Ho letto con interesse l’articolo sul cibo biologico “Intelligenza e dieta biologica: uno studio mette in correlazione la dieta, gli inquinanti e lo sviluppo”. Ai ricercatori è risultata evidente la correlazione tra la buona qualità della dieta (con prodotti biologici o poco processati) e sviluppo neurologico dei bambini, con tutto ciò che significa in termini di ragionamento, concentrazione e memoria della prossima generazione. Si tratta di risultati che dovrebbero indurre qualche riflessione. Intanto confermano come gli obiettivi indicati dalla strategia Farm to Fork della Commissione Europea (tagliare entro il 2030 almeno di metà i pesticidi agricoli, il dilavamento di fertilizzanti e gli antibiotici a uso zootecnico, portando per di più almeno al 25% le superfici agricole europee condotte con metodo biologico), non siano una velleità buona per tacitare Greta, ma una scelta politica ormai del tutto ineludibile non solo per la salute delle acque e dell’ambiente, ma anche per i prossimi cittadini europei.
Questi obiettivi evidenziano l’esigenza di una nuova visione della sicurezza alimentare, che non si curi solo dei rischi acuti (quelli che danno il via agli allerta e ai richiami dei prodotti), ma anche di quelli a lungo termine o cronici, per i quali non sono assolutamente previsti né allerta né richiami. Dovrebbero esserlo, invece, a meno che non si voglia considerare accettabile che al peggioramento delle condizioni ambientali e alla perdita di biodiversità si aggiunga la prospettiva di una generazione meno intelligente di quella che l’ha preceduta (che già è tutto dire). La netta evidenza che dal processo produttivo deriva cibo che mette a rischio la salute e lo sviluppo neurologico dei bambini, seppellisce senza appello il paradigma che sia necessario ridurre con tutti i mezzi i costi di produzione per poter garantire cibo alla portata di tutti. I risultati dello studio dovrebbero, infine, suscitare riflessioni sulla differenza che corre tra “prezzo” e “valore” delle produzioni alimentari: un prodotto che costa poco, ma fa male alla salute e all’ambiente sarà anche “economico”, ma non è per niente “vantaggioso”. La ricerca citata non è rivoluzionaria, ma si inserisce in un nutrito elenco che, ormai da qualche anno, ammonisce sugli effetti dei pesticidi sullo sviluppo neurologico e altri aspetti della salute. Segnalo agli interessati qualche altra ricerca le cui conclusioni sono allineate con quelle citate nell’articolo.
Seven-year neurodevelopmental scores and prenatal exposure to chlorpyrifos, a common agricultural pesticide. Riportiamo l’evidenza di deficit nell’indice della memoria di lavoro e nel quoziente di intelligenza su larga scala in funzione dell’esposizione prenatale a chlorpyrifos a 7 anni di età. Questi risultati sono importanti alla luce dell’uso diffuso e continuato dell’insetticida negli ambienti agricoli e delle possibili implicazioni educative di questi deficit cognitivi precoci a lungo termine.
Prenatal exposure to organophosphate pesticides and IQ in 7-year-old children. Le concentrazioni urinarie di alchilfosfati (i biomarcatori di esposizione agli insetticidi organofosfati) misurate durante la gravidanza presentavano una curva simile ai punteggi cognitivi misurati su una coorte di oltre 300 bambini a 6 mesi, 1 anno, 2 anni, tre anni e mezzo e 5 anni d’età. A sette anni di età sono stati somministrati ai bambini i test ufficiali per la valutazione dell’intelligenza; le concentrazioni di alchilfosfati della mamma sono risultate associate a punteggi più bassi per memoria di lavoro, velocità di elaborazione, comprensione verbale, ragionamento percettivo e quoziente d’intelligenza totale. I bambini le cui mamme, in gravidanza, avevano presentato concentrazioni più elevate dei marker di pesticidi, presentano un deficit medio di 7,0 punti di quoziente d’intelligenza.
Attention Deficit/Hyperactivity Disorder and Urinary Metabolites of Organophosphate Pesticides in U.S. Children 8–15 Years. I risultati dello studio supportano l’ipotesi che l’esposizione a insetticidi organofosfati a livelli comuni tra i bambini statunitensi possono contribuire alla prevalenza del disturbo da deficit di attenzione/iperattività. Per i bambini con concentrazioni più elevate di metaboliti urinari da pesticidi (in particolare dimetilalchilfosfati), è più elevata la probabilità di una diagnosi di deficit di attenzione/iperattività (ADHD). Nel caso del metabolita più comunemente rilevato, dimetiltiofosfato, i bambini con livelli superiore alla media delle concentrazioni rilevabili avevano il doppio delle probabilità di ADHD rispetto a quelli con livelli non rilevabili.
Pesticide Exposure and Child Neurodevelopment. I pesticidi possono avere effetti dannosi sulla salute umana, e i bambini piccoli sono tra i particolarmente vulnerabili. Ricerche recenti suggeriscono che anche bassi livelli di esposizione ai pesticidi possono influenzare lo sviluppo neurologico e comportamentale dei bambini. Le evidenze mostrano un legame tra pesticidi e riflessi neonatali, sviluppo psicomotorio e mentale, disturbo da deficit di attenzione e iperattività.
Impact of Prenatal Chlorpyrifos Exposure on Neurodevelopment in the First 3 Years of Life Among Inner-City Children. Rispetto a quelli con livelli più bassi di esposizione , bambini più esposti al chlorpyrifos hanno ottenuto, in media, 6,5 punti in meno nel Bayley Psychomotor Development Index e 3,3 punti in meno nel Bayley Mental Development Index a 3 anni di età. I bambini più esposti avevano anche una probabilità significativamente maggiore di sperimentare ritardi nell’indice di sviluppo psicomotorio e nell’indice di sviluppo mentale, problemi di attenzione, problemi di deficit di attenzione/iperattività e disturbi pervasivi dello sviluppo a 3 anni di età.
Neurobehavioral Deficits and Increased Blood Pressure in School-Age Children Prenatally Exposed to Pesticides. I risultati supportano l’idea che l’esposizione prenatale ai pesticidi, a livelli che non producono effetti negativi per la salute della madre, può causare effetti negativi duraturi sullo sviluppo cerebrale nei bambini.L’esposizione ai pesticidi può contribuire a quella che gli autori definiscono una “pandemia silenziosa” di neurotossicità dello sviluppo.
Cancer and non-cancer health effects from food contaminant exposures for children and adults in California: a risk assessment. Le strategie dietetiche per ridurre l’esposizione a composti tossici per i quali sono superati gli indicatori per cancro e altre patologie variano in base alla sostanza. Le strategie comprendono il consumo di prodotti lattiero caseari biologici e di una serie di prodotti ortofrutticoli biologici per ridurre l’assunzione di pesticidi, un minor consumo di alimenti di origine animale per ridurre l’assunzione di inquinanti organici persistenti e di metalli pesanti e una riduzione di patatine e altri alimenti trasformati a base di carboidrati per ridurre l’assunzione di acrilammide.
In Utero Pesticide Exposure and Leukemia in Brazilian Children < 2 Years of Age. I risultati dello studio supportano l’ipotesi che l’esposizione ai pesticidi durante la gravidanza possa essere coinvolta nell’eziologia della leucemia acuta nei bambini < 2 anni di età.
Organic Diets Significantly Lower Children’s Dietary Exposure to Organophosphorus Pesticides. Nello studio si è sostituita per 5 giorni consecutivi la maggior parte degli alimenti convenzionali assunti dai bambini con alimenti biologici per poi procedere all’analisi delle urine. I metaboliti specifici degli insetticidi malathion e chlorpyrifos sono scesi sotto il livello di rilevabilità immediatamente dopo l’introduzione di diete biologiche e sono rimasti non rilevabili fino a quando non sono state reintrodotte le diete convenzionali. Scrivono i ricercatori: “In conclusione, siamo stati in grado di dimostrare che una dieta biologica fornisce un effetto protettivo drammatico e immediato contro le esposizioni ai pesticidi organofosforici di comune utilizzo nella produzione agricola”
Dietary intake and its contribution to longitudinal organophosphorus pesticide exposure in urban/suburban children. I risultati dello studio dimostrano che l’assunzione alimentare di pesticidi organofosfati rappresenta la principale fonte di esposizione nei bambini e che sostituendo frutta e verdura fresca convenzionale con quella biologica, le concentrazioni mediane dei metaboliti urinari non sono più rilevabili o sono vicine al livello di non rilevabilità dopo 5 giorni, indipendentemente dalla stagione.
Effect of Organic Diet Intervention on Pesticide Exposures in Young Children Living in Low-Income Urban and Agricultural Communities. Una dieta biologica è significativamente associata nei bambini a ridotte concentrazioni urinarie di metaboliti non specifici di insetticidi organofosfati e dell’erbicida 2,4-D.
Organic diet intervention significantly reduces urinary glyphosate levels in U.S. children and adults. Una dieta biologica è associata a livelli urinari significativamente ridotti di glifosato e del suo metabolita AMPA. La riduzione dei livelli delle due sostanze è rapida, con la non rilevabilità entro tre giorni. Lo studio conferma che la dieta è una fonte primaria di esposizione al glifosato e che il passaggio a una dieta biologica è un modo efficace per ridurre il carico corporeo di glifosato e del suo principale metabolita. “Questa ricerca si aggiunge a un corpus crescente di letteratura che indica che una dieta biologica può ridurre l’esposizione a una serie di pesticidi nei bambini e negli adulti”.
Organophosphorus Pesticide Exposure of Urban and Suburban Preschool Children with Organic and Conventional Diets. Il lavoro indica che il consumo di frutta, verdura e succhi biologici può ridurre i livelli di esposizione ai pesticidi dei bambini da sopra a sotto i valori di riferimento indicati dalla U.S. Environmental Protection Agency, spostando in tal modo le esposizioni da una gamma di rischi indeterminati a trascurabili. Scrivono gli autori: “Il consumo di prodotti biologici sembra fornire ai genitori un modo relativamente semplice per ridurre l’esposizione dei loro figli ai pesticidi organofosfati”.
Roberto Pinton – Progetto Biols.eu (www.biolseu.eu/it)
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Buongiorno, visto che i limiti di presenza di sostanze (pesticidi ecc.) nel prodotto è lo stesso, che sia Bio o No, non sarebbe più logico dire che i limiti fissati dalla legge sono troppo alti e quindi abbassarli ulteriormente? Visto che, immagino, nei prodotti delle multinazionali del Bio la presenza sarà più alta in quanto useranno il concesso “a bomba” per ragioni economiche, mentre magari il mio vicino che ha una piccola azienda e lo fa per passione userà meno prodotti (chiaramente è un opinione mia non supportata da dati).
Penso che sarebbe più giusto un approccio del genere , piuttosto che spingere tutti al Bio che comporterebbe altri problemi legati alla resa.
Mi scusi ma forse non ha capito che i pesticidi citati e analizzati sono sempre stati rigorosamente vietati nell agricoltura biologica.
Si, non avevo capito, però si parla sempre di pesticidi vietati nella coltivazione, non all’interno del prodotto, giusto? Viene fatta una rilevazione di residui differenziata fra Bio e Tradizionale che ci dice nel Bio sicuramente non ci sono, o basta che siano al di sotto della soglia di legge? Certo che se un agricoltore Bio è onesto e a debita distanza da campi che coltivati tradizionalmente mi aspetterei di non trovarli.
lo chiedo senza polemiche, visto che riguardo al Bio si sente dire tutto e il contrario (da fonti tra l’altro autorevoli).
Riccardo Doroni, gli agricoltori biologici devono avere una certificazione e dei controlli periodici. La certificazione si ottiene dopo alcuni anni, nel caso che una azienda convenzionale venga convertita in biologico. Una azienda biologica per norma, deve essere protetta da delle “fasce di sicurezza” realizzate con siepi, e deve rispettare delle precise distanze nel caso che abbia un campo vicino trattato convenzionalmente, per evitare le cosiddette derive. Ovviamente la certificazione non viene concessa laddove il degrado del suolo e l’inquinamento rappresentino un livello troppo alto. Ma purtroppo il mondo è stato completamente inquinato e i residui di certi fitofarmaci usati in agricoltura convenzionale li hanno trovati anche nell’Antartico. La purezza dell’ambiente non esiste più. Col biologico, oltre che cercare di produrre cibo più sano possibile, si cerca anche di riequilibrare un ambiente che è stato letteralmente sconvolto da decenni di agricoltura convenzionale.
Un immenso grazie per l’articolo,.
L’ambiente ( e i corpi degli abitanti della Terra ) conservano per molti anni le tracce di sostanze pericolose, poi ci stà che qualcuno si accontenti di abbassare i limiti, ma questo modo di procedere ha un difetto che ne invalida l’efficacia, perchè restiamo attaccati a diminuzioni poco significanti che vengono lette e sbandierate come traguardi ambiti, però inutili per pulire la casa di tutti.
Se ti riferisci al mio commento guarda che nel mondo reale ogni cosa, azione ecc. ha una soglia di pericolosità / tollerabilità stabilita da istituzioni che valutano le evidenze scientifiche “del momento”.
Non so se si riuscirebbe a sfamare il mondo eliminando tutti i prodotti chimici utilizzati, mi sembra più sensato a concentrarsi su ulteriori diminuzioni e ricerca di sistemi più avanzati tecnologicamente.
E poi immagino che anche andare in auto e riscaldarsi abbia un impatto sulla terra e sull’uomo. Ma immagino che tu vada a piedi..
Il decreto del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali n.309/2011 (si può scaricare qui l’allegato: http://sinab.it/sites/default/files/520_dm_contaminazioni_allegato.pdf) indica in 0,01 mg/kg la soglia numerica al di sopra della quale non è concedibile la certificazione di prodotto biologico.
Questo anche quando le indagini (che sono obbligatorie alla minima rilevabilità strumentale) rilevassero che si tratta di contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile per la quale l’agricoltore non reca alcuna responsabilità (esempio: contaminazione delle falde acquifere, deriva da trattamenti di altre aziende della zona).
Zero virgola zero uno mg per kg è in genere la soglia di rilevabilità strumentale, equivale a 1 milligrammo su cento chili di prodotto, che sta a dire 1 grammo di sostanza attiva su 100 tonnellate di prodotto.
Il che sta a dire che qualora le analisi evidenzino la presenza di residui di oltre 1 grammo su 100 tonnellate di insalate, di mele, di frumento eccetera, anche se si accerta la non responsabilità dell’azienda, ma dei vicini (o dei consorzi pubblici incaricati di bonificare le acque che, con tutta evidenza, non vi provvedono) il prodotto non può venire commercializzato come biologico.
I limiti massimi di residui per contaminazioni involontarie e inevitabili di glifosate su qualsiasi prodotto biologico sono 0,01 mg/kg; sul frumento, lenticchie e piselli convenzionali sono 10 mg/kg (esattamente 1.000 volte superiori), sull’avena, la soia e il girasole convenzionali il LMR è 20 mg/kg (esattamente 2.000 volte superiori).
Quindi, signor Doroni, col fischio che i limiti sono gli stessi.
Buttare la faccenda in polemica è inutile, ognuno fa quello che può per stare meglio e far star meglio figli e nipot e altri la fame nel mondo è un altro problema e se ne può discutere meglio, e anche dei trasporti, io vado a piedi in ogni circostanza possibile, quando non è possibile prediligo i mezzi condivisi tipo i treni ma anche di questo non mancherà occasione di specificare più approfonditamente.