La cera d’api è utilizzata fino dall’antichità per le sue proprietà emollienti, impermeabilizzanti e lucidanti in diversi ambiti, da quello cosmetico a quello alimentare, ma anche in alcuni prodotti per la casa, per le candele e per numerosi altri scopi. Tuttavia può essere contaminata da sostanze tossiche. Il motivo è chiaro: le api, naturalmente, utilizzano la stessa cera per periodi lunghissimi, anche per anni, incamerando involontariamente in essa tutto ciò che si trova nel polline e nel nettare o dentro l’alveare. Se le api vivono in aree dove si pratica l’agricoltura o sono allevate in modo professionale, e quindi a contatto con fitofarmaci e antiparassitari, il rischio di ritrovarli nella cera è elevato. A meno che l’apicoltore non provveda a prelevarla frequentemente, impendendo così che invecchi e accumuli molecole indesiderate.
Cera d’api e pesticidi: lo studio
Per capire in quale misura la cera fosse, di fatto, un concentrato di sostanze tossiche, i ricercatori della Cornell University hanno analizzato 72 campioni provenienti da alveari di apicoltori dello stato di New York. Sono stati coinvolti professionisti con più di 300 colonie, aziende per cui l’apicoltura non è l’attività principale che hanno tra 50 e 299 colonie, ma anche apicoltori hobbisti (meno di 50 colonie). Cercando 92 sostanze, i ricercatori si sono trovati di fronte a un risultato molto negativo, illustrato nei dettagli sul Journal of Veterinary Diagnostic Investigation. In tutti i campioni di cera esaminati, infatti, erano presenti pesticidi e, in particolare, vari assortimenti di 34 fungicidi, 33 insetticidi e 22 erbicidi.
I risultati delle analisi
Ogni campione conteneva tra i 7 e i 35 residui differenti (in media 17,8 ciascuno). Quelli provenienti dagli apicoltori professionisti ne contenevano più degli altri (in media 21,9 ciascuno), seguiti da quelli provenienti da chi allevava api per hobby (16,3 residui in media). I campioni degli allevatori di piccole dimensioni ne contenevano, sempre in media, 11,7. Oltre a pesticidi, erbicidi e fungicidi, poi, quasi tutti (oltre il 98% del totale) avevano il piperonil butossido. La stragrande maggioranza (l’86%) presentava tracce di farmaci contro la varroa, il temibile parassita delle api. Infine il 93% conteneva l’antifungino difenoconazolo. Proprio gli antifungini sembrano essere tra le sostanze più utilizzate: ne sono stati rinvenuti infatti ben 34, sette dei quali presenti nel 50% o più dei campioni.
I pesticidi come finiscono nella cera d’api?
Nella zona di provenienza e nello stato di New York, quello delle api è un settore importante dal punto di vista commerciale. Nel 2020 il miele ha generato 11 milioni di dollari per gli apicoltori, i servizi di impollinazione svolti dagli apicoltori ne hanno generati 300. Ma le api sono in sofferenza ovunque. Una delle cause è anche la continua esposizione a tutte le sostanze ritrovate nella cera, che le api assimilano con il nettare e il polline, o con cui entrano in contatto negli alveari, dove vengono utilizzate contro i parassiti come la varroa. Si genera quindi un circolo vizioso: api sempre più deboli sono trattate con antiparassitari affinché resistano alle infezioni, ma quando vanno a impollinare assorbono molte sostanze tossiche, che continuano a indebolirle e a danneggiarle.
Poi ci sono le possibili ricadute sulla salute umana, soprattutto per quanto riguarda l’impiego in cosmetici come i prodotti per le labbra o le creme, perché attraverso la pelle è possibile che si determini un assorbimento significativo dei pesticidi. Lo stesso vale per gli alimenti. In questo caso la maggior parte degli impieghi riguarda la parte esterna di alcuni cibi, per esempio la copertura di certi formaggi.
Probabilmente bisognerebbe controllare la cera d’api in modo più approfondito, escludendo quella troppo contaminata dagli impieghi potenzialmente pericolosi. Inoltre, gli apicoltori dovrebbero prelevarla spesso, evitando così che accumuli sostanze indesiderate, e gli agricoltori dovrebbero tenere conto delle conseguenze sulle api di ciò che utilizzano nei loro campi.
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Giornalista scientifica
Buongiorno,
per chiunque abbia lavorato nel settore e abbia visto analisi su cera d’api e propoli anche di produzione italiana, non è affatto una novità, anche se i principi attivi rilevati sono meno di quelli conteggiati nell’articolo riferiti agli USA. Ad esempio da anni per gli apicoltori biologici l’utilizzo di cera convenzionale nelle arnie, se non è reperibile cera da apicoltura biologica, è condizionato ad un’analisi che attesti l’assenza di residui. Poi si potrebbe discutere all’infinito sulle categorie di sostanze chimiche da ricercare, che possono spaziare da antibiotici e acaricidi utilizzati per le patologie delle api, ai fitofarmaci provenienti dalla bottinatura sulle colture agricole, alle sostanze vietate da anni ma accumulate nell’ambiente. Come al solito la signora che si spalma in faccia la crema a base di cera d’api, non può pensare di restare indenne da tutto ciò che abbiamo sparso nell’ambiente e che ovviamente è entrato in tutti i cicli naturali.
Gentilissimi, la cera d’api, ma anche il miele, sono dei bellissimi indicatori e amplificatori ambientali.
Questo è un fatto risaputo al punto che se voglio sapere quali pesticidi (ma anche altre sostanze inquinanti) sono presenti/utilizzati in una certa zona basta campionare e analizzare queste due matrici.
Inoltre, stante il raggio relativamente breve di attività di un alveare, tale analisi è estremamente precisa per l’area esaminata.
Cordialmente
Maurizio Podico