Nei banchi frigo dei supermercati sono numerosi i succhi di frutta e i mix vegetali, sulle cui etichette c’è scritto “Pressato a freddo” oppure “Trattato mediante alte pressioni” o che hanno la sigla “Hpp” (High ). Di che cosa si tratta? Quelli che riportano questo tipo di indicazione sono tutti prodotti che sono stati trattati con alte pressioni idrostatiche. L’uso di tale tecnologia per conservare gli alimenti non è una novità, ma è una soluzione oggi sempre più diffusa, perché consente di ottenere alimenti con migliori caratteristiche nutrizionali, igienico sanitarie, sensoriali, funzionali, pur avendo un basso impatto ambientale. Le alte pressioni, particolarmente adatte ai prodotti di origine animale, come la carne fresca, i salumi e il pesce, sono apprezzate perché minimizzano la perdita di nutrienti, aromi e colore. Solo i legami chimici relativamente più deboli sono infatti modificati dalla pressione, evitando così le trasformazioni provocate dai trattamenti termici.
Gli studi sugli effetti biologici delle pressioni risalgono al 1.899, quando B. H. Hite le applica a diversi alimenti e bevande. Un nuovo interesse per tale tecnologia emerge negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, in Giappone, dove compaiono sul mercato i primi prodotti a base di agrumi e frutta trattati con alte pressioni, che attirano l’attenzione delle industrie alimentari in Europa e negli Stati Uniti. Negli anni sono stati condotti studi adoperando differenti combinazioni di temperatura, pressione e tempo sugli alimenti in relazione ai risultati microbiologici, enzimatici e nutrizionali che si desideravano ottenere.
Le migliori pressioni risultano attualmente quelle dai 4 mila ai 6 mila bar, ma si stanno studiando nuove combinazioni per lavorare a temperature contenute e pressioni inferiori (per esempio 2 mila bar), associando correnti elettriche. In generale, il trattamento è somministrato agli alimenti già confezionati in contenitori di plastica deprivati d’aria. I prodotti trattati risultano di alta qualità, con caratteristiche sensoriali e nutrizionali simili al fresco, sicuri da un punto di vista microbiologico e con aumentata shelf life rispetto a quelli non trattati. Dopo il trattamento, la conservazione deve avvenire in frigorifero e può essere protratta per molte settimane.
L’alta pressione distrugge i microrganismi che causano alterazioni e inattiva i patogeni non sporigeni (Salmonella, Listeria monocytogenes, Staphylococcus aureus, ecc.). Il trattamento comporta inoltre un impatto ambientale trascurabile rispetto alle tecniche che impiegano il calore, anche perché il contenitore è trattato insieme al prodotto, con una riduzione dei costi derivanti dall’uso degli impianti di riempimento in ambiente asettico. Il motivo principale per cui il sistema non è ancora molto utilizzato è il costo relativamente alto dell’attrezzatura, ma i prezzi si stanno abbassando. Si calcola che attualmente il trattamento possa costare attorno a 0,1 – 0,15 euro per chilo di prodotto, che deve essere confezionato in particolari contenitori. Oggi sul mercato vi sono vari alimenti sui quali è stata impiegata questa tecnica: dai succhi di frutta alle puree e salse vegetali ma, soprattutto, prodotti carnei e ittici oltre, naturalmente, ai piatti pronti, un mercato di crescente importanza.
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Professore Emerito dell’Università degli Studi di Parma e docente nella Facoltà di Medicina Veterinaria dal 1953 al 2002