Coldiretti ha colpito ancora, i servizi sulla manifestazione di ieri al Brennero hanno raccontato alla gente che in Italia arrivano cosce di maiale destinate all’Emilia Romagna, mozzarelle da vendere alle pizzerie del Veneto, latte da imbottigliare a Brescia, maiali che verranno macellati in Sicilia, grano che dovrà trasformarsi in spaghetti. La maggior parte dei quotidiani e delle tv ha ripreso queste notizie lasciando intendere che i prodotti attraversano la frontiera e vengono trasformati in alimenti made in Italy. Tutto ciò sarebbe possibile perché sull’etichetta non è indicata l’origine. Lo schema di Coldiretti è sempre lo stesso, il prodotto straniero è di qualità mediocre mentre i nostri prosciutti, la nostra pasta, il nostro latte, la nostra mozzarella, il nostro olio, il nostro pomodoro sono eccellenti.
La sceneggiata di Coldiretti al Brennero
Nella mobilitazione di Coldiretti al Brennero ci sono anche Nas e Corpo Forestale dello Stato che, contrariamente a quanto lasciano intendere molte servizi, hanno condotto controlli di routine “sono stati prelevati campioni di prosciutti non timbrati sui quali fare delle analisi e acquisito di copia dei documenti per effettuare controlli incrociati e verificare la destinazione dei prodotti per impedire che siano venduti come Made in Italy”.
Di fronte alle tesi di Coldiretti ha preso posizione Federalimentare, che ritiene innopportuna la campagna mediatica. Gli industriali sanno che diversi settori di eccellenza alimentare usano per oltre il 50% materie prime importate. In alcuni casi l’import arriva al 100% come per il caffè e per la bresaola della Valtellina. E per restare in tema natalizio diciamo pure che buona parte dei panettoni non si potrebbe produrre senza farina ricca di glutine importata da Canada, Francia … Queste cose le sanno gli italiani?
La criminalizzazione delle importazioni da parte di Coldiretti
L’abitudine di criminalizzare le materie prime importate è assurda. Prendiamo per esempio le mozzarelle. Quelle di bufala Dop si fanno solo in Campania con latte di animali allevati localmente e bisogna rispettare un disciplinare. Quelle non Dop sono prodotte anche in altre regioni italiane dove ci sono allevamenti di bufale, mentre le mozzarelle vaccine si possono preparare in qualsiasi nazione europea, basta avere il latte. Sull’etichetta è indicato il nome del produttore e in codice anche lo stabilimento. Se il caseificio e il latte sono italiani si può mettere la bandierina.
Dov’è l’inganno? Stabilire a priori che quella ottenuta con latte nostrano è più buona è difficile perché nella valutazione del prodotto l’origine delle materie prime conta poco. I fattori importanti sono la qualità del latte, la scelta del caglio, degli additivi e il sistema di produzione e distribuzione. Sulla base di questi parametri si può tracciare un profilo qualitativo, non certo sul fatto che la mozzarella è prodotto ad Amburgo o a Roma. Il discorso per la pasta è ancora più critico perchè senza semola importata Barilla, De Cecco e gli altri marchi dovrebbero chiudere bottega o dimezzare la produzione.
Importazioni necessarie
Per altri settori una parte rilevante delle materie prime proviene dall’estero. Qual è il problema? Sulle etichette dell’olio è scritto chiaramente e su quelle della pasta si potrebbe anche scrivere, ma è così importante? Il migliore olio a parte quelli Dop è ottenuto miscelando olive italiane e di altri paesi e lo stesso discorso vale per la semola della pasta. La cosa importante è che si usi olio e semola di qualità e questo non lo garantisce certo la bandierina italiana.
La stessa cosa si può dire per le cosce di maiale destinate a diventare prosciutto cotto, la qualità non dipende da dove sono stati allevati gli animali, ma da cosa hanno mangiato, dall’età dell’animale, dal tipo di lavorazione industriale e dalla presenza o meno di additivi. Indurre la gente a pensare che l’olio 100% made in Italy sia per definizione migliore o che la pasta preparata solo con grano duro italiano sia buona o che illatte italiano sia più buono è sbagliato. Non si possono prendere in giro così i consumatori. Coldiretti riesce spesso confondere le carte in tavola e i giornalisti ci cascano spesso.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza come free lance con diverse testate (Corriere della sera, la Stampa, Espresso, Panorama, Focus…). Ha collaborato con il programma Mi manda Lubrano di Rai 3 e Consumi & consumi di RaiNews 24
Coldiretti ha solo fatto un’operazione di marketing per far andare nel periodo natalizio la gente a comprare a prezzi assurdi i prodotti del loro marchio Campagna Amica. Nulla di più.
Nel condividere che si tratta di una operazione di marketing, vorrei precisare che non c’è nulla di nuovo se non un passaggio televisivo. La sostanza, a mio avviso, è molto semplice oggi come consumatore vorrei o meglio voglio sapere l’origine della materia prima e la relativa sicurezza ( le leggi relative all’uso dei fitofarmaci sono diverse tra i paesi europei)poi se è più buona o meno di quella italiana lo stabilirà il mio gusto. Quindi non dobbiamo “ingannare” ma solo distinguere in modo evidente l’origine della materia prima.Se mi permettete vorrei chiudere con un esempio calcistico non basta che MESSI acquisti casa a Roma per farlo giocare nella nazionale italiana!!!!!.
Buon appetito… tricolore a tutti.
Se mi consente di proseguire il paragone calcistico però, Camoranesi, Osvaldo, Thiago Motta, in nazionale italiana ci vanno. Ancora più calzante: Balotelli nasce da genitori ghanesi e in nazionale ci va. El Shaarawy ha padre egiziano (la semola estera) e madre italiana (De Cecco). Anche lui in nazionale ci va…
Ma una cosa la dovete spiegare ha me ed per tutti i cittadini,come mai la mozzarella che viene prodotta in polonia,arriva qui con tutto il trasporto,la distrubuzione etc etc e cosi costa meno della ns locale,dove e’l’inganno ho l’arcano,preciso che faccio il tifo per il prodotto buono e genuino e magari tutto italiano ho meglio ancora km zero!
La mozzarella non è tutta uguale , si vada a leggere un articolo sul nostro sito dove spieghiamo che esistono tanti tipi di mozzarella- Le spese di trasporto poi non incidono molto sul prezzo. Forse c’è un problema di costi di manodopera?
La mozzarella fiordilatte prodotta in Polonia ha prezzi di trasporto e distribuzione, almeno nel nord Italia, molto simile alla mozzarella prodotta nelle regioni del sud Italia (per inciso, la Polonia non è molto più distante da Milano di quanto non lo sia la Campania). Poi ci sono, come già rilevato, costi produttivi diversi (a favore della Polonia). Pertanto il prodotto polacco, a parità di qualità, avrà probabilmente un prezzo di vendita più favorevole per il consumatore.
Resta il dubbio se sia il caso di consumare prodotti che non favoriscono l’imprenditoria in Italia, ma questa è una scelta etica e non c’entra con la qualità intrinseca del prodotto.
E’ un prodotto “made in Italy”, lobby, corporazioni, protezionismo. Meglio sceneggiate mediatiche che impegno in efficienza,produttività, innovazione e qualità per contrastare la concorrenza.
Le manifestazioni di protesta della Coldiretti a difesa del “Made in Italy”, e a sostegno della nostra agricoltura in crisi, mi fanno ricordare che a pag. 35 dell’Informatore Zootecnico n.1 del 18 gennaio 2013, si legge: “ ….attualmente il prezzo del latte è inferiore a quello registrato nella stagione 1995/96…. Da allora, per di più, i costi di produzione sono aumentati notevolmente. …Noi ci salviamo con le esportazioni….. Noi ora non solo esportiamo i formaggi, ma siamo costretti a importare latte per aumentarne la produzione (Terenzio Borga, presidente Aprolav).
“ … Poiché la produzione locale non è sufficiente per la trasformazione in formaggio, bisogna pertanto importare latte la cui qualità organolettica è inferiore. Per dare forza al comparto bisognerebbe creare due linee: prodotti con solo latte veneto e prodotti con latte miscelato, con prezzi diversi. (Achille Asti, direttore dell’Arav)
Cara Coldiretti, ne sai qualcosa tu? Sono i nostri politici ad importare il latte dall’estero, oppure sono i rappresentanti degli allevatori? Chissà se sono gli stessi che fanno capo a Voi! Alle vostre manifestazioni partecipano anche i signori Borga e Asti? Dove sta la verità, cara Coldiretti? Non vi sorge il dubbio che la crisi della nostra agricoltura sia in gran parte dovuta a Voi e alle vostre geniali politiche agricole, fondate sull’incentivazione del contributo legalizzato e legittimato da certificazioni, spesso compiacenti? Attestati rilasciati da enti, da Voi ritenuti terzi, anche se Voi siete presenti nei loro Consigli di Amministrazione, in rappresentanza dei produttori. Forse per testimoniare, rafforzare e istituzionalizzare il “Made in Italy”, ed avere il pretesto per mobilitare demagogicamente alcuni fedelissimi a far ricorso, attraverso a spettacolari scenografie in giallo, alla protesta e ai blocchi doganali per cercare di impedire l’entrata in Italia delle produzioni agricole estere?
Per la Coldiretti è inammissibile che siano importati degli alimenti dall’estero per essere nazionalizzati, per poi essere commercializzati come “Made in Italy”. Una posizione pienamente condivisa! Ciò che non riesco a comprendere è che ad adottare questo sistema sia proprio la Coldiretti, approvando ed incentivando le produzioni IGP e, contemporaneamente, dichiararle ingannevoli. « …E’ necessario rivedere la normativa sulle IGP. …… non è trasparente, non fornisce informazioni al consumatore …. In sostanza, è ingannevole.» ( Il Punto Coldiretti – 31.07.09)
Ed è proprio così! Infatti, la materia prima delle produzioni IGP ( latte, maiali lattonzoli, carni, frumento, ecc.) possono essere di origine estera. In sostanza, le IGP non sono completamente vincolate al territorio, ma sono nazionalizzate attraverso una o più fasi del processo di produzione o di lavorazione così come avviene: per la Bresaola della Valtellina; per il Cotechino di Modena; per la Coppa di Parma; per Lardo di Colorata; per il Prosciutto di Norcia; per il Prosciutto di Sauris; per il Salame Cremona; per il Salame Felino; per lo Speck dell’Alto Adige; per lo Zampone di Modena; per il pane Coppia Ferrarese; per la Pasta di Gragnano, ecc., ecc.
Cara Coldiretti, se tu impedisci che le carni e le farine estere, utilizzate per produrre gli alimenti sopra citati, entrino in Italia, questi cibi spariranno dalle nostre tavole, e questo sarebbe un grave danno per i consumatori, visto che tu le consideri delle schifezze, quando si presentano alle nostre frontiere, ma le riconosci come eccellenze, una volta nazionalizzate dall’industria italiana.
Per correttezza va detto che il disciplinare di produzione di alcuni IGP prevedono che la materia prima sia italiana, altri invece danno la possibilità di acquistare lattonzoli all’estero e di allevarli in Italia secondo regole precise.
Secondo me, bisognerebbe mettere 1 pò d’ordine nella discussione:
1) se il disciplinare che servono per fregiarsi dei vari marchi doc…DOP…etc stabiliscono l’uso di materia prima nazionale allora è inutile “parlare” … chi usa materia prima straniera (che può anche essere migliore di quella italiana) produce falsi e ne risponde alla legge che giusta o sbagliata che sia rimane il fondamento della democrazia: la legge va rispettata! (a dispetto dell’attualità che viviamo).
2) se in discussione sono i disciplinari e la loro utilità….allora la questione cambia: liberalizziamo tutto…globalizziamo….però in tal caso il consumatore prima ancora che il produttore non sarebbe tutelato… un’azienda agricola può decidere di chiudere perché non riesce a stare sul mercato…ma il consumatore che fa?….lo sciopero della fame? Perché nel marasma che si creerebbe non ci sarebbero più controlli, e essere informati su ciò che si acquista sarebbe 1 miraggio.
I disciplinari hanno lo scopo di controllare le storture del libero mercato che, nonostante tutto, oggi in Europa trova sempre più sostenitori, lo vediamo con le direttive più o meno “contrarie” alla tutela di marchi di origine e provenienza, contrarie all’uso di bottiglie monouso, alle etichette sulle bottiglie d’olio nei ristoranti…….
In tutto questo c’è l’aggravante: se veramente le cooperative, come accusa il presidente di coldiretti, si stanno macchiando di questo crimine (di cui al punto 1) allora la coldiretti bene ha fatto a denunciare…le cooperative nascono per tutelare i contadini-produttori non le multinazionali del commercio…se le cooperative hanno cambiato la loro “vision” devono dirlo apertamente ai loro soci ed ai consumatori…
per una volta che la coldiretti difende i suoi iscritti…
Coldiretti ha ragione a denunciare frodi e falsi. E questo nessuno lo negherà mai.
Diverso è ingenerare nel consumatore la convinzione fallace che le nostre materie prime sono eccellenti a prescindere, le estere no. Anche in questo modo Coldiretti sta difendendo i suoi iscritti e i suoi interessi. Ma non è che ogni mezzo che utilizza per perseguire tale obiettivo debba essere considerato lecito!
Al signor Davide mi permetto di far presente che per fare un po’ d’ordine in tema di produzioni Dop, Igp, biologico, ecc. occorre che le istituzioni pubbliche non si prestino alla demagogia dei produttori interessati a propagandare i loro prodotti, ma impongano che la pubblicità sia veritiera.
Non sono i disciplinari a controllare le storture del libero mercato, ma sarà, almeno lo spero, il Reg.to CE 1169/2011, che entrerà in funzione il 13 dicembre 2014, il quale prevede che tutti gli alimenti, indipendentemente dall’essere Dop, Igp, biologici, Doc, siano supportati da una documentazione che ne attesti l’origine e le caratteristiche nutrizionali oggettive. Ovviamente, come già avviene per gli oli d’oliva, per gli alimenti costituiti da più ingredienti e con origine diversa, sarà indicata come origine: Paesi europei e/o extra europei, mentre le caratteristiche nutrizionali dovranno essere quelle oggettive. Questo reg.to dimostrerà, in modo inequivocabile e nell’interesse del consumatore, che le differenze sanitarie e nutrizionali degli alimenti non sono assolutamente legate alla nazione e/o al luogo della loro produzione.
Anche le auto della Fiat sono certificate ( omologate), anche se prodotte in parte con dei materiali esteri. Ma nessun sindacato dei lavoratori non si è mai recato alle frontiere per impedire l’importazione di auto estere. Anzi, sono sicuro che molti dirigenti dei sindacati dei lavoratori, come quelli degli agricoltori, magari proprio quelli scesi in piazza per difendere il Made in Italy, sono proprietari di un’auto estera. I sindacati degli operari, invece di protestare per le importazioni, continuano a criticare la Fiat, che sta soffrendo la concorrenza estera, perché non ha e non rinnova a sufficienza la sua produzione (modelli). Che sia il caso che la Coldiretti, invece di organizzare delle proteste demagogiche, inviti le istituzioni ( Governo, Regione, Camere di Commercio), ad incentivare e finanziare l’innovazione delle nostre produzioni, in modo che le nostre produzioni possano soddisfare le esigenze del Reg.to CE 1169/2011 e, di conseguenza, quelle di noi consumatori? Io come consumatore mi sentirei più tutelato e, sicuramente, i prodotti non sarebbero maggiorati da dei costi di certificazioni inutili.
Difendere i propri iscritti non significa illuderli, nascondendo loro la realtà
Se la legge “ITALIANA” dice che è frode, è frode e tale rimane….le direttive europee non hanno valore legale fintantochè il parlamento non decide di recepirle con leggi italiane….nel settore alimentare le leggi italiane sono notoriamente più restrittive di quelle europee, non sarei contento di recepire il lassismo delle direttive europee (mucca pazza…suini alimentati con olii esausti….mozzarelle dei “puffi”) ….quanto alla similitudine automobilistica i nostri prodotti alimentari sono la “mercedes” o la “RR” nel loro settore… non la Fiat…diamine!
…..continuando nel parallelo del settore automobilistico il problema è l’opposto….evitare che la produzione scappi all’estero (non impedire l’ingresso ma l’uscita….)….rimarco il fatto che è poco felice il paragone visto che la Fiat è da sempre bistrattata dal mercato internazionale e soprattutto estero…non così i nostri prodotti alimentari
Davide, la mozzarella “dei puffi” non è stata prerogativa solo dei tedeschi. Se ben si ricorda casi di mozzarella “dei puffi” hanno coinvolto anche marche italiane che utilizzavano latte italiano.
Ostinarsi a considerarci le RR del settore alimentare dimenticandoci di citare gli scandali rigorosamente “Made in Italy” del vino al metanolo, la terra dei fuochi, le truffe sul prodotto biologico, i frutti di bosco (anche italiani sì) con l’epatite A…mi sembra un po’ troppo di parte…
Vede, signor Davide, creda a me, la nostra agricoltura, così come la Fiat, da un ventennio hanno continuato a ragionare come Lei. Cioè, noi siamo i migliori, perchè italiani. Mi saprebbe dire da dove ricava le sue informazioni sulla superiorità qualitativa delle produzioni italiane, rispetto a quelle estere? Quando si afferma qualcosa, mi hanno insegnato che occorre disporre di una documentazione a riguardo. Lei dispone di questa documentazione. E se si, c’è la può far conoscere, per cortesia?
Dura lex sed lex…..non è importante quello che pensiamo noi…io o lei…finanche i dati oggettivi sulla bontà di questo o quelo prodotto….ma la legge…ITALIANA (non esiste ancora una legge europea ed io spero che non esista mai)…la frode (in questo caso alimentare)è riconoscita e punita dalla Nostra Legge. BASTA
Davide, ma perchè lei continua a parlare di frode come se chi sostenesse una tesi diversa dalla sua fosse favorevole alle frodi? E soprattuto di quale legge italiana parla che non faccia riferimento al quadro normativo Europeo?
Signor Davide, Lei ha eluso la mia domanda. Ripeto, se Lei dispone di una documentazione che dimostra che gli alimenti italiani sono superiori per qualità oggettiva a quelli esteri, ce la faccia conoscere. Su una cosa sono d’accordo con Lei e, precisamente, che non è importante quello che pensiamo io e Lei. Però, me lo lasci dire. Quando si veste i panni del difensore ad oltranza di cose che , magari non si conoscono profondamente, si corre il rischio di danneggiare delle persone. E se le difese vanno in aiuto degli alimenti,pensi un attimo a quei fatti di intossicazione da alimenti successi in alcune scuole e, se quelle scuole fossero state frequentate dai suoi figli e/o nipoti. O, ancora peggio, se i suoi figli avessero frequentato quelle scuole di Genova dove diversi bambini sono stati intossicati con le mele biologiche (tutte italiane).Ed ancora, che Lei fosse a conoscenza che in alcune Regioni d’Italia, per esempio il Veneto, hanno varato una legge che impone la presenza del biologico nella ristorazione scolastica. Non crede che il suo giudizio del made in italy sarebbe meno entusiastico?
Come consumatore, posso avere il diritto di sapere da dove provengono gli ingredienti di cio’ che mangio? Posso decidere io se mangiare pasta ottenuta con farina italiana o canadese? Posso decidere io se bere latte proveniente da mucche che sono nel raggio di 100km o se sto mangiando latticini prodotti con latte che e’ arrivato da 2000 km di distanza? Siccome poi non mi fido gia’ del mio paese, di cui pero’ almeno mi arrivano ogni tanto notizie, ho il diritto di fidarmi ancora meno di paesi esteri di cui non mi arriva alcuna notizia? Oppure, secondo i tanti soloni che scrivono su questo sito in difesa di norme e regolamenti assurti a verita’ assoluta, dovrei come consumatore starmene zitto e buono e comprare cio’ che altri hanno deciso che e’ buono per me??
Questa è ipocrisia bella e buona secondo me. Non vestiamo il protezionismo economico con la sicurezza alimentare che è una cosa ben diversa. Si vuole boiocottare l’estero? e diciamolo allora, AUTARCHIA!! così almeno saremmo più intellettualmente onesti e dovremmo anche ragionare sull’uscita da UE e WTO e mangiarci anche tutte le nostre specialità che non potremmo neppure aspettarci che in giro per il mondo gli altri comprino se si ragiona tutti così.
Capirei si parlasse piuttosto di una certificazione volontaria di filiera corta se uno considera l’impatto ambientale, ma anche qui… non solo di chilometri si può ragionare e a conti fatti è da vedersi se l’ingrediente prodotto a 50 km da casa in un vecchio impianto non sia ad impatto più alto di quello che arriva da una struttura moderna e più sostenibile a 500km contando anche il trasporto. Perchè allora io che sto a 500 km e opero in un certo modo avrei ben da lamentarmi della concorrenza sleale di chi non fa niente per l’ambiente.
Se si agita la bandierina della sicurezza alimentare allora me la rido alla grassa perchè leggere Italia, Cina, Francia, USA e credere che questo significhi garantirsi la sicurezza allora è molto ingenuo. Piuttosto allora si chieda che tutte le merci introdotte vengano testate lotto per lotto per farne conta batterica, esame per micotossine, piombo, benzopireni, salmonella, pesticidi, DNA per identificare l’origine della carne etc etc.. ma questo non c’azzecca con l’origine del prodotto e soprattutto c’è il rischio che si scopra che moltissimi prodotti siano a posto uniformandosi ad una media comunitaria. Questo però poi darebbe fastidio perchè la scusa della tutela della sicurezza verrebbe meno. Il piccolo produttore che compra a destra e a manca perchè lima sul prezzo quello solo guarderà e comprerà ingredienti di scarsa qualità indipendentemente dalla provenienza così come le grandi aziende che hanno maggiore visibilità cureranno molto ma molto di più l’aspetto sicurezza alimentare, indipendentemente dall’origine dell’ingrediente.
E’ impensabile costringere a riportare l’origine degli ingredienti in un prodotto trasformato. Con ingredienti magari con origini diverse ed alternative tra di loro i produttori dovrebbero continuamente rivedere tutti gli incarti dei prodotti scaricando il costo sul consumatore. Se l’informazione fosse fornita su altri canali comunque cosa gioverebbe sapere che il frollino contiene zucchero prodotto in: Italia, Francia, Germania o Spagna fatto salvo il discorso sul boicottaggio o tornando all’aspetto ambientale? Ma questo deve essere allora una cosa volontaria.
Lei deve ringraziare che altri abbiano deciso ciò che è buono per lei, altrimenti dovrebbe farsi per conto suo le analisi microbiologiche e chimiche su ogni prodotto che acquista.
Il rispetto delle norme e regolamenti che lei denigra sono l’unica garanzia che le permette di mangiare in modo sano.
E’ curioso che invece di pretendere di avere la certezza che ciò che si compra sia sano (visto che con i soldi pubblici paghiamo coloro i quali questa garanzia la devono verificare) si pretenda invece che su ciò che si compra ci sia una bandierina, o lo stemma del comune, visto che la bandierina dello stato per alcuni sembra non bastare nemmeno. Non sarebbe più utile a tutti che le risorse venissero utilizzate per tutelare la salute dei consumatori invece di fare la caccia alla bandierina?
La condizione ideale secondo lei è che il consumatore debba tutelarsi con mezzi propri oppure che venga tutelato da chi questo compito ha il dovere di esercitarlo? E non è forse meglio investire le già scarse risorse in quella direzione?
Perchè al mondo c’è gente che ha un lavoro e una vita e che magari non può tenersi aggiornata sulle zone in cui scoppiano i nuovi scandali alimentari, ma giustamente pretende che chi, per lavoro queste cose deve controllarle, lo faccia e intervenga ogni volta che sia necessario farlo.
Quando l’elettricista installa l’impianto a casa sua, lei verifica che sia a norma o lo da per scontato?
Quando le hanno costruito la casa ha verificato che l’ingegnere avesse fatto i giusti calcoli o lo ha dato per scontato?
Quando ha acquistato l’auto, ha verificato personalmente l’impianto frenante o ha dato per scontato che qualcuno l’avesse fatto per lei?
Quando fra 10 anni si scoprirà che le mucche che stanno a 100 km da lei hanno “pascolato” a sua insaputa su terreni contaminati, cosa farà? Magari si renderà conto che invece di pretendere di avere sulla confezione un’informazione inutile per la sua sicurezza, avrebbe fatto meglio a pretendere che gli sforzi dei controllori venissero spesi a garanzia della sicurezza alimentare. Perchè è facile conoscere i problemi quando sono di dominio pubblico. Purtroppo gli scandali diventano di dominio pubblico sempre quando ormai è tardi.
Io voglio solo essere informato e decidere di conseguenza.
Cosi’ come non mi basta sapere che l’elettricista sia abilitato o l’ingegnere iscritto all’albo o l’auto omologata: voglio scegliere io l’elettricista o l’ingegnere che vengono a fare il lavoro a casa mia o la marca di auto che guidero’, anche solo perche’ uno mi sta piu’ simpatico di un altro o qualunque altro discutibile criterio: e’ casa mia, e l’auto mia e voglio decidere io. E cosi’ se devo mangiare un panino voglio decidere io se con bufala avvelenata campana o mozzarella finta tedesca.
Lei, Alessandro, per i miei gusti sta intervenendo troppo spesso su questo sito per ribadire il suo punto di vista che la certificazione ci dovrebbe mettere tutti a tacere e che non abbiamo diritto di scegliere semplicemente, secondo lei, perche’ non e’ razionale scegliere in base al paese di provenienza. Lei, Alessandro, vuole decidere cosa io debba avere nel piatto, basta che sia certificato. Io non lo accetto, voglio sapere molto di piu’ e di diverso della certificazione: appunto voglio sapere quel cibo chi lo ha fatto e da dove viene! E voglio essere libero di “sbagliare” criterio!
Curioso che lei si lamenti che io voglia decidere ciò che lei debba avere nel piatto, quando è lei stesso che vuole decidere con che frequenza e cosa io possa scrivere su questo sito!! Il sito non è suo. Se i moderatori riterranno i miei interventi sono troppo frequenti o non graditi hanno il diritto di non pubblicarli.
Detto questo, siccome i soldi pubblici che verrebbero sprecati per controllare ciò che lei pretende andrebbero a scapito dei controlli sulla sicurezza alimentare che io chiedo…ne consegue che io abbia lo stesso diritto che ha lei di rivendicarli.
Signor Ricci, ha perfettamente ragione a voler essere Lei a decidere cosa mangiare. Ma, non crede che per decidere bisogna conoscere? E se Lei decide di mangiare italiano perchè gli viene detto che il cibo italiano è più sicuro, com’è successo ai bambini intossicati con la frutta biologica italiana nelle scuole di Gevova,e poi scopre che non è così, sarebbe ancora del parere di mangiare italiano? Mi creda, signor Ricci, non sono le distanze ad inquinare gli alimenti, ma sono gli imprenditori criminali italiani e non, che operano nell’illegalità, magari tutelati dalle istituzioni. Non crede che se Lei dovesse mangiare anche sul posto, magari dentro il caseificio che la produce, della mozzarella di bufala campana Dop contenente diossina,avrebbe più probabilità d’intossicarsi, rispetto, magari a quella mangiata proviene da più di cento km?
Benito, io sono una persona molto attenta a cio’ che mangia, piu’ attenta del 99% delle persone. Non credo che per principio le materie prime prodotte in Italia siano migliori di quelle prodotte all’estero. Ma a parita’ di garanzie di prodotto voglio sapere se cio’ che sto comprando e’ cresciuto/allevato in Italia (e anche in quale provincia!) o in quale altro paese. Punto.
Poi, a parita’ di garanzie, quando compro una birra spesso ne scelgo una tedesca; quando compro un emmenthal spesso ne scelgo uno svizzero. Sbaglio? Sono affari miei!
Sono le solite manifestazioni demagogiche della Coldiretti, che si serve di produttori facilmente raggirabili, ma anche di quelli furbetti o di personaggi in foga di apparire in TV. La maggior parte sono stati utilizzati da questa associazione, che li ha costretti a perdere un paio di giornate di lavoro e di freddo, solo per pubblicizzare le bandiere gialle.
Una sondaggio sulla popolazione italiana, non mi ricordo se ISTAT o di qualche altro ente statistico, ha rilevato che l’80% degli italiani non riesce a capire ciò che legge. Ed ecco il motivo per il quale io, prima di esternare il mio giudizio su ciò che leggo, mi pongo il problema se faccio parte di quell’80%, pure del rimanente 20% degli italiani interpellati. Mi compiaccio con i signori Ricci e Alessandro per le loro disquisizioni sulla sicurezza delle produzioni agroalimentari, anche e soprattutto perchè, se dovessero leggere attentamente le mie osservazioni sul tema, si accorgerebbero che collimano peerfettamente con le loro.
Benito, non so per quale motivo mi cita. Ho letto i suoi interventi e in gran parte li condivido, tant’è che sono pure intervenuto in risposta al sig. Davide che commentava proprio uno dei suoi interventi…Non è che se non rispondo direttamente ai commenti che lei fa o se non la cito nei miei commenti significa che non leggo o che non capisco quello che scrive…Detto questo, probabilmente faccio davvero parte di quell’80%…ma considerata la percentuale così elevata, sono sicuro di essere in ottima compagnia qui! 🙂
Anche io come il Sig. Andrea vorrei avere il diritto di scegliere ma sopratutto poter CAPIRE tra le migliaia di prodotti “CONFEZIONATO IN ITALIA” da dove proviene la merce.
questa indicazine ritengo tra l’altro sia piuttosto fuorviante…
Non credo che sia così costoso aggiungere una indicazione su una confezione , sopratutto per il produttore , e quindi lasciare destinati i soldi della comunità per i controlli , a chi i controlli li deve fare per legge.
Consideriamo che non credo si possa controllare fino in fondo se un alimento è sano è stato allevato in maniera sana e se vogliamo considerare anche ETICA.
A questo punto , ad esempio, sapere che sto acquistando del pangasio del vietnam mi consentirebbe di fare una scelta oltre che ETICA anche di tipo “precauzionale” favorendo magari non il “pangasio italiano” ma quello “botwanese”…
Vorrei aggiungere anche alcune riflessioni sui famosi controlli per merce di “provenienza europea”
Chi è che dove dovrebbe fare i controlli ?
Ad esempio carne che arriva dalla polonia. I controlli vengono fatti in polonia? e su quali parametri ? sono gli stessi parametri che vengono effettuati qui in italia?
Se c’è stato un tentativo di frode fatto in polonia , magari per carne di provenienza cinese (faccio solo un esempio) e la merce arriva “controllata dalla polonia e di origine ufficialmente polacca” qui in italia, secondo voi
quanti controlli /quante volte occorrerebbe controllarla questa merce ?
credete che questa merce “di provenienza polacca” quindi europea, venga controllata ulteriormente quando passa il brennero/arriva in azienda di produzione per “confezionato in italia” ?
Vorrei portare la mia testimonianza, sono vicino al settore dei trasporti. voi non immaginate “i giri del mondo” che certa merce effettua per eludere sia i controlli di qualità nonchè quelli sul “made in” e tutto grazie al fatto che non è obbligatorio indicare l’origine in etichetta ma basta indicare chi lo ha confezionato.
Questo ovviamente non significa che i controlli/territori in italia siano migliori.
Di sicuro si darebbe al consumatore una serie di parametri in piu’ per scegliere non solo seguendo le regole/convenienze di chi VENDE
“la vendita/acquisto è un accordo tra le PARTI”
mi rendo conto che certe aziende hanno paura di mostrare alcune realtà che potrebbero essere non capite da tutti i consumatori ma io personalmente non lo ritengo un motivo socialmente giusto per rendermi “incosciente/incosapevole” di costa sto acquistando.
io voglio SCEGLIERE :
In maniera responsabile , sapendo dove/come viene realizzato il prodotto ovviamente in base alle informazioni che riesco ad ottenere e qui fortunatamente iternet aiuta.
Avrei anche la possibilità di scegliere in maniera ETICA , magari favorendo i prodotti a “KM0” ridicendo le emissioni inquinanti e tutto questo non significa avere/chiedere minori controlli.
diversamente perchè dovrei rinunciarci ?
perchè i grossi produttori rischierebbero di vedere ridotti certi profitti o ci sarebbe una concorrenza sul mercato che dia ulteriori parametri al consumatore e che non siano solo IL PREZZO BASSO E UN BUON MARKETING ?
Se vogliamo poi aggiungere anche il fatto che la famosa “carne dalla polonia” una volta “confezionata in italia” viene sicuramente venduta ad un prezzo piu basso di quella magari allevata in italia e dove (sempre magari) viene effettuato qualche controllo in più , andando a fare concorrenza sleale con i produttori locali, sopratuto in considerazione del fatto che il consumatore poco attento guarda solo il prezzo e magari il “confezionato in italia” senza sapere che il 99% dei prodotti SOLO CONFEZIONATI in ITALIA non è quasi mai italiano (io direi sempre..)
“su queste questioni”
c’è da riflettere su un bel po di cose …..altro che solo sui controlli e origine
Sui costi e sulle difficoltà delle aziende ad indicare l’origine delle materie prime in etichetta si è detto più volte. E’ chiaro che se si parte dal presupposto che l’azienda abbia il fine di occultare e ingannare il consumatore, il confronto non potrà mai essere costruttivo.
Sui soldi destinati al controllo: nel momento in cui si vuole l’indicazione dell’origine ci vorrà qualcuno che controlli la veridicità di tale informazione no? Considerando le già scarse risorse stanziate per i controlli di routine sulla sicurezza alimentare, andare a succhiare tempo e risorse per far anche controlli che, con buona pace di chi vuole e pretende tale indicazione in etichetta, sono oggettivamente di importanza secondaria rispetto alla salute…
Quanto al richiamo del marketing: trovo che il marketing “della bandierina” sia dannoso tanto quanto quello convenzionale…basti pensare a quanto deboli sarebbero nei confronti di questo marketing quelli che acquistano italiano a priori, facili prede di aziende che senza scrupoli preferiranno utilizzare pessime materie prime italiane pur di metterci la bandierina, invece di privilegiare materie prime migliori.
Le modifiche alla norma e ai processi di produzione possono avvenire anche diluite nel tempo in modo tale da dare la giusta possibilità di adeguarsi.
Per quanto riguarda i costi è ovvio che come in tutte le attività ci sono dei “parametri da considerare”
si considerano così tanto i “colori e le immagini” per essere più accattivanti , perchè non si potrebbe dedicare una parte di questo costo anche alle indicazioni extra ?
Io non parto dal presupposto che una azienda voglia occultare. Purtroppo quello potrà sempre accadere
Sto solo dicendo che da parte contraente voglio conoscere tutte le condizioni prima dell’acquisto senza necessariamente acquistare solo per la “bandierina”.
Io non acquisto ad esempio italiano a priori e mi affido (devo per forza) sia per “l’italiano” che il “non” ai controlli a cui lei fa riferimento
Allora questo controlli dobbiamo farli oppure no? e aldilà dell’origine…
In quel caso poi , oltre che al gusto/esperienza del consumatore , si potranno fare i dovuti controlli per stabilire se i senza scrupoli stanno utilizzando pessime materie prime.
Lei crede che chi è senza scrupoli è presente solo nel “network della bandierina” o lo è a prescindere?
o magari è già ben che presente nel “network del CONFEZIONATO IN ITALIA” e li già espone la PSEUDO (non vera) bandierina ?
Come in tutte le cose c’è un rischio di concorrenza. Immagino qualche vecchia “azienda nazionale” che di nazionale ora ha solo il nome, la sede e alcuni impiegati , che teme …
ai posteri le dovute considerazioni
Personalmente ritengo sia giusto che vengano considerate diverse esigenze non solo quelle del consumatore o del venditore che si preoccupa di un calo nelle vendite
è come dire …il consumatore è ignorante e si fa affascinare dalla “bandierina” ..cerchiamo di lasciarlo ignaro/ignorare per non cambiare lo status quo … tanto noi gli stiamo dando lo stesso ingredienti di qualità lo stesso …
ma scherziamo?
Fortunamante , da consumatore consapevole mi tengo ben alla larga da aziende che volutamente scelgono di trattarmi in tal modo E SCELGO DI NON COMPRARE I LORO PRODOTTI , allo stesso tempo faccio attenzione nei limiti del mio possibile di stare alla larga dagli sbandieratori nazionali.
magari , domani comprerò carne argentina
E’ vero che non sono le distanze ad inquinare gli alimenti, e che la provenienza italiana non identifica necessariamente la buona qualità, ma quando si ragiona sulla provenienza dei cibi c’è anche un altro fattore da tenere in considerazione: e cioè che sono i cibi che, compiendo lunghi viaggi, inquinano noi e il nostro pianeta. E’ il caso di iniziare a pensare ad un modo diverso di produrre e di consumare, locale per il locale, promuovere nuove filiere vicino a noi (avviene oggi in provincia di Como, in cui la Cooperativa Corto Circuito ha riattivato la filiera del grano e produce la propria farina e il pane. Era stato fatto in Brianza dal progetto Spiga e Madia, peccato che adesso su quei campi dovrà passare la tangenziale est esterna! ), rivedere la nostra alimentazione, il nostro modo di abitare il territorio. E non dobbiamo farlo per motivi “etici”, ma perchè è un passaggio fondamentale per poter continuare a sopravvivvere su questo pianeta, noi esseri umani e diverse altre specie animali e vegetali…
Infatti , il famoso “km0” di cui parlavo prima…
ma chi le vo va a spiegare ai “Signori” che si preoccupano del costo relativo all’indicazione sull’etichetta che poi dovranno ridurre i margini di profitto dovuti ai cali delle vendite nel caso in cui i consumatori vengono meglio educati/svegliati in merito a questi temi ed iniziano a SCEGLIERE DIVERSAMENTE?
Sul km 0: non sto a ripetere che basta guardare la cartina geografica per capire che il nostro territorio non può produrre tutto ciò che ci serve.
Ci sono studi che dimostrano che l’inquinamento del trasporto è di gran lunga inferiore a quello della produzione.
Quindi se proprio si vuole ridurre al minimo l’impatto ambientale si dovrebbe tenere conto della resa per ettaro.
L’impatto ambientale minore si avrebbe infatti concentrando la produzione nei luoghi che per loro natura garantiscono una maggior resa in modo tale da ridurre al minimo l’inquinamento causato dalla produzione. Resa data da condizioni climatiche, suolo, esposizione…
Al di là delle questioni tecniche concettualmente il km 0 è una contraddizione in termini.
Se praticato da una percentuale minima di persone, rimane una questione di principio nobile e rispettabile che però non risolve quanto si propone di risolvere, ovvero il problema dell’impatto ambientale. Se praticato su scala mondiale invece fa a pugni con quanto in questa discussione tutti dicono di voler difendere, ovvero il Made in Italy. Se tutti praticassero il km 0, non esporteremmo più nulla, con buona pace dell’export del Made in Italy…
Marco, i costi a cui mi riferisco sono quelli per cui un’azienda che stampa centinaia di migliaia di imballaggi, sarebbe costretta a buttarli tutti nel momento in cui cambiasse l’origine della materia prima. Non quelli legati al concept di un’etichetta.
Quando io parlo di materie prime pessime, intendo di qualità inferiore, non certo contaminate o non salubri, ci mancherebbe! Utilizzare una pessima materia prima non è certo vietato (purchè sia salubre: solo questo possono valutare i controlli), sta alla serietà dell’azienda non farlo o perlomeno non specularci sopra. Giustamente come dice lei, anche adesso, ci si deve affidare alla serietà delle aziende.
Se però si da la possibilità ad un’azienda non seria di fregiarsi della bandierina (usare pessime materie prime italiane da questa possibilità) e il consumatore viene indotto (basta accendere la TV e guardare i servizi sull’agroalimentare) a percepire questo “plus” come garanzia di salubrità a priori, si da a questa azienda, che di fatto, con la bandierina, sta facendo mero marketing, un vantaggio che non merita e in questo modo non si sta facendo un favore nè ai consumatori nè a tutto il sistema del “made in Italy”. E certamente non si potrà dire che un prodotto fatto con pessime materie prime italiane sia un vanto da esportare.
Non si può negare che gran parte delle persone considera i prodotti italiani più controllati e più sicuri di quelli esteri. Lo si legge addirittura qui sul Fatto Alimentare dove l’utenza dovrebbe essere ben informata, lo si vede ancora di più sui media…
Questo non significa che il consumatore è stupido.
E’ normale che se al consumatore in TV raccontano che mettendo l’origine sui prodotti non si potrebbe verificare più uno scandalo simile a quello della carne di cavallo, lui ci creda. Questa è responsabilità della cattiva informazione, che evidentemente non sono solo le aziende a fare.
Siamo tutti influenzati dai preconcetti. Basta leggere l’articolo secondo il quale due caffè identici vengono percepiti in modo diverso se viene raccontato che uno di essi è biologico…o basta ricordare di come siano stati smentiti fior di sommelier che hanno decantato i vini in modo diverso a secondo che fossero contenuti in bicchieri che li facessero apparire bianchi o rossi…
Pensare che siamo davvero in grado di valutare un prodotto senza essere vittime del marketing (di qualunque natura esso sia) è un’illusione. Certo, ci sarà chi è più sensibile e chi meno.
Magari sembra che io non sia d’accordo con lei, ma non è così. Più volte l’ho scritto. Fermo restando che non trovo corretto far gravare eccessivamente i costi sulle aziende, io non sono contrario all’indicazione dell’origine in etichetta. Io voglio tanto quanto lei che il consumatore venga informato. Ma informato davvero. Perchè se si vuole che l’indicazione dell’origine diventi davvero un servizio per il consumatore, bisogna che il consumatore comprenda esattamente ciò che questa indicazione significa. Solo se al consumatore questa cosa viene spiegata, potremmo dire che non è “ignorante”. Altrimenti sarà, ancora più di adesso, facile preda dei raggiri di quelle aziende che non si fanno troppi scrupoli.
Pensavo di essere stato chiaro quando dicevo che sarebbe utile effettuare le modifiche alle confezioni dando il giusto tempo, magari aspettando che le scorte di magazzino si esauriscano senza BUTTARE NULLA cosi come è avvenuto con altri regolamenti/prodotti/aziende che hanno avuto il tempo di adeguarsi.
Considerazioni del tipo “il costo viene gravato sull’azienda” mi sembra un po eccessivo.
da come la vedo io il costo ricade sempre sul consumatore finale, diversamente le aziende chiuderebbero o sarebbero finanziate pubblicamente per fare beneficenza.
Io ritengo che il marketing di cui lei parla avviene già adesso, anche questo l’avevo già detto , con o senza bandierina e sono molto cosciente di come questo possa influire e di come questo già avviene oggi.
Di prodotti fatti con materie prime salubri ma di bassa qualità ce ne sono a migliaia , il consumatore deve imparare a difendersi anche grazie alle etichette e qui finalmente ci troviamo d’accordo , quindi , personalmente ritengo sia giusto sia aggiungere indicazioni in etichetta e sia EDUCARE le persone.
Il non voler aggiungere informazioni per paura di xxxyyyetc è un atteggiamento che personalmente non condivido.
Il suo mi sembra un atteggiamento da titolare di una azienda a “nome italiano” che è costretta a produrre con materie prime che arrivano dall’estero (per diversi motivi anche giusti, che non sto qui ad elencare) e che teme la concorrenza dei produttori locali
Sappiamo bene che tanti prodotti di bassa qualità vengono “mascherati” da aromi e mille altri intrugli magici , non è certo avere più indicazioni che darebbe a queste aziende altri plus che ora già ci sono come ad esempio tanti slogan salutistici
Basterebbe aiutare i consumatori a capire meglio leggendo le etichette e anche qui ci troviamo daccordo: se leggo “aromi = devo preoccuparmi” verificare di cosa si tratta e quali sono questi aromi (nuovi intrugli magici per trasformare un prodotto senza sapore e con solo il 10% di materia prima XXX a cui riesco a dare il sapore della “fragola” grazie ad un aroma artificiale e a cui magari potrei essere allergico)
se leggo “prodotto in Italia” non è detto che sia una garanzia di qualità
L’indicazione dell’origine deve essere aggiunta insieme ad altre
Lei dice che il consumatore non è stupido. io penso semplicemente che sia ignaro.
Inviterei la redazione a fare un sondaggio. Quanti credono che i prodotti che comprano con le scritte “confezionato da tizio in Italia” sanno che al 99% si tratta di prodotti di origine estera ?
Quanti sanno che IGP non indica ASSOLUTAMENTE in nessun caso (per obbligo di legge) che non c’è nessuna garanzia circa l’origine italiana del prodotto ma tale indicazione “certifica” soltanto che i processi di produzione/ricette sono secondo tradizioni legate al territorio. Se qualche produttore inserisce in maniera autonoma e personale nel proprio disciplinare di produzione una regola nella quale indica anche l’origine dei prodotti
Sarei proprio curioso di vedere l’esito di una tale indagine
A questo punto, sempre personalmente, ritengo che sia giusto il compromesso, per andare incontro alle esigenze sia del produttore ma anche a quelle del consumatore
Da consumatore non ritengo assolutamente accettabile che vengano “coperte certe questioni” per tutelare solo gli interessi di chi produce rispetto alla sua concorrenza, (ripeto di “slogan senza scrupoli” ce ne sono già tanti)
se io compro il pomodoro X fatto in italia e non mi piace , torno a ricomprare quello che ho sempre comprato fino a ieri e che pensavo fosse italiano 100% ma poi ho scoperto che non lo era.
1) maggiori informazioni in etichetta, tra cui l’origine
2) educazione/informazione per i consumatori
Sarebbe utile per i produttori , anziché cercare di ostacolare in ogni modo l’aggiunta delle indicazioni in etichetta, di favorire l’educazione del consumatore stesso
Qui però si rischia di aprire un altro dibattito difficile. Dei vari ingredienti utilizzati, senza considerare l’origine, quanti sono artificiali e a rischio di allergie o poco testati scientificamente e che possano garantire che non facciano male?
Non ci si capisce.
E’ ovvio che nel momento in cui si parte si aspetta che le giacenze finiscano. Il problema si pone quando l’origine cambia successivamente. O quando non è possibile avere un’origine fissa. O quando un’azienda è costretta a cambiare materia prima perchè per diversi motivi la precedente non era più adatta al processo. A questo punto cosa fa l’azienda? Deve cambiare l’imballaggio ogni volta. Oppure mette informazioni generiche. Ma che utilità ha a questo punto per il consumatore leggere l’informazione “grano UE/extra UE”?! E questo per prodotti monoingrediente o con uno solo caratterizzante. Se si estende il ragionamento a prodotti multingrediente di cui magari anche solo 2 caratterizzanti? Il fatto che il costo aggiuntivo gravi sul consumatore mi sembra tutt’altro che trascurabile. Quanti sarebbero disposti a pagare di più se sapessero che in questo modo la loro salute non è più al sicuro?
Certo che il consumatore è ignaro, infatti ho scritto che manca la corretta informazione. E’ non è un vantaggio per nessuno (consumatore in primis) che un’azienda si fregi della bandierina approfittando del fatto che il consumatore è ignaro! Non serve a nulla dare le informazioni se poi i destinatari di tali informazioni non sanno usarle. Serve solo a far credere al consumatore di averle così pensa di acquistare in tranquillità e abbassa la guardia. E nel suo carrello della spesa finiscono prodotti di seconda scelta italiani pagati di più! E non è come lei sostiene che “li provo e se non mi piacciono torno a comprare quelli di prima!” Perchè il consumatore è lo stesso e come è vittima del marketing adesso, lo sarebbe anche dopo. A cambiare sarebbe solo il tipo di marketing. Ci sono migliaia di test che dimostrano come l’acquisto sia influenzato principalmente da altre variabili (preconcetti, confezione, colori…). Sono d’accordo, i consumatori sono ignari. Lo sono perchè c’è sempre e una sola voce in TV e sui giornali che è quella di Coldiretti.
Lo ripeto perchè voglio essere chiaro: non sono (per quanto valga la mia opinione) contrario all’indicazione dell’origine. Purchè non vengano sottratte risorse per i controlli “veri”. E purchè accompagnata da una campagna di corretta informazione che non è mai stata fatta, perchè non c’è interesse a farla, dove vengano evidenziati sia i pro che i contro. Se i primi a non dire le cose con chiarezza sono quelli che la chiarezza la vorrebbero…
Io invece credo di capire che questo degli imballaggi è un falso problema su cui vuole per forza “insistere”.
Se l’origine cambia, cosi come ad esempio cambia la data di scadenza (e quella di sicuro deve essere aggiornata su ogni confezione) basta aggiungere una ulteriore stampigliatura fatta a parte sull’ imballaggio che riporti l’indicazione dell’origine
Mi torna in mente un detto “volere ..è potere”
e credo si possa parlare di qualche centesimo di costo per singolo prodotto magari integrabile insieme alla data di scadenza e senza dover cambiare nessun imballaggio così come fanno già adesso tanti produttori che gestiscono materie prime da tutto il mondo e che devono integrare già obbligatoriamente l’origine.
A cosa può servire l’indicazione dell’origine l’ho scritto in alcuni messaggi su, e ripeto un piccolo esempio che non riguarda necessariamente la origine/qualità senza dover ripetere tutto… Se una azienda acquista da un paese che non rispetta le tutele dei lavoratori / la salubrità di certi processi di produzione / delle contaminazioni ogm (non controllabili nel prodotto finale), io voglio saperlo.
In tal modo poter scegliere sicuramente con una maggiore consapevolezza.
Questo non significa che avrò certezze al 100%, preferisco in ogni caso, avere informazioni in piu rispetto al “confezionato in italia” CHE NON MI DICONO ASSOLUTAMENTE NULLA a tale scopo.
Come gia detto in precedenza, posso voler preferire la “carne argentina” rispetto a quella “confezionata in italia” o ad una fiorentina.
Mi rendo conto , anche questo già detto, che cì sarà chi vuole approfittare grazie al marketing spregiudicato ma questo avviene già adesso e senza “bandierina” e con un nome ITALIANO
Se come dice lei io non sono posso valutare la qualità del prodotto offerto, dovrò fidarmi di chi mi aggiunge la bandierina. Oggi già devo fidarmi di chi mi fa credere che il prodotto sia italiano (confezionato) e mi trovo nella stessa condizione di non poter valutare la qualità, quindi dov’è la differenza ?
“produttore confezionatore vs produttore con banderina”
ci sarà solo maggiore concorrenza. I produttori dovreanno DIMOSTRARE oltre che con il marketing, l’utilizzo di materie prime di qualità, con altre iniziative.
Al momento tali produttori sfruttano a mio parere “pseudo bandierine” date dal vecchio nome aziendale o da disciplinari IGP o diciture “confezionato dallo stabilimento in italia” che ingannano il consumatore. Un inganno c’è già e “la guarda” è già bassa proprio per questo!
Le porto il mio esempio. La mia attenzione è aumentata quando ho scoperto anni fa, quelli che chiamo gli inganni del “confezionato da “, e fino ad oggi non è mai scesa quando ho acquistato un prodotto di origine italiano,anzi ..
Ritengo che l’informazione sia fondamentale (oltre che i controlli) ma non solo quella comunicata sull’etichetta, quella completa e relativa al produttore e che non sempre tutti hanno interesse e tempo di andare a verificare.
Con una maggiore concorrenza forse si raggiungerebbe un obbiettivo , quello di educare il consumatore , magari a discapito di una grande produzione di massa e con una produzione ridotta ma di qualità superiore. Forse, con il coinvolgimento delle aziende stesse , si potrebbe ottenere quella corretta informazione che non è stata mai fatta …
Non conosco nè seguo Coldiretti,ma dire che i consumatori sono ignari poichè l’unica voce è la loro mi sembra una assurdità di parte.
Dov’è “lo stato” che dovrebbe tutelare ed istruire i consumatori?
Dov’è il produttore di massa che si preoccupa di istruire il proprio cliente oltre che bombardarlo in tv con il marketing?
e la colpa è di Coldiretti?
Io comunque su una cosa sono certo ,
sarò stato pure poco chiaro ma non ho mai detto/pensato che sia sufficiente solo l’indicazione di origine, a discapito dei controlli. I controlli dovrebbero essere realizzati sopratutto da strutture pubbliche oltre che dai produttori stessi.
Quindi da consumatore pretendo entrambe le cose o meglio parto dal presupposto che i controlli debbano già avvenire e chiedo che vengano fatti con maggiore efficacia, in più voglio conoscere maggiori dettagli rispetto a quello che mi viene venduto, ma il mio interlocutore non vuole ascoltare …