Si sono moltiplicati, nelle ultime settimane, gli studi che associano un consumo regolare di cibo spazzatura e di bevande zuccherate ai danni per la salute. E poiché si tratta di studi condotti secondo i canoni scientifici, spesso su grandi campioni e presentati in sedi autorevoli, ci si aspetta che chi si oppone a provvedimenti drastici abbia sempre meno argomenti e, soprattutto, sia meno ascoltato.
Per restare all’ultima settimana, il giornale dei medici americani, JAMA, ha pubblicato uno studio che mette in relazione il consumo di bibite zuccherate al rischio di morte, in un campione di quasi 13.500 adulti (con più di 45 anni) seguiti per non meno di sei anni. I ricercatori della Emory University di Atlanta hanno dimostrato che ogni lattina da 350 ml in più al giorno è collegata un aumento del rischio di morte per qualunque causa dell’11% e del 24% quando la bevanda è un succo di frutta al 100%.
Pochi giorni dopo il British Medical Journal, rivista altrettanto importante, ha pubblicato due ricerche. Nella prima la valutazione è stata incentrata sul legame tra junk food e, anche qui, il rischio di morte per qualunque causa. I nutrizionisti dell’Università di Navarra, in Spagna, hanno verificato la salute di poco meno di 20 mila persone di tutte le età seguite per 15 anni e hanno visto che chi aveva assunto più di quattro porzioni al giorno di cibo ultra-lavorato aveva avuto un aumento del rischio relativo di morte del 62% rispetto a chi ne aveva consumato di meno, e che l’aumento era stato dose-dipendente. Per ogni porzione giornaliera aggiunta, il rischio era salito del 18%, cioè in percentuali non diverse da quelle trovate dai ricercatori della Emory University per le bibite.
Nel secondo studio i ricercatori di diverse università e centri di ricerca francesi e brasiliani hanno associato lo stesso tipo di cibo alle malattie cardiovascolari, su un campione di oltre 105 mila persone seguite per più di cinque anni; anche in questo caso chi ne ha consumato di più ha avuto un significativo aumento del rischio di malattie cardio- e cerebrovascolari.
A commento delle due analisi, la rivista ha pubblicato un editoriale scritto da due esperti dell’Institute for Physical Activity and Nutrition, School of Exercise and Nutrition Science della Deakin University di Geelong, in Australia, che oltre a rivolgere un invito a tutti a ridurre il più possibile il consumo di junk food e bibite zuccherate, si rivolgono alle autorità sanitarie di tutti i Paesi affinché adottino le etichette a semaforo, le tasse su zucchero e cibo spazzatura, le limitazioni alla pubblicità e tutto ciò che – ormai è dimostrato – aiuta a limitare l’assunzione di alimenti lavorati e di bevande dolci.
Infine, i ricercatori dell’Università Federico II di Napoli coordinati da Roberto Berni Canani hanno appena presentato al congresso europeo di gastroenterologia, epatologia e nutrizione pediatrica svoltosi a Glasgow i dati, ottenuti su una sessantina di bambini, che dimostrano l’esistenza di un nesso tra consumo di junk food e allergie. Il cibo spazzatura è infatti la fonte primaria di un gruppo di proteine chiamate AGE (da advanced glycation end products), che si formano nelle lavorazioni industriali così come nella cottura su grill o con le microonde, e che sono state associate a diverse malattie cardiovascolari e neurologiche. I bambini con allergie alimentari ne hanno molte di più rispetto a quelli con altri tipi di allergie, per esempio pollinosi: questo suggerisce che, tra le cause dell’aumento di allergie alimentari ci sia quello di cibi troppo lavorati. Un altro buon motivo per limitare il consumo di bevande e alimenti industriali.
Il Fatto Alimentare ha realizzato un dossier sui prodotti ultra-trasformati, basato sul rapporto sull’alimentazione industriale realizzato da una commissione parlamentare francese, focalizzando l’attenzione sul cambiamento dei modelli alimentari e sulle possibili soluzioni, proponendo alcune delle raccomandazioni francesi che potrebbero essere tranquillamente adottate nel nostro Paese, se non all’Europa intera.
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