In futuro dovremo rinunciare al cioccolato? Le piantagioni di cacao sono in sofferenza in tutto il mondo, a causa della diffusione inarrestabile di un virus che ha già provocato la morte del 50% delle piante africane. I prezzi, di conseguenza, continuano a salire. Ma per fortuna diversi ricercatori e start up stanno proponendo soluzioni alternative per superare la crisi, e per affrontare meglio le conseguenze del cambiamento climatico, che resteranno anche qualora si riuscisse a superare il momento attuale.
Un virus inarrestabile
Le piante di cacao del Ghana e della Costa d’Avorio, i due principali produttori al mondo, sono minacciate da un virus chiamato CSSV (da Cacao Swollen Shoot Virus), veicolato da una cocciniglia in forte aumento a causa delle piogge. A causa dell’infezione, il Ghana negli ultimi anni ha perso oltre 254 milioni di piante, pari al 15-50% di quelle presenti solo pochi anni fa. E il problema, come spiega Benito Chen-Charpentier, docente all’Università del Texas di Arlington e autore di un articolo dedicato al tema pubblicato su PLoS One, è che questi insetti sono pochissimo sensibili agli insetticidi, e costringono quindi i coltivatori a eliminare le piante malate, in assenza di altre soluzioni.
L’unica cosa efficace sembra essere un vaccino che esiste, ma è costoso, e non disponibile per la maggior parte dei coltivatori africani. Oltretutto, le piante vaccinate danno raccolti meno abbondanti, scoraggiando ulteriormente anche coloro che potrebbero permettersi l’immunizzazione. La soluzione proposta da Chen-Charpentier è però di tutt’altro tipo: un calcolo matematico. Nell’articolo il ricercatore spiega che è possibile calcolare a quale distanza devono essere piantate le piante vaccinate per far sì che le cocciniglie non riescano a passare dall’una all’altra, tenendo conto dei numerosi modi attraverso cui questi insetti si spostano, compresi il vento e la pioggia, oltre ai movimenti volontari. Secondo i modelli, distanza e, quando possibile, vaccinazione, potrebbero quindi essere di aiuto.
Sfruttare tutto
Intanto, alcuni ricercatori come quelli del Politecnico di Zurigo, stanno cercando di capire come sfruttare al meglio le piante di cacao, per cambiare pratiche consolidate, ma che oggi appaiono inaccettabili, visto il grande spreco che le caratterizza. Insieme alla start up Koa, all’azienda cioccolatiera Felchlin, e con il sostegno dei fondi federali di Innosuisse, l’agenzia pubblica che sostiene l’innovazione, propongono di sfruttare tutto il seme e non solo, come accade ora, la fava, cioè la parte più interna. L’idea, illustrata su Nature Food, parte da una constatazione: il frutto del cacao è paragonabile a quello del melone, e anche la sua polpa è ricca di ingredienti interessanti, così come lo è il guscio esterno. Entrambi, oggi, vengono scartati o destinati a produzioni diverse. Tuttavia, quando vengono ridotti in polvere e mischiati, producono un gel ricco di zuccheri naturali, che potrebbe sostituire gli zuccheri aggiunti.
La ricetta alternativa
Così, hanno lavorato per mettere a punto la ricetta migliore. Non è stato facile arrivare alle giuste proporzioni, visto che troppo guscio altera la texture, e troppo poca polpa la dolcezza, ma alla fine, anche grazie a numerosi assaggi di un panel specializzato, l’esperimento sembra essere riuscito. Il cioccolato che contiene circa il 20% di gel ha la stessa dolcezza che si trova nel cioccolato classico con il 5-10% di zuccheri aggiunti (per un confronto: il cioccolato amaro arriva facilmente al 30-40% di zucchero aggiunto).
E i vantaggi non finiscono qui. Il cioccolato con il gel, ha un elevato contenuto di fibre, in media 15 grammi ogni 100, rispetto ai 12 medi del cioccolato amaro europeo (un aumento del 20%), e solo 23 grammi di acidi grassi saturi ogni 100, contro i 33 del cioccolato amaro, una riduzione del 30%. Se un cioccolato così realizzato si affermasse, tutta la filiera sarebbe più sostenibile, e i lavoratori riuscirebbero a contenere le perdite, sfruttando quasi tutto il frutto.
La start up italiana
Massimo Sabatini, Giuseppe d’Alessandro, Riccardo Bottiroli e Massimo Brochetta sono invece i fondatori di Forevererland, una start up tutta italiana che parte dalle piante dimenticate, da quelle autoctone e da alcuni scarti vegetali locali, per giungere a un cioccolato più sostenibile, anche dal punto di vista dello sfruttamento dei lavoratori. Il loro Freecao, già in vendita, è a base di carruba, grassi vegetali, zuccheri e vari cereali, per conferire diverse sfumature di aroma. Gli impatti sarebbero inferiori del 90% per l’acqua, e dell’80% per le emissioni.
Il cioccolato tree-free
C’è poi chi sta cercando di prescindere del tutto dalle piante, come la start up Planet A Foods, che ottiene cioccolato partendo dai semi di girasole e dall’avena fermentati con un metodo segreto, e poi arrostiti. I suoi prodotti come ChoViva, composti al 20% da semi di girasole e avena, più grassi vegetali, zuccheri e latte (o solo avena per la versione vegana) sono già in vendita, e si trovano anche all’interno di altri prodotti tra i quali un cioccolato vegano Lindt. Le emissioni di CO2 sarebbero inferiori del 90% rispetto al cioccolato tradizionale.
Anche Win Win sperimenta varie farine, oltre alle carrube, e tra le quali alcune miscele a base di orzo, di karitè e perfino alghe, cui vengono aggiunti zuccheri e grassi vegetali. Alcuni dei suoi prodotti sono già in vendita.
Il cioccolato con gli scarti
Pensa invece all’upcycling la start up Voyage Foods, che parte dai semi di uva rimasti dopo la produzione del vino e li combina con zucchero di canna, grassi vegetali, farina di semi di girasole, aromi naturali, lecitina anch’essa di girasole e un pizzico di sale. Il risultato è un cioccolato vegano dagli impatti ambientali (certificati) invidiabili: il 99% in meno di uso di acqua rispetto al cioccolato classico, l’81-84% in meno di emissioni di gas serra e il 68-88% in meno di emissioni associate all’uso dei terreni. Di recente, Voyage Foods ha annunciato una partnership con il colosso Cargill per cioccolati privi di cacao, nocciole e mandorle, ma con sapori simili.
Analogamente, la Nukoko punta sugli scarti e, nello specifico, sulle fave, che oltretutto, essendo coltivate in quantità in Europa, non pongono problemi legati alle norme sulla deforestazione appena approvate. Inoltre, le fave contengono una proteina cruciale presente anche nel cacao, chiamata vicilina, che le rende quasi ideali per questo tipo di impiego. È infatti questa proteina che, una volta arrostita, sprigiona il tipico aroma di cacao. Anche in questo caso, il primo passaggio è una fermentazione, seguita dalla polverizzazione e dalla tostatura. Nokoko punta al mercato dei prodotti più popolari ed economici.
Il cioccolato da agricoltura cellulare
Anche se se ne parla poco, la coltivazione di cellule è attiva anche in ambito vegetale: si cerca di ottenere in coltura ciò che normalmente si ricava dalle piante, ma in condizioni controllate, senza scarti e senza bisogno do pesticidi o fertilizzanti. In questo ambito, la Celleste è all’avanguardia e riesce a ottenere colture continue di cellule di cacao partendo da una o due bacche, messe in coltura con acqua, vitamine e zuccheri. Secondo i calcoli fatti dalla start up, con una sola cellula posta in un bioreattore può rimpiazzare il raccolto di 10.000 metri quadrati di piante, e assicurare due tonnellate di cacao all’anno, pari al raccolto di 1.736 alberi che, oltretutto, richiedono da quattro a sette anni per giungere a maturazione. Celleste sta inoltre utilizzando l’intelligenza artificiale per la formulazione di prodotti che possano incontrare i gusti e le esigenze del pubblico, e per contenere i costi.
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Giornalista scientifica
Sono orgoglioso di essere dal 1999 l’importatore per l’Italia di Felchlin, azienda svizzera produttrice di cioccolato B2B da voi citata in questo articolo. L’attenzione di Felchlin per l’ambiente e il supporto agli agricoltori locali con aiuti economici per le assicurazioni sanitarie (Es. progetto Salama Mateza in Madagascar) sono da sempre il carattere distintivo di questa società indipendente fondata nel 1908.
una info di estremo interesse anche per i non golosi. interessanti anche le proposte – innovative – per superare il problema. Un unico dubbio ma importante : il gusto. Non si consuma cioccolato per motivi salutistici ai quali le soluzioni ipotizzate parrebbero offrire risposte adeguate, ma perché dà piacere sollecitando neuromodulatori e neurotrasmettitori di cui il consumatore non sa ma di cui apprezza poi gli effetti: la teobromina nel cibo degli dei.
Perfetto l’uso dei bioreattori per produrre il cacao “coltivato” e la ricerca di altre sostanze vegetali tra cui le fave che si coltivano abbondantemente in Italia (vicia faba) che essendo una leguminosa arricchisce il terreno di azoto e sostanza organica. bisognerebbe però pensare anche ai coltivatori del vero cacao e studiare qualche alternativa alla coltivazione del cacao per consentire loro di rimanere nei territori di origine senza dover ingrossare le fila di popolazioni inurbate.
Grazie
Domanda ignorante: non ci sono predatori naturali di queste cocciniglie da impiegare (sempre ammesso che questi non causino altri danni, che non sarebbe la prima volta…)?
Ma infatti! Qui ci sarebbe lo spazio scientifico per una ricerca sul campo … cosa aspetta il mondo della ricerca, le sue istituzioni scientifiche (università, centri di ricerca; magari pure CNR?) a sviluppare un’indagine per scongiurare la scomparsa della piante? Favorendo tra l’altro l’economia locale e il sostegno alla gente del posto.