Ora è dimostrato inequivocabilmente, anche se i dati sono stati ottenuti su un campione piccolo di persone: il cibo industriale ultra-processato fa ingrassare. I nutrizionisti del National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases di Bethesda (Maryland) hanno chiesto a 20 volontari, 10 maschi e 10 femmine, di vivere nel loro laboratorio per 28 giorni, e di seguire per due settimane una dieta basata su alimenti semplici (per esempio, frutta fresca, yogurt naturale e pane integrale per la prima colazione) oppure una costituita da cibi pronti (tra i quali, ravioli e maccheroni, pasticcio di tacchino, salse, pollo fritto, frutta sciroppata e così via), e poi di invertire il tipo di alimentazione. Durante il test, i partecipanti sono stati lasciati liberi di mangiare ciò che volevano, anche se le porzioni offerte contenevano lo stesso numero assoluto di calorie e la stessa concentrazione di nutrienti, a prescindere dalla tipologia.
Alla fine delle quattro settimane, i ricercatori hanno verificato cos’era successo e il risultato, pubblicato su Cell Metabolism, è stato chiarissimo: quando i partecipanti hanno seguito la dieta basata sugli alimenti industriali, hanno assunto in media 500 calorie in più al giorno, e acquisito poco meno di un chilo in due settimane.
Gli autori non sanno spiegare per quale motivo il cibo industriale faccia ingrassare, anche perché tutti i volontari si sono dichiarati soddisfatti e non si può quindi pensare che l’assunzione di più calorie sia stata dovuta a una questione di gusto più appetitoso. Forse – hanno ipotizzato – le differenze dipendono dall’attivazione, da parte degli alimenti lavorati, di alcuni circuiti ormonali relativi al metabolismo dell’insulina e all’appetito. Inoltre potrebbe esserci anche un fattore associato alla palatabilità, migliore nel cibo industriale, oppure all’eccesso di zuccheri, sali e grassi che, stimolando le regioni cerebrali del piacere, spinge ad assumere altro cibo dello stesso tipo. Quali che siano i motivi – ed è probabile che ve ne sia più di uno – gli alimenti confezionati spingono a mangiare di più.
Una conferma indiretta del fatto che sia meglio scegliere alimenti con pochi grassi, del resto, è giunta dall’anticipazione di uno studio che sarà presentato nei prossimi giorni al congresso mondiale di oncologia medica di Chicago. Un altro gruppo di ricercatori dei National Institutes of Health di Bethesda ha analizzato che cosa era successo a una popolazione di oltre 49 mila donne americane con più di 50 anni, che avevano preso parte al grande studio di popolazione noto come Women’s Health Initiative. Queste donne, infatti, erano state invitate a seguire una dieta povera di grassi (-20% rispetto alle normali abitudini) per 8,5 anni, aumentando al tempo stesso il consumo di frutta e verdura fresca e cereali integrali, e alla fine è stato dimostrato che, tra le donne con una diagnosi di tumore al seno, chi aveva seguito questo regime alimentare aveva avuto il 35% in meno di rischio di morire per tumore o per qualunque altra causa. Quello studio è finito da vent’anni, ma ancora oggi le donne che erano state assegnate al gruppo con meno grassi hanno il 15% in meno di rischio di morte in generale, e il 21% in meno di rischio di morte per un tumore al seno in particolare.
Dopo molti anni di studi epidemiologici, nei quali era di fatto impossibile stabilire un nesso di causa-effetto, queste due ricerche danno quindi consistenza a ciò che è noto da tempo: per mantenersi in salute, la strategia vincente è mangiare alimenti poco lavorati, cucinati in casa e a basso tenore di grassi, sale, zuccheri.
Il Fatto Alimentare ha realizzato un dossier sui prodotti ultra-trasformati, basato sul rapporto sull’alimentazione industriale realizzato da una commissione parlamentare francese, focalizzando l’attenzione sul cambiamento dei modelli alimentari e sulle possibili soluzioni, proponendo alcune delle raccomandazioni francesi che potrebbero essere tranquillamente adottate nel nostro Paese, se non all’Europa intera.
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Giornalista scientifica