Molte certificazioni di sostenibilità, che dovrebbero aiutare i consumatori a fare scelte positive per l’ambiente, in realtà ostacolano il raggiungimento di questo scopo e dovrebbero essere profondamente riformate. È quanto sostiene un rapporto della Fondazione Changing Markets, che esamina i casi delle certificazioni di sostenibilità in tre settori: olio di palma, pesca e tessile.
Il rapporto mostra come, piuttosto che costituire un acceleratore verso un cambiamento in positivo, la proliferazione di certificazioni registrata negli ultimi anni crea confusione nei consumatori e nel mondo industriale, trasformandosi in un ostacolo nel percorso verso un consumo genuinamente sostenibile. Infatti, molti dei sistemi di certificazione in uso vengono utilizzati come copertura, rendendo più difficile, per le organizzazioni non governative e i ricercatori, mettere in discussione la sostenibilità di alcune aziende e alcuni prodotti. Anche i governi fanno sempre più uso di questi strumenti, ad esempio con l’utilizzo di olio di palma certificato per rispettare i target dei biocombustibili, nonostante i diffusi dubbi sull’efficacia delle certificazioni di sostenibilità per contrastare la deforestazione.
Nel settore dell’olio di palma esistono diversi sistemi di certificazione, il più diffuso dei quali è quello della Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile (RSPO), nata nel 2004 e che oggi certifica 2,6 milioni di ettari di coltivazioni, pari a circa il 19% della produzione complessiva. La certificazione RSPO viene spesso considerata la migliore ma il rapporto ne sottolinea alcune carenze, come il fatto che consenta lo sfruttamento delle foreste secondarie e il drenaggio delle torbiere, non richieda riduzioni delle emissioni di gas a effetto serra e non abbia impedito violazioni dei diritti umani.
Tra i vari sistemi di certificazione dell’olio di palma sostenibile, vi sono anche i due istituiti direttamente dai governi dei due maggiori produttori mondiali, Malesia e Indonesia. Il sistema di certificazione indonesiano (ISPO) è cresciuto in modo particolare negli ultimi anni e oggi copre il 16,7% di tutte le piantagioni, ovvero 1,9 milioni di ettari. Il rapporto di Changing Markets sottolinea come la certificazione ISPO rappresenti una corsa verso il basso, dato che richiede semplicemente il rispetto della già debole legislazione indonesiana. Secondo il rapporto, la maggior parte delle certificazioni nel settore dell’olio di palma dovrebbe essere eliminata, visto il loro fallimento su più fronti.
Nel settore della pesca, il rapporto sottolinea come nel 2015 sia stato certificato come sostenibile il 14% della produzione mondiale, rispetto allo 0,5% di dieci anni prima. Changing Markets ha preso in esame i due principali sistema di certificazione, quelli dei Friends of the Sea (FOS) e del Marine Stewardship Council (MSC), che nel 2015 hanno certificato come sostenibili nove milioni di tonnellate di pesce ciascuno, certificando anche il pescato in condizioni di eccessivo sfruttamento, con tassi di cattura molto elevati e, in alcuni casi, anche in violazione delle leggi dei paesi interessati. Secondo il rapporto, la crescita esponenziale della richiesta di prodotti ittici sostenibili e il desiderio di rispondervi minacciano la credibilità della MSC perché la pesca veramente sostenibile è insufficiente per soddisfare la domanda. Per quanto riguarda la certificazione FOS, invece, il rapporto afferma che gode di scarsa credibilità presso le Ong e la comunità scientifica, a causa della poca trasparenza e dello scarso coinvolgimento degli stakeholder, e che probabilmente dovrebbe essere abolita.
In conclusione, Changing Markets chiede l’abolizione dei sistemi di certificazione peggiori e la profonda riforma degli altri, sulla base di principi di trasparenza, indipendenza, approccio globale e miglioramento continuo. Secondo il rapporto, i sistemi di certificazione di sostenibilità non dovrebbero comunque mai essere sostitutivi di rigide normative nazionali e internazionali.
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