sua curiosità, lo aiuta a sperimentare gusti sempre nuovi, e anche dal punto di vista della crescita porta a risultati migliori, rispetto al metodo classico.

A questa conclusione sono giunti i pediatri dell’Università del Colorado, che stanno conducendo una grande indagine chiamata MINT, finalizzata a valutare il ruolo specifico di diversi tipi di proteine sull’accrescimento e sul microbiota dei bambini. Proprio per questo, una settantina di piccoli partecipanti sono stati seguiti attentamente e sottoposti a regolari e scrupolose misurazioni a 5, 9 e 12 mesi, mentre i genitori hanno compilato quotidianamente un diario con tutto quello che il figlio ha mangiato e bevuto.

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L’approccio che parte dalle scelte del bambino (detto anche autosvezzamento) può essere altrettanto valido, se non superiore

L’autosvezzamento

Basandosi di questi dati, molto più obbiettivi di quelli incentrati solo sui ricordi dei genitori, i ricercatori hanno visto che i bambini assumevano la stessa quantità totale di calorie, a prescindere dalla modalità. Già questa è una prima risposta, perché di solito si tende a pensare che, se il bambino può scegliere, inevitabilmente mangerà di meno. Stando a quanto emerso, sembra non essere così. Non solo. Le misurazioni dell’aumento di peso rapportato all’altezza e di quello riferito all’età hanno mostrato che i bambini che fanno per così dire “da soli”, e cioè per i quali i cibi frullati rappresentano al massimo il 10% delle calorie, ottengono punteggi migliori.

La conclusione è che l’approccio che parte dalle scelte del bambino (detto anche autosvezzamento) può essere altrettanto valido, se non superiore, rispetto a quello che passa da frullati e pappe. L’unica avvertenza è quella di seguire le indicazioni dei “tagli sicuri”: ossia tagliare la carne (che deve essere tenera) o il pesce, la frutta (sempre morbida) e le verdure (cotte al vapore) in pezzettini o bastoncini sottili, per scongiurare il rischio di soffocamento.

A scuola alla scoperta di gusti nuovi

Quando i bambini raggiungono i sei anni, invece, attraversano una fase nella quale sembrano diventare particolarmente schizzinosi se un alimento come lo yogurt, la marmellata o altro contiene pezzi interi per esempio di frutta, soprattutto se questi ultimi sono croccanti. Secondo uno studio condotto dai pediatri del Dipartimento di scienze alimentari dell’Università di Copenaghen, in Danimarca, pubblicato sul Journal of Texture Studies, il cambiamento è normale, e limitato nel tempo.

Per capire meglio le scelte di quella specifica fase, i ricercatori hanno studiato circa 500 bambini e ragazzi di età compresa tra i cinque e i 12 anni, ai quali hanno sottoposto inizialmente i disegni di sei diversi alimenti con e senza semi o grumi: pane, succo d’arancia, burro d’arachidi, marmellata di fragole, yogurt e zuppa di pomodoro. Quindi li hanno invitati a indicare che cosa avrebbero scelto, e hanno visto che il 76% dei bambini di sei anni preferisce alimenti omogenei, il tasso più alto in tutte le fasce di età. A quel punto hanno provato con gli alimenti veri, per verificare il tasso di coerenza tra le risposte date e le decisioni prese, e hanno visto che la particolarità di quell’età è confermata.

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A sei anni la neofobia raggiunge un picco, dopo il quale torna a diminuire

La neofobia nei bambini

Secondo gli autori, la neofobia, cioè la diffidenza nei confronti di alimenti non conosciuti, manifestata dai bambini di sei anni, è comprensibile, dal punto di vista evoluzionistico. A quell’età i bambini iniziano a essere più indipendenti, e il timore verso il cibo non immediatamente riconoscibile o comunque non omogeneo rispetto al resto del piatto esercita un effetto protettivo nei confronti di alimenti potenzialmente pericolosi. La neofobia, del resto, inizia a emergere già durante l’inserimento dell’alimentazione complementare, ma in quel momento è molto lieve, proprio perché altri si preoccupano della sicurezza del cibo. A sei anni la protezione dei genitori è inferiore e la neofobia raggiunge un picco, dopo il quale torna a diminuire.

Infatti, tra i sette e i 12 anni la tendenza si inverte: aumenta la voglia di sperimentare, anche grazie allo stimolo costituito dall’ambiente scolastico, dai compagni e dalle nuove esperienze. In questa fase, inoltre, più i pezzi sono grandi meglio è.

Secondo gli autori, infine, non bisogna costringere i bambini a mangiare qualcosa che non vogliono, perché poi il cibo mangiato a forza sarà sempre associato a sentimenti negativi. Non bisogna neppure premiarli se mangiano un alimento inizialmente sgradito, perché una volta che viene meno il premio, scompare anche la disponibilità a mangiare quel cibo. Ciò che si deve fare è avere molta pazienza: secondo alcune stime, sono necessarie da otto a 15 esposizioni prima che il bambino si fidi e decida che trova un certo cibo familiare e sicuro. È quindi indispensabile perseverare senza forzare, conoscere le diverse fasi, adeguarsi e insistere, soprattutto con gli alimenti migliori, affinché venga meno la diffidenza e nasca l’apprezzamento.

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giova
giova
22 Agosto 2024 07:46

Utilissimo e aggiornato articolo sulle competenze genitoriali necessarie per chi vuole costruire con il bimbo/bambino uno splendido rapporto con il cibo, nutrendosi con varietà e qualità.