In questi giorni è apparsa a tutta pagina sui quotidiani una pubblicità di Coca-Cola che potrebbe apparire di buon auspicio. Lo slogan è: “Meno zucchero. Più scelta”. Due righe dalle quali si potrebbe dedurre che l’azienda abbia deciso di andare incontro alle necessità nutrizionali dei consumatori e di seguire le Linee guida per una sana alimentazione, che indicano nella riduzione dello zucchero una strada obbligata da percorrere. Le frasi successive della campagna, che lancia una nuova Coca-Cola nello stesso tempo senza zucchero e senza caffeina, confermano l’impressione iniziale. Nel testo si legge: “Dal 2000 stiamo riducendo lo zucchero nelle nostre ricette, introducendo nuove bevande a basso o nullo contenuto calorico e offrendo confezioni con porzioni ridotte. Il messaggio prosegue dicendo: “Oggi in Italia il 71% del nostro portafoglio è a basso o nullo contenuto calorico con un incremento nel solo 2021, del 9% rispetto all’anno precedente“.
Quello che dichiara Coca-Cola è vero, ma c’è un particolare che sfugge a molti lettori. La sede italiana della multinazionale ha un assortimento molto vasto dove troviamo 31 tipi di bevande dolci, 22 delle quali contengono meno di 5 g/100 ml di zuccheri aggiunti. È però altrettanto vero che la quota più consistente del fatturato dell’azienda è tuttora derivata dalle vendite di Coca-Cola e di Fanta nelle versioni classiche, che prevedono l’aggiunta di ben 35 grammi di zucchero in ogni lattina da 33 cl. Nel 2021, infatti, il 73,4% delle vendite a volume di Coca-Cola e il 93,8% di Fanta riguardano ancora la versione classica (Fonte: Nielsen; tot. Italia commercio al dettaglio, in questo dato non è considerato il canale bar, ristoranti e hotel). Questo vuol dire che i consumatori continuano a bere prevalentemente bevande della Coca-Cola con 35 g di zucchero in ogni lattina.
Volendo anche pensare che la pubblicità sia realizzata con l’intenzione di indicare alle persone l’opportunità di assumere meno zuccheri, grazie alla scelta di bevande con edulcoranti, si tratta comunque di una comunicazione non proprio neutrale. Stiamo infatti sempre parlando di bevande dolcificate, ormai sconsigliate dai nutrizionisti, che invitano gli adulti a modificare lo stile di vita alimentare non solo riducendo la quantità di zucchero nella dieta, ma anche limitando i cibi dal gusto troppo dolce, persino quando questo gusto e dovuto all’aggiunta di dolcificanti, come nel caso delle bibite.
Per quanto riguarda poi in particolare i bambini, i nutrizionisti sconsigliano vivamente di assumere bevande dolci, comprese quelle con l’aggiunta di dolcificanti di sintesi. Questi additivi, infatti, sono accusati di avere un effetto diseducativo perché, con la promessa delle ‘zero calorie’, attirano i consumatori verso cibi dal gusto troppo dolce, poveri dal punto di vista nutrizionale e ascrivibili nella categoria del junk food. A fronte di un’immediata riduzione delle calorie assunte, nel lungo periodo le bevande light finiscono addirittura per aumentare la voglia di cibi ipercalorici.
Di pari passo, con la crescente domanda di bevande light a base di edulcoranti, si sono moltiplicati anche gli studi che ne rivelano altri potenziali rischi, paragonabili a quelli delle bevande zuccherate. Dai danni ai denti al maggior pericolo di sviluppare sovrappeso e obesità, dal diabete di tipo 2 ai problemi metabolici, dalle alterazioni del microbiota intestinale al rischio cardiovascolare. Sebbene non sia ancora del tutto chiaro in che modo le bibite dietetiche svolgano la loro azione nociva sulla salute, l’Efsa e l’Oms hanno messo in guardia contro l’utilizzo degli edulcoranti (come sucralosio, aspartame, saccarina, acesulfame-K, neotame, advantame, stevia, monk fruit) per perdere peso e prevenire malattie croniche non trasmissibili.
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Giornalista professionista, direttore de Il Fatto Alimentare. Laureato in Scienze delle preparazioni alimentari ha diretto il mensile Altroconsumo e maturato una lunga esperienza in test comparativi. Come free lance si è sempre occupato di tematiche alimentari.