Il querelante, Bryce Martinez, oggi diciannovenne, all’epoca delle diagnosi di diabete di tipo 2 e steatosi epatica aveva 16 anni. La sua dieta, da anni, era costituita da decine di alimenti ultra processati (UPF), e per questo il ragazzo ha deciso di fare causa a undici tra i principali produttori: Kraft Heinz, Mondelēz, Coca-Cola, PepsiCo, General Mills, Nestlé, Kellanova, WK Kellogg, Mars Incorporated, Post Holdings (titolare di marchi come Honey Bunch e Weetabix) e ConAgra.
L’accusa contro gli ultra processati
L’accusa era molto specifica: queste aziende avrebbero mutuato la loro strategia da quelle del tabacco con lo scopo di formulare i prodotti in modo che creassero dipendenza, soprattutto nei bambini e nelle minoranze più deboli. I colossi dell’agroalimentare avrebbero adottato quello che è stato definito il manuale delle sigarette, cioè un insieme di strategie commerciali finalizzate a nascondere il più possibile gli effetti nocivi sulla salute che stavano emergendo. A tale scopo, avrebbero puntato da una parte sulla compiacenza (ben compensata) di medici e altri interlocutori delle famiglie, e dall’altra sulla distrazione di massa, cioè sulla sottolineatura di altri aspetti come la scarsa attività fisica.
La strategia sarebbe stata la naturale conseguenza dell’acquisto, negli anni Ottanta, di alcune aziende come General Foods, Kraft, Nabisco, Del Monte e Kentucky Fried Chicken proprio da parte dei colossi del tabacco, che in seguito le hanno rivendute. Quegli anni di proprietà sarebbero stati sufficienti a dare alle aziende alimentari un’impostazione del tutto simile a quella assunta per diffondere il fumo del tabacco a partire dal secondo dopoguerra, e ripresa poi quantomeno da Big Soda, ovvero dai produttori di bevande dolci e gassate, come hanno dimostrato diverse indagini indipendenti.
Oltre cento marchi sotto accusa
Nella citazione in giudizio non veniva dimostrato che Martinez aveva consumato uno specifico tipo di ultra processato, ma ne venivano comunque elencati più di cento, tra i quali i biscotti Oreo, i cracker Ritz e li biscotti Chips Ahoy! di Mondelēz, i Doritos del gruppo PepsiCo, la Coca-Cola, gli snack dolci Kit Kat di Nestlé, e la salsa ketchup Heinz. Forse anche per questo la giudice Mia Perez, del tribunale di Filadelfia, ha accolto il ricorso per l’archiviazione di Kraft Heinz, affermando che l’accusa fosse troppo generica, e che non c’era stata la dimostrazione di un rapporto causale.

Il verdetto ha reso felici le aziende che, per tramite dell’associazione di categoria Consumer Brands Association, ha sottolineato come la generalizzazione sia sbagliata e rischi di confondere i consumatori, visto e considerato che, oltretutto, non esiste neppure una definizione ufficiale di alimenti ultra processati.
RFK jr contro gli ultra processati
Il processo probabilmente costituirà un precedente importante, in un ambito delicato e sotto osservazione anche da parte dell’amministrazione Trump. Il segretario alla salute Robert Kennedy Jr già in maggio aveva affermato che la Food and Drug Administration e i National Institutes of Health avrebbero posto grande attenzione allo studio degli UPF, e la guerra già iniziata contro i coloranti sintetici ne è una prova.
In quegli stessi giorni, però, aveva anche dichiarato di ritenere che all’origine delle malattie croniche dei bambini ci sarebbero, insieme, ultra processati, stress, agenti chimici non meglio specificati e poi farmaci e soprattutto vaccini, cioè aveva messo insieme elementi che hanno poco a che vedere gli uni con gli altri, e che alimentano una certa idea del mondo, secondo la quale la scienza ha poco da dire, a fronte delle opinioni, e quasi tutto ciò che è stato raggiunto in decenni di studi è da osservare quantomeno con diffidenza e, se possibile, da ignorare.
Cosa dice la scienza
Il punto in questione, nella causa, riguarda la capacità di indurre dipendenza degli ultra processati, derivante dalla loro iperpalatabilità, cioè dal fatto che sono progettati per essere estremamente gradevoli. Secondo una lettera pubblicata in luglio su Nature Medicine da esperti di diverse università statunitensi, che fa il punto su ciò che si è scoperto finora, ci sarebbero pochi dubbi, come denuncia il titolo stesso del l’articolo: È giunto il momento di riconoscere e reagire alla dipendenza dai cibi ultra processati. Gli UPF, infatti, risponderebbero appieno alle definizioni normalmente adottate per le sostanze d’abuso, ossia genererebbero un desiderio intenso, accompagnato da sforzi continui e vani per diminuire il consumo, e da un ‘uso’ regolare, nonostante la conoscenza dei rischi associati. Più di 280 studi hanno confermato tali caratteristiche, e messo in evidenza che ciò che accade è sovrapponibile a quanto si osserva con il tabacco e l’alcol.

Ci sarebbero poi riscontri neurologici, perché i circuiti del controllo e quelli della ricompensa, che coinvolgono la dopamina, e che non funzionano a dovere, sarebbero gli stessi che si tratti di ultra processati, di tabacco, di alcol o di altre sostanze d’abuso. Inoltre, gli UPF indurrebbero tolleranza, rendendo il consumatore bisognoso di assumere quantitativi sempre maggiori al fine di soddisfare gli impulsi e calmare il desiderio. Infine, la diminuzione del desiderio provocata dall’assunzione di farmaci come l’Ozempic, che agiscono a livello centrale, sarebbe un’ulteriore conferma.
I contrari
Nel caso degli ultra processati, però, non ci sono ingredienti specifici, come accaduto con alcuni additivi delle sigarette, aggiunti allo scopo di generare dipendenza. Anche per questo la giudice non ha potuto accogliere la causa di Martinez. Piuttosto, sarebbe un combinato disposto di palatabilità, sapore, assorbimento rapido, giusto mixi di ingredienti e caratteristiche fisiche a indurre la dipendenza.
Secondo alcuni esperti, però, l’etichetta di induttori di dipendenza sarebbe sbagliata o quantomeno opinabile, come riassunto in un articolo del 2023 uscito sul British Medical Journal. La dipendenza da ultra processati, infatti, sarebbe un comportamento, uno stile di vita, e non sarebbe attribuibile a una sostanza specifica, come accade nelle sigarette con la nicotina.
Al momento, anche a causa di queste divergenze di vedute, non c’è un consenso nella comunità scientifica. Non a caso, la dipendenza da UPF non è inserita nel manuale DSM, il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (riferimento per tutta la psichiatria mondiale), né nella classificazione mondiale delle malattie ICD (International Classification of Diseases). La discussione continua. Le cause, probabilmente, anche.
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Giornalista scientifica



Se da una parte le aziende attuando le loro strategie di business e rifiutano ogni mezzo di informazione verso il cliente , come il nutriscore, o bombardano di pubblicità al limite della decenza scientifica, dall’altra vi sono consumatori ignoranti che nonostante le campagne di informazione, come questa, che si susseguono con mezzi di informazioni come il web che permettono di veicolare in maniera molto rapida l’informazione e ad un numero maggiore di utenti rispetto a mezzi tradizionali, se ne fregano. Vedere tuo figlio che è obeso (e non mi dire che non vedi che tuo figlio/figlia sono grassi) e considerarlo normale o vederti allo specchio e vederti grassa o grasso non ti fà porti delle domande? E invece nella civiltà del benessere è della cultura culinaria distorta le cose vanno bene così fino a quando non ti ammali e allora a piangere (e a caricare di costi e tempi che sarebbero stato possibile evitare il servizio sanitario ).
Io per queste persone vittime dell’ignoranza alimentare (quella non indotta da nessuno, ma personale è ve ne tanta ), del menefreghismo sulle tabelle nutrizionali sulle confezioni degli alimenti, della golosità e del dire sempre si ai figli per comodità non ho più pietà. Purtroppo sarò vittima con i disservizi del servizio sanitario per colpa loro.
Il mercato lo facciamo noi consumatori , non quello che ci dicono le aziende. Ma troppa faticare pensare (e non solo nel campo alimentare). In italia (con la i minuscola) avrei più ascolto se mi mettessi a fare il finto esperto di calcio del lunedì al bar. Mah.