Chernobyl, latte ancora contaminato a 30 anni dal disastro. Livelli di cesio radioattivo fino a 12 volte il limite consentito per i bambini
Chernobyl, latte ancora contaminato a 30 anni dal disastro. Livelli di cesio radioattivo fino a 12 volte il limite consentito per i bambini
Giulia Crepaldi 13 Giugno 2018
A più di 30 anni dal disastro di Chernobyl, il latte prodotto in alcune fattorie ucraine è ancora contaminato da quantità di cesio radioattivo superiori ai livelli consentiti. Lo rileva uno studio dei Greenpeace Research Laboratories dell’Università di Exeter, condotto insieme all’Ukrainian Institute of Agricultural Radiology. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Environmental International.
I ricercatori hanno analizzato il latte vaccino prodotto tra il 2011 e il 2016 da fattorie e famiglie situate in 14 località della regione di Rivne, a circa 200 chilometri dalla centrale di Chernobyl, che nel 1986 fu protagonista di uno degli incidenti nucleari più disastrosi della storia. I risultati dello studio evidenziano come nel latte prodotto in alcune delle fattorie campionate siano ancora presenti livelli di cesio-137, un isotopo radioattivo del cesio prodotto dal reattore nucleare, che è stato disperso nell’ambiente nel momento dell’incidente.
Tra i campioni testati, quelli provenienti da sei località superavano i limiti massimi permessi per gli adulti di 100 Bq/l (becquerel* per litro), mentre otto oltrepassavano i 40 Bq/l consentiti per i bambini. Il picco massimo di radioattività rilevata dai ricercatori si aggirava intorno ai 500 Bq/l, ben 5 volte il limite consentito per gli adulti e addirittura 12 volte quello per i bambini!
Il cesio-137 diffuso nell’atmosfera dall’esplosione del reattore si è accumulato negli strati superficiali del terreno, dove è stato assorbito da piante e funghi, entrando così nella catena alimentare. “Più di 30 anni dopo i disastro di Chernobyl la gente è ancora esposta abitualmente al cesio radioattivo, attraverso il consumo di alimenti base locali, quale appunto il latte, nelle zone interessate dal disastro nucleare.” racconta Iryna Labunska, ricercatrice dei Greenpeace Research Laboratories, che spiega come questa continua esposizione al cesio-137 comporti “gravi rischi, soprattutto per i bambini”.
Per ridurre il livello di esposizione al di sotto dei limiti, i ricercatori suggeriscono alcune misure, non particolarmente costose (si stima una spesa di 10 euro per abitante delle zone contaminate), che possono essere adottate immediatamente. Tra le proposte figurano la somministrazione di capsule di Blu di Prussia (un colorante comunemente usato per eliminare metalli e altri elementi chimici dall’organismo) alle vacche da latte, la concimazione minerale dei campi di patate, campagne di informazione ai cittadini sui rischi del consumo di funghi selvatici e frutti di bosco, l’uso di mangimi incontaminati per l’alimentazione dei maiali.
Se le misure per ridurre l’esposizione della popolazione alla radioattività non dovessero messe in atto a livello istituzionale, i ricercatori stimano che la contaminazione del latte potrebbe rimanere a livelli superiori al consentito ancora per molti anni, addirittura fino al 2040.
(*) Note: un becquerel è l’unità di misura del Sistema Internazionale dell’attività di un radionuclide, come appunto il cesio-137, che equivale a un decadimento al secondo.
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Giornalista professionista, redattrice de Il Fatto Alimentare. Biologa, con un master in Alimentazione e dietetica applicata. Scrive principalmente di alimentazione, etichette, sostenibilità e sicurezza alimentare. Gestisce i richiami alimentari e il ‘servizio alert’.
Buongiorno, grazie dell articolo! Mi risulta che il cesio sia un problema anche per il nord Italia, non certamente al pari delle zone menzionate nell articolo. Le ulss del nord Italia fanno piani di controllo vari per la radioattività da alimenti, e piani speciali per i funghi. Nei rapporti 2017, che si scaricano dai siti istituzionali, in certi funghi i livelli di cesio è due volte e mezzo il massimo (almeno in Veneto, mi sembra peggio in Piemonte). Comunque nessuno si alimenta di base con funghi spontanei. I funghi surgelati però non hanno obbligo di indicare la provenienza, e nonostante il marchio sia italiano la provenienza è spesso estera, anche dall est. Comunque bisogna fidarsi dei controlli in dogana, anche se a campione, almeno io la vedo così, e magari non mangiare di continuo funghi!
Come nessuno si ciba dei funghi spontanei? Dimentichi i tanti funghi commestibili essicati e non che tra l’altro sono venduti in ogni dove?
Terrificante, dopo 30 anni c’è un’area nel raggio di 200km da chernobyl ancora pesantemente contaminata da materiale radioattivo con effetti nefasti sulla salute umana.
ed è ancora un problema irrisolto.